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Autore

Luigi Lombardi Vallauri

NONCREDENZA E ATEISMO PRESCISSIVO

in NONCREDO, TEOLOGIA  disputationes

Anno II - n.3, gennaio / febbraio 2010               

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Inviato il 12/10/2024




La cosa "Dio", mia lunga passione, oggi quasi non m'interessa. Mi interessano altre cose: la pace mentale, la vigile consapevolezza, la visione sapienziale del cosmo e dell'uomo come impermanenza e splendore, la realizzazione intuitiva del sapere scientifico, il risveglio al mistero dell'essere; mi interessano l'eros e l'amore fedele, la bellezza della natura e dell'arte, il viaggio e l'avventura, la tenerezza-responsabilità, la compassione universale per gli esseri senzienti, la nonviolenza nei confronti degli animali, l'etica e il diritto come discipline razionali emozionali laiche; mi interessano lo sport, la piena salute, la vita yogica all'aperto, giocare perdutamente coi nipotini...

 

Quelli che proprio non mi interessano sono i vari "Dio unico" dei tre lignaggi abramitici, i folcloristici "Dio" rivelazionali che competono nell'arena dell'attuale polimonoteismo. Invece il concetto filosofico di Essere-Necessario-Origine del Mondo lo trovo ancora formidabile, uno dei capolavori acrobatici dell'intelletto umano, risorsa eccezionale per sprofondamenti verticali fulminei giù dal chiacchiericcio psicologico interno e dall'assediante pettegòlume esterno. Solo che se poi cerchi di pensare davvero come si può sapere che esiste, come è fatto, come opera, ebbene ti trovi immerso, direbbe il Dustin Hoffman di Kramer contro Kramer, in un maledettissimo mare di fottutissimi guai: "D" è un groviglio di Koan nel senso Zen, di paradossi/rompicapi che - insieme al buon senso e al principio scientifico di osservabilità sperimentale - ti butta nelle braccia dell'ateismo razionalista.

 

Tuttavia le due cosmogonie atee uniche pensabi­li - il mondo materiale esiste per virtù propria da un tempo infinito (a semper), esiste per virtù propria da un tempo finito (è nato dal nulla, ex nihilo) - sono entrambe tutt'altro che tranquilliz­zanti per la ragione, anzi le aprono baratri imper­corribili. Il materialismo infinitista e il materiali­smo finitista-nichilista sono ipotesi ontologiche non meno mostruose del teismo. Una delle tre è quella reale e nessuna è possibile]

 

Come affrontare questo naufragio della pur ben navigante ragione? Non certo col fideismo reli­gioso, e nemmeno con lo scetticismo: la ragione funziona, ma approda all'irrappresentabile. È quello che io nel mio gergo (fondato però su una solida, anche se minoritaria, tradizione interculturale) chiamo "apofatìsmo". Wittgen­stein parlerebbe senza remore, laicissimamente, di mistica: «Che il mondo è, è il mistico»; l'es­serci qualcosa invece che il nulla è il mistico.

 

Cosa comporta l'apofatismo per l'uso del termi­ne "ateismo"? Comporta che non può essere un uso trionfalista e aproblematico; non puoi bat­terti il petto come un gorilla proclamandoti ateo; meno ancora il credulo può gloriarsi della sua credenza. Nel mio libro Nera luce ho cerca­to di introdurre il termine "a-teo" (pronunciare alfàteo). Con a-teismo intendo non il negare Dio ma il prescinderne: l'alfa non è privativo ma pre­scissivo. L'a-teismo si distanzia sia dall'ateismo, sia (ancor più) dal teismo razionalista o rivela­zionista. È il motivato decidere di non conside­rare decisivo il discorso o filosofico o teologico su "D", essendo ogni asserto su "D", anche quel­lo magari vero (supponiamo "D non esiste" oppure "D è Padre Figlio e Spirito Santo"), un asserto altamente oscuro per l'intelligenza e comunque non molto rilevante sul piano del­l'esperienza. Su questo piano la parola non è l'ultima parola, è necessaria ma non sufficiente. Una volta esercitata al meglio la parola dobbia­mo ancora lavorare sul nostro corpo-mente (questo prodigioso successo cosmico) in vista di una trasformazione/illuminazione/liberazione non-discorsiva che porti con sé, esperìenzial­mente, l'evidenza del proprio senso. Il senso della vita è da cercare non tanto in proposizioni giuste - pur necessarie - quanto in stati: esisto­no stati ultimamente desiderabili. Decisivo è il vissuto.

Qualcuno dirà che il mio apofatismo a-teo sa di buddismo. Beh, un po' sì. Secondo me il buddi­smo originario è stato, nei confronti del brama­nesimo, una forma di illuminismo razionalista: ha fatto piazza pulita degli dèi vedici, della pre­ghiera, del sacerdozio, del rito, del sacrificio, della crudeltà penale, militare, venatoria, carni­vora; ha concentrato l'attenzione sul mondo di cui si fa diretta esperienza e sulla riduzione del dolore. In questo atteggiamento può dirsi ateo. Ma mi sembra preferibile interpretarlo, più sot­tilmente, come a-teo, cioè come una teoria della pratica trasformante fondata sullo scrutamento filosofico realistico del mondo. Una simile pra­tica può ben definirsi, laicamente, non solo un'etica ma anche propriamente una mistica (nel senso di Epicuro, Lucrezio, Plotino, Spinoza, Goethe, Kant, Russell, Wittgenstein, Musil). Dunque non solo illuminismo ma -pro­prio attraverso l'illuminismo - illuminazione. Il pensiero laico rischia l'asfissia se non coglie questo punto fondamentale, che non posso ora approfondire ma che mi sta vitalmente a cuore.

Ci torneremo. Intanto acquisiamo i concetti non banali di apofatismo e di a-teismo prescissivo come suscettibili di sviluppo anche in direzione di un'appropriata mistica laica. L'importante è togliersi dai solchi induriti dell'ateismo e del tei­smo soliti, cioè l'uno e l'altro dogmaticamente ignari dei baratri intellettuali che entrambi spa­lancano e della propria possibile irrilevanza sul piano-decisivo-del vissuto. A mio parere l'ateo e il teista consapevoli, cioè lucidamente immersi nello sgomento apofatico, sono più vicini tra loro di quanto ognuno dei due sia vicino ai pro­pri confratelli parrocchiali.

 

Per approfondimenti: Nera Luce. Saggio su cattolicesimo e apofatismo, Le Lettere, Firenze 2001

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