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Pensare che non abbiamo un corpo ma siamo un corpo che contiene in sé tutti gli elementi, fisici e spirituali, che costituiscono la nostra vita nella sua pienezza. Un corpo/essere inteso come inscindibile unità psicofisica che, non esistendo nella nostra lingua, un vocabolo adeguato per definirlo, chiamerò corpo “vivente”.

 

Pensare al corpo vivente come realtà ontologica che permette, attraverso un’esperienza vitale diretta, di entrare in contatto con il mondo. Come organismo attivo con cui l'essere umano riceve sensazioni sinestetiche dal mondo per poi filtrarle, interpretarle, rielaborarle e comunicarle in pensieri parole e atti. Un corpo come realtà globale e attiva dell’esserci umano nel mondo, che tuttavia nel tempo è stata scissa e variamente repressa, controllata e condizionata dalle visioni dominanti nella società (secolare scissione/opposizione filosofica e religiosa corpo/spirito, e conseguente svilimento e repressione della fisicità, ancora oggi non pienamente superati; manipolazione medico scientifica che frantuma il corpo vivente in oggetti di studio separato; controlli comportamentali sociali (esempio attuale la civiltà capitalistica, che vede il corpo/oggetto come fonte di consumo e impone modelli di comportamento massificati attraverso le reti di comunicazione; ecc.).

 

Pensare alla danza come fenomeno antropologico innato, attività originaria dell'essere umano, sempre esistita, che usando il corpo vivente in tutta la sua realtà olistica come sensore relazionale per ricevere -dall'interno e dall'esterno della persona- gli impulsi dinamici di trasformazione del e nel mondo, permette un’utilizzazione piena dell’essenza psicofisica del corpo attraverso il movimento e induce l’attivazione di un diverso percorso di pratiche e di pensiero che contribuiscono a sviluppare e valorizzare la capacità di trasformare creativamente se stesso e la realtà, che l'essere umano possiede.

Pensare al corpo danzante, che agisce cioè secondo modalità totalizzanti, extra-quotidiane e creative, come a un’intensificazione della sua adesione alla vita stessa, una diversa possibilità espressiva e comunicativa di relazione con il mondo, con gli oggetti, le persone e la natura intera; come stato esperienziale dell’essere versatile, complementare, complesso e multiforme, che consente agli studiosi di riscoprire e analizzare il corpo vivente, nelle molteplici sfaccettature intrinseche e implicazioni relazionali osservate nell'individuo e nella collettività, implicando prospettive di volta in volta differenti - antropologica, sociologica, pedagogica, psicologica, filosofica, politica, scientifica, artistica, storica ecc. – e contribuendo ad arricchire le conoscenze di ciascuna disciplina con sguardi inediti; come opportunità per ogni persona di scoprire e sperimentare consapevolmente le potenzialità del proprio corpo vivente e raggiungere una qualità più presente e creativa dell’esistenza anche nei comportamenti individuali e negli usi sociali quotidiani.

Autrice

Charlotte Zerbey

Q.7

CONTACT IMPROVISATION

Un dialogo corporeo istantaneo
centrato sulla condivisione dell'immaginazione

Sintesi finale sull'insegnamento

sommarioscarica PDF

Inviato il 25/11/2021

 

Processi di autoformazione e conoscenza

attivabili con la pratica della Contact Improvvisation

 

ATTIVITA’ ESPLORATIVA

Esplorare il dialogo creativo istantaneo tra due o più persone danzanti nel guidare e seguire la dinamica del movimento, attraverso lo studio del dare e ricevere il peso del corpo e la sensibilità del contatto corporeo; processo decisionale informato dal sistema propriocettivo.

 

PROCESSO FORMATIVO

Praticare l’ascolto della forza di gravità in azione e degli equilibri attraverso lo studio del sostenere e rilasciare il peso, seguendo gli impulsi di un dialogo corporeo condiviso. Mettersi in gioco migliorando i tempi di reazione dei riflessi e il coordinamento tra arti e baricentro.

 

FINALITA’ ATTESE NELLO SPECIFICO

Sviluppare l’uso dei sensi, in primo luogo il tatto, per favorire l’attivazione di un processo creativo istantaneo, che usa il proprio corpo come strumento per attivare una molteplicità di relazioni, tra movimenti forme e qualità, innestando un percorso di emancipazione condivisa.

 

FINALITA’ ATTESE A LIVELLO ESISTENZIALE

Acquisire maggiore consapevolezza dei confini fra sé e l’altro, in una pratica dell’ascolto con tempi di risposta immediati. Rendere intimamente vitali il contatto e l’interazione con altre persone nella loro globalità.

 

 

PAROLE CHIAVE

percezione e propriocezione

ascolto dell'ambiente circostante

interazione condivisa (dare e ricevere il peso)

corpo emancipato

 




                VIDEO CORRELATI ALL'INSEGNAMENTO

                Sea rant. Declamare al mare

                Progetto Leonardo. Traguardare l'uomo.                                

 

P R O C E S S I  

D I   A U T O F O R M A Z I O N E   E  C O N O S C E N Z A

A T T I V A B I L I   P R A T I C A N D O  

C O N T A C T   I M P R O V I S A T I O N

 

 

A T T I V I T A’   E S P L O R A T I V A

Esplorare il dialogo creativo istantaneo tra due o più persone danzanti nel guidare e seguire la dinamica del movimento, attraverso lo studio del dare e ricevere il peso del corpo e la sensibilità del contatto corporeo; processo decisionale informato dal sistema propriocettivo.

 

Guardando in prospettiva credo che l’improvvisazione sia stata fin da subito una delle mie preferenze di danza.

 

Considero di grande validità il movimento libero perché coinvolge l’intera persona (corpo, movimento e voce creativa) utilizzando soprattutto gli aspetti più intuitivi della personalità, le strategie e i meccanismi dell’animale intelligente, consapevole delle sue scelte.

La mia pratica di Contact Improvisation si è sviluppata parallelamente a quella della free improvisation, dell’improvvisazione libera, ed è stata uno strumento integrato allo studio tecnico tradizionale per raffinare la consapevolezza, l’agio e la presenza nel movimento. La C.I. mi ha stimolato nella capacità di portare il corpo in situazioni di rischio e disorientamento, agendo sui riflessi della caduta e del recupero di nuovi equilibri e sostegni, alterando la forza e il flusso della danza, nell’urgenza della creazione immediata.

Nel mio insegnamento coltivo l’ascolto della forza di gravità che costantemente agisce sul corpo, ma anche il leggero soffio che lo muove. L’esperienza concreta di questi elementi porta a un senso di connessione e appartenenza. Il flusso del respiro e l'ascolto della propria massa corporea sono per me la migliore musica per qualsiasi danza.

 

Il corpo, guidato dal sistema nervoso centrale è in realtà un sistema complesso e integrato, dove ogni apparato, digerente, circolatorio, scheletrico, muscolare, respiratorio, endocrino, e così via, partecipa al suo equilibrio vitale in reciproco sostegno.

Nella pratica possiamo esercitare la “presenza” del sistema corpo, con lo sguardo del testimone e con la visualizzazione. Possiamo diventare più leggibili nelle nostre azioni, dando indicazioni con i nostri pensieri mentre stiamo in ascolto con le nostre percezioni.

 

Quando il principiante inizia a studiare movimento può accorgersi che la propriocezione è una grande gioia.  Può ascoltare i piccoli movimenti in un respiro complessivo degli spazi interni del proprio corpo, meno evidenti, così come quelli che vanno oltre i suoi confini nello spazio intorno o verso il suolo che lo sostiene.

 

È importante dedicare tempo per mettere a fuoco l’attenzione sulla forza di gravità e sulla struttura del corpo.  È un processo che permette di radicarci nel contesto circostante e sentirci tutt’uno col mondo. Aiuta a chiederci "cosa devo fare" per stare in piedi, sedermi, camminare, correre, saltare" e come organizzo il mio corpo in tutte le sue funzioni?"

 

 

P R O C E S S O   F O R M A T I V O

Praticare l’ascolto della forza di gravità in azione e degli equilibri attraverso lo studio del sostenere e rilasciare il peso, seguendo gli impulsi di un dialogo performativo condiviso. Mettersi in gioco migliorando i tempi di reazione dei riflessi e il coordinamento tra arti e baricentro.

 

Nella danza o in qualsiasi altra disciplina di movimento, l’apprendimento avviene spesso attraverso l’imitazione di ciò che mostra l’insegnante. Lo studente “imita” e memorizza le sequenze di movimento, ma quello che sente e succede all’interno del corpo può risultare ignoto.

 

La formazione, attraverso l'esplorazione e l’improvvisazione, richiede creatività, permettendo a chi danza di trascendere idee e modelli tradizionali per elaborare nuove forme. Questi processi (non imitativi) consentono a chi li pratica di scavare in profondità oltre la propria formazione di danza, e di portare tutta la propria esperienza umana nello studio e nell’atto performativo. Si tratta di sviluppare, nella libertà della interpretazione istantanea una capacità che trascenda comportamenti e schemi abituali della vita di ogni giorno; rovesciandoli, costruendo nuove relazioni e regole con cui giocare ed esprimersi. Questo processo ci permette di sviluppare una originalità di linguaggio e una voce poetica propria. Con queste capacità acquisite possiamo condividere le nostre danze, con interpretazioni significative.

 

Praticare Contact Improvisation regolarmente, magari come “rituale” quotidiano, forma ed informa il danzatore sulla spontaneità dei movimenti e sull’interazione della propria natura e identità rispetto all'ambiente circostante.

 

Quando ho iniziato a praticare Contact Improvisation, sono rimasta affascinata da come mi ha fatto sentire viva e vitale. C. I. è stata negli anni una forza creativa costante nel mio lavoro e mi ha portato a coreografare in un modo che non avrei mai concepito senza questa pratica.

È stato un processo lungo e molteplice che nel corso degli anni ha influenzato il lavoro, la qualità, la forma del movimento, l’aspetto comunicativo, in un insieme di fluidità, delicatezza e continuità nella composizione. Per prima cosa, l’agire sui confini del controllo e del fuori-controllo: Mi è diventato subito chiaro che questa forma improvvisata era così interamente connessa alle idee e al movimento degli altri, che, per praticare bene la forma, avrei dovuto lasciare andare un certo controllo razionale su come volevo che la danza fosse.

Era importante, fra l’altro, superare una sorta di auto-giudizio, che a volte avrebbe potuto bloccare tempi e modi di reazione della danza. Era quasi come se fossero state create nuove sinapsi, percorsi di radicamento che hanno influenzato i miei processi decisionali. Potevo cambiare la danza, modellando me stessa, alterando qualità e densità del mio corpo e rendermi più pesante o leggera secondo il calibro delle risposte che potevo e volevo dare, in qualsiasi momento.

Mi sono resa conto che non dovevo fare niente che non avrei voluto fare e che le scelte nella danza erano mie. In quel momento mi sono immersa nell'apprendimento profondo del peso, della sua forza e della sua fluidità. Mi ha emancipato. Ho iniziato a imparare nuove strategie sia per caricarmi del peso degli altri, (studiando consapevolezza del baricentro, efficienza nella non resistenza, allineamento della struttura scheletrica) che per dare loro il peso corporeo, (riversandolo, distribuendolo, persino lanciandolo) in modi che hanno influenzato la danza che stavo ballando.

 

Il semplice atto di lasciar andare il controllo del peso o di non trattenerlo dal flusso di gravità, continua, fino ad oggi, ad essere una grande scoperta, un punto di partenza costante, una porta di percezione attraverso la quale la sensibilità diventa una vera guida. In questo modo il corpo si può distendere completamente, il respiro può toccare e spostare aree che non sono mai state esplorate in modo consapevole.

 

Il flusso del respiro e l'ascolto della forza di gravità nella propria massa corporea sono diventate per me la migliore musica per qualsiasi danza.

 

 

F I N A L I T A’   A T T E S E   N E L L O   S P E C I F I C O

Sviluppare l’uso dei sensi, in primo luogo il tatto, per favorire l’attivazione di un processo creativo istantaneo, che usa il proprio corpo come strumento per attivare una molteplicità di relazioni, tra movimenti forme e qualità, innestando un percorso di emancipazione condivisa.

 

Amo la danza contemporanea e la trovo meravigliosamente pura e semplice. Crea opere d'arte che hanno linee sottili che separano la vita reale dal palco, movimenti naturali o che sembrano tali. Amo queste sottigliezze e faccio tesoro delle opere artistiche che hanno una facilità con loro stessi; apprezzo l’artista che non ha paura di essere lì in scena in grado di assimilare e integrare gli aspetti meccanici del movimento.

 

Questi sono dettagli che mi toccano e cerco di farli vivere nei miei lavori e nel mio insegnamento.

 

Penso ad alcuni coreografi della danza post-moderna che, ispirati al pensiero esistenzialista (di un qui ed ora in continuo cambiamento), hanno inserito movimenti insoliti, gestualità astratte, gesti quotidiani, slanci vigorosi del corpo sportivo ad esempio. Erano integrati alla danza come elementi compositivi, e creavano le condizioni per dare inizio a linguaggi nuovi irrazionali, potenzialmente molto ampi, togliendo potere alle estetiche conformiste e ai giudizi che si limitano a valutare la bellezza “canonica”. L’esperienza del pubblico di danza, sia emotiva che sensoriale, veniva così a svilupparsi, attraverso l’uso di un vocabolario più ampio. 

Altri pionieri della danza degli anni settanta hanno contribuito immensamente allo sviluppo della danza con innovativi metodi e stili.  È proprio la disciplina della Contact Improvisation ideata da Steve Paxton nel 1970 e successivamente negli anni la sua diffusione lo ha spinto a creare strategie e pratiche per trasmetterne gli elementi fondamentali come ad esempio ‘The small dance’  (‘La piccola danza’).

L’esplorazione proposta da Paxton consiste semplicemente nello stare eretti, occhi chiusi, piedi paralleli con le braccia rilasciate lungo il corpo. Lo scopo è esercitare la percezione rimanendo in ascolto della leggera ma costante attività per mantenere la posizione. Questa condizione fisica è alla base della Contact Improvisation. E’ di fondamentale importanza trovare un equilibrio tra i riflessi del corpo e le azioni nate dal contatto con il partner.

Questa come altre pratiche somatiche hanno contribuito a creare la transizione naturale che dalla formazione di danza moderna e post-moderna, mi hanno portato a quella che oggi considero “danza contemporanea”.

 

Le tecniche somatiche tendono a focalizzare l’attenzione a partire dalle azioni interiori piuttosto che dalla produzione di forme esteriori. Partendo dalle competenze del corpo regolate dal di dentro, l’insegnamento della danza intende il movimento come parte di un processo, e il suo prodotto, la danza, è integrato alla percezione di sé. Questo approccio permette allo studente di indagare le proprie particolari sensazioni fisiche e concentrarsi su ciò che è necessario approfondire per svolgere efficacemente la sua danza.

Oggi è evidente nella ricerca sul movimento anche l’influenza delle discipline orientali e l’idea di un corpo capace di abitare stati e sensazioni diverse. Integrate alla danza ci trovano spesso anche le varie tecniche yoga, le arti marziali, la medicina cinese e così via, il concetto di energia come impulso interiore, invisibile motore dei sistemi viventi.

 

L'idea di riferimento prevede il costante "cambiamento" e " il flusso". Da tempo la danza ha superato le tecniche rigidamente classiche basate sulla forma e sulla ripetizione, lasciando spazio alla sensibilità del respiro alle pulsazioni dei sistemi del corpo.

Ci si accosta alla filosofia del processo che continua, tutt’oggi, ad essere una delle visioni centrali nella danza, per favorire il coinvolgimento dell'intera persona, piuttosto che la riproduzione o specializzazione di forme da consumare.

L’idea di “processo” enfatizza l’aspetto del divenire dell’essere umano, il cambiamento e la sorpresa nel vissuto delle sue esperienze. In questa visione l’arte del movimento tocca in modo pregnante ogni attimo fuggente con una forza capace di lasciare un segno indelebile nel cuore di una società.

 

 

FINALITA’ ATTESE A LIVELLO ESISTENZIALE

Acquisire maggiore consapevolezza dei confini fra sé e l’altro, in una pratica dell’ascolto con tempi di risposta immediati. Rendere intimamente vitali il contatto e l’interazione con altre persone nella loro globalità.

 

“Performare”, fare spettacolo è quello che viene chiesto a tutti noi danzatori, spesso.

 

Ma la scelta tra gettarsi davanti al pubblico o perseguire nel dire e nel fare, ciò che essenzialmente siamo, nel rispetto di noi stessi e del mondo, è nostra.

 

Il discorso del danzatore, il suo messaggio, è vissuto pienamente col proprio corpo.  Il danzatore è parte del racconto, è la sua esperienze. Deve interpretare la sua storia senza cadere nell’autoreferenzialità. Lui racconta e valuta la vita, il respiro della vita. La sua esperienza interiore dà motivazione ai gesti, il suo movimento coinvolge tutte le sue cellule. Così penso che studiare e praticare la danza non avrebbe alcun senso se non fosse ad un certo punto offerta ad altri, o almeno offerta a sé stessi.  Per donare la danza la si deve prima sperimentare sulla propria pelle.

 

La danza a cui sono vicina non è letterale, non racconta delle storie e nemmeno interpreta le gesta dell’eroe vincitore/perdente. Vuole narrare le qualitativa del vivere e apprezzarle, per comprendere la condizione umana. Sono i nostri talenti e i nostri difetti, i nostri alti e bassi che creano un bisogno reale l'uno dell'altro, come fari di speranza nel percorso che conduce a ciò che siamo, individualmente e collettivamente.

 

PARTECIPANTI

REFERENTI DELLA UNITÀ TEMATICA

Eugenia Casini Ropa

REFERENTI DI AVVIO

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http://www.arttherapyit.org/2009/

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http://www.choronde.it

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