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IL CORPO DANZANTE

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DELLA UNITÀ TEMATICA

come strumento di coscienza di sé nel mondo
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Pensare che non abbiamo un corpo ma siamo un corpo che contiene in sé tutti gli elementi, fisici e spirituali, che costituiscono la nostra vita nella sua pienezza. Un corpo/essere inteso come inscindibile unità psicofisica che, non esistendo nella nostra lingua, un vocabolo adeguato per definirlo, chiamerò corpo “vivente”.

 

Pensare al corpo vivente come realtà ontologica che permette, attraverso un’esperienza vitale diretta, di entrare in contatto con il mondo. Come organismo attivo con cui l'essere umano riceve sensazioni sinestetiche dal mondo per poi filtrarle, interpretarle, rielaborarle e comunicarle in pensieri parole e atti. Un corpo come realtà globale e attiva dell’esserci umano nel mondo, che tuttavia nel tempo è stata scissa e variamente repressa, controllata e condizionata dalle visioni dominanti nella società (secolare scissione/opposizione filosofica e religiosa corpo/spirito, e conseguente svilimento e repressione della fisicità, ancora oggi non pienamente superati; manipolazione medico scientifica che frantuma il corpo vivente in oggetti di studio separato; controlli comportamentali sociali (esempio attuale la civiltà capitalistica, che vede il corpo/oggetto come fonte di consumo e impone modelli di comportamento massificati attraverso le reti di comunicazione; ecc.).

 

Pensare alla danza come fenomeno antropologico innato, attività originaria dell'essere umano, sempre esistita, che usando il corpo vivente in tutta la sua realtà olistica come sensore relazionale per ricevere -dall'interno e dall'esterno della persona- gli impulsi dinamici di trasformazione del e nel mondo, permette un’utilizzazione piena dell’essenza psicofisica del corpo attraverso il movimento e induce l’attivazione di un diverso percorso di pratiche e di pensiero che contribuiscono a sviluppare e valorizzare la capacità di trasformare creativamente se stesso e la realtà, che l'essere umano possiede.

Pensare al corpo danzante, che agisce cioè secondo modalità totalizzanti, extra-quotidiane e creative, come a un’intensificazione della sua adesione alla vita stessa, una diversa possibilità espressiva e comunicativa di relazione con il mondo, con gli oggetti, le persone e la natura intera; come stato esperienziale dell’essere versatile, complementare, complesso e multiforme, che consente agli studiosi di riscoprire e analizzare il corpo vivente, nelle molteplici sfaccettature intrinseche e implicazioni relazionali osservate nell'individuo e nella collettività, implicando prospettive di volta in volta differenti - antropologica, sociologica, pedagogica, psicologica, filosofica, politica, scientifica, artistica, storica ecc. – e contribuendo ad arricchire le conoscenze di ciascuna disciplina con sguardi inediti; come opportunità per ogni persona di scoprire e sperimentare consapevolmente le potenzialità del proprio corpo vivente e raggiungere una qualità più presente e creativa dell’esistenza anche nei comportamenti individuali e negli usi sociali quotidiani.

Autrice

Franca Zagatti

Q.8

DANZA DI COMUNITA'

La danza possibile del corpo che sono

Sintesi finale sull'insegnamento

sommarioscarica PDF

Inviato il 25/11/2021

da Eugenia Casini Ropa

 

Processi di autoformazione e conoscenza

attivabili con la pratica della "Danza di comunità".

 

ATTIVITA’ ESPLORATIVA

Indagare, conoscere, praticare il movimento all’interno di cornici di lavoro facilitanti che sostengano e valorizzino la ricerca espressiva e la libertà creativa.

 

PROCESSO FORMATIVO

Riscoprire il piacere di muoversi. Conquistare una prospettiva di lavoro che permetta di scoprire la varietà dei processi combinatori del proprio repertorio gestuale e motorio e al contempo apra a una migliore consapevolezza di sé.

 

FINALITA’ ATTESE NELLO SPECIFICO

Comprendere che la danza è un processo di riorganizzazione, invenzione e personalizzazione del movimento secondo parametri spaziali, dinamici, ritmici ed emozionali che possono essere esplorati, affinati e condivisi - da e con - chiunque. Instaurare una dimensione di ri-creazione di sé (la danza possibile del corpo che sono) e scoprire sintoniche risonanze con il gruppo e le comunità.

 

FINALITA’ ATTESE A LIVELLO ESISTENZIALE

Conoscere, praticare e promuovere, il diritto personale all’espressione artistica. Un diritto da difendere e rivendicare, per tutti, come spazio-tempo di qualità per sé stessi e per la propria di vita. Risvegliare e ricostruire attorno all’esperienza condivisa dei corpi in movimento, il senso di appartenenza a luoghi, pensieri, visioni.

 

 

PAROLE CHIAVE

piacere di muoversi

consapevolezza

ricreazione di se’

liberta creativa

condivisione 

 




                 VIDEO CORRELATI ALL'INSEGNAMENTO

                 Introduzione alla danza di comunità

                 Foto commentate

 

P R O C E S S I  

D I   A U T O F O R M A Z I O N E   E  C O N O S C E N Z A

A T T I V A B I L I   P R A T I C A N D O  

D A N Z A   D I   C O M U N I T A'

 

 

A T T I V I T A’   E S P L O R A T I V A

Indagare, conoscere, praticare il movimento all’interno di cornici di lavoro facilitanti che sostengano e valorizzino la ricerca espressiva e la libertà creativa.

 

La danza di comunità si realizza a contatto e nella relazione con le persone, i gruppi e i luoghi. Ha come riferimento una visione della danza calata nel sociale e pensata come forma di espressione e di partecipazione condivisa. Si occupa della crescita umana ed espressiva, del benessere psicofisico e della integrazione sociale di ogni individuo, che promuove attraverso pratiche di ascolto, ricerca e formazione del corpo e del movimento danzato. Afferma, prima di ogni altro principio, il diritto di tutti alla danza, indipendentemente dall’età, dalle possibilità, dalle diverse abilità e conoscenze di ognuno e mette in primo piano il piacere di fare assieme, in un giusto bilanciamento fra esperienza individuale e collettiva.

È orientata alla creazione e promozione di azioni culturali e artistiche, che possono trovare forma e compimento in spettacoli e performance così come nella realizzazione di seminari, laboratori, eventi, incontri, feste, rituali collettivi. Le sue applicazioni si attuano in vari contesti: educativi e sociali (scuole, ospedali, case di riposo, centri sociali, quartieri, periferie, carceri…), comunitari (gruppi multiculturali, migranti, rifugiati, disabili, tossicodipendenti…) o artistico – culturali (teatri, festival, centri culturali, biblioteche, musei, scuole di danza…).

La maggioranza di queste proposte viene ideata e condotta da artisti, performer, danzeducatori®, professionisti della danza accomunati da modalità progettuali specifiche basate su competenze sia di tipo artistico, sia pedagogico-sociali, che vengono integrate da capacità di progettazione partecipata con enti, associazioni, municipalità e realtà sociali e comunitarie.

 

Cornici di lavoro facilitanti e libertà creativa

Molto spesso le persone che si accostano a pratiche di movimento e di danza in una fascia d’età che non sia quella infantile, sono legate ad abitudini e stereotipi motori assimilati nel corso del tempo e tendono a voler essere guidate e istruite con esattezza su cosa fare e come farlo. Non sono abituate ad inventare, a sentirsi gratificate dal proprio stesso movimento, rimangono perplesse di fronte all’invito di muoversi “liberamente”, affermano convinte di non avere idee e di sentirsi bloccate. La creatività, in particolar modo quella motoria non dipende dalle doti o dalla predisposizione di una persona, ma dalla abitudine che essa ha nel metterla in atto. È una sorta di “addomesticamento” che va realizzato in un clima e con modalità appropriate: nessuno è creativo se si sente esposto al giudizio, nessuno è creativo se non ha dimestichezza con il “materiale” su cui la propria creatività dovrà andare ad innescarsi ed operare, ma soprattutto nessuno acquisterà fiducia nelle proprie invenzioni se non si sentirà ripagato da ciò che ha prodotto. Il processo creativo per essere attivo e ricettivo ha bisogno di essere stimolato attraverso specifiche procedure che sono prevalentemente di tipo associativo e combinatorio e ha bisogno di conferme e rassicurazioni. Si sviluppa meglio all’interno di territori definiti e conosciuti: è possibile partire dal movimento abituale e naturale di ognuno e guidarlo attraverso un processo di rigenerazione e trasformazione creativa, oppure iniziare dall’apprendimento di una serie di movimenti sui quali si chiederà di intervenire modificando e reinventando solo alcune parti, o, ancora, si potrà cominciare fornendo precisi temi di lavoro, sorta di scenari di accoglimento corporeo e mentale capaci di fungere da stimolo, da sostegno e da limite alla ricerca. L’importante è circoscrivere il compito, prospettare opzioni, suggerire possibili varianti, abituare all’esercizio del cambiamento attraverso aperture all’insolito e all’inaspettato. La creatività in ambito motorio deve conquistare, incantare, divertire; deve essere naturalmente inseguita, offerta e manifestata. Nel tempo ognuno imparerà a comprendere la differenza tra un movimento abitato e uno che non lo è, fra un gesto stereotipato ed uno personale, fra una proposta confusa ed una organizzata con consapevolezza, ma è un processo in divenire, legato alle singole esperienze, alle inclinazioni e alla frequentazione. Se il lavoro di tipo creativo è ben posto dovrebbe poter risvegliare in tutti il piacere di fare, il desiderio di provare, la leggerezza di sperimentare, dando origine ad una modalità positiva e attiva di “stare nel movimento”. Indipendentemente dalle proprie abilità, dall’età, da limiti fisici o mentali, chiunque può entrare in questo stato di flusso organico fra il fare e il pensare, fra l’eseguire e l’inventare. Muoversi, allora, diventa un piacere, un atto di cura verso sé stessi.

 

 

Indagare, conoscere, praticare il movimento

Per dar voce alla “danza possibile” di ognuno, è necessario accogliere quella sfida che nell’affacciarsi all’esperienza artistica la corporeità “qualunque” ci lancia. In cambio non si offrono percorsi di “ammaestramento”, ma possibili processi di conoscenza, evoluzione e trasformazione che, proprio per questo, possono sfuggire ad ogni tentativo di etichettamento relativamente alle nomenclature di metodo. Nella danza di comunità difficilmente si parla di tecniche o di stili, ma quasi sempre di “pratiche”. È evidente che la parola “tecnica” sottende e rimanda a un codice motorio, a un insieme di esercizi, a una qualità dinamica e muscolare ben precisa. Una tecnica prepara e allena un corpo secondo chiare regole sino a forgiarne la presenza, la qualità e le abitudini motorie; richiede tempo, obiettivi precisi e un’esatta progressione didattica.

Il termine “pratiche”, molto utilizzato oggi non solo nella danza di comunità, rimanda invece a una condizione più aperta e flessibile del corpo che, attraverso l’esercizio dell’ascolto, della ricerca e della sperimentazione, si muove su percorsi di indagine e scoperta del proprio essere danzante, è un “sentirsi” danzare che si lascia conquistare dal piacere della connessione con sé e con gli altri. Non nasce spontaneamente e richiede naturalmente una guida e un impianto di esperienze, di esercizi, di condotte che tuttavia possono venire trasmessi a chiunque, perché basati non sul vincolo di precisi codici motori, ma sull’opportunità offerta da un’esplorazione del movimento agìta all’interno di parametri comuni. Tali pratiche entrano in relazione col gruppo cui si rivolgono tenendo conto, nell’applicarle, delle età dei singoli partecipanti, degli interessi, della disponibilità, degli obiettivi, del tempo a disposizione ecc.

Mi piace pensare ad un comune filo rosso che lega ed unisce fra loro varie e possibili tipologie di pratiche dei corpi: è il filo rosso di quei saperi danzanti che si srotola attraverso i contesti ed è capace di avviare processi corporei di evoluzione individuale e collettiva aperti e adattabili ai luoghi, alle situazioni, alle persone.

L’operatore di danza di comunità ha perciò il compito di guidare e rendere possibile questo processo di scoperta e di conoscenza, senza instradarla verso espliciti modelli stilistici, ma favorendo l’emergere di un senso proprio dei gesti, che nel momento stesso del loro manifestarsi devono poter incontrare un corpo-guida sapiente. Un operatore deve essere pronto a offrire un rispecchiamento che non alteri l’essenza personale, ma ne esalti l’evoluzione potenziale. Il corpo di chi trasmette la danza nel contesto di comunità deve essere un corpo sensibile, allenato, in grado di neutralizzarsi e di riattivarsi a seconda dei momenti e delle situazioni, capace di pensare agendo e di essere nell’esperienza motoria alla pari di chi si sta muovendo. Un corpo immerso nella relazione con gli altri, pronto a trasmettere positività, entusiasmo, conferma, rispetto, apertura, animato da un atteggiamento non giudicante, concentrato sul piacere di muoversi, ma non compiaciuto della propria stessa danza, presente, ma pronto a lasciare spazio agli altri, per farsi attraversare dal riverbero di quella danza che è stato capace di stimolare.

 

 

P R O C E S S O   F O R M A T I V O 

Riscoprire il piacere di muoversi. Conquistare una prospettiva di lavoro che permetta di scoprire la varietà dei processi combinatori del proprio repertorio gestuale e motorio e al contempo apra a una migliore consapevolezza di sé.

 

Piacere di muoversi

Le motivazioni per cui le persone danzano possono variare in maniera considerevole e dipendere dai contesti e dalle situazioni. Nessuno ha però mai danzato per costrizione. L’atto del danzare è qualcosa che, al di là di tutto, deve avere a che fare con il desiderio, la volontà, il divertimento e il piacere di muoversi, con l’agio e l’agevolezza del dirsi: in quanto tale, difficilmente può essere imposto, è un’attività spontanea che si esercita per il puro piacere di essere fatta. Sia che si danzi in discoteca che sulla scena, sia che si danzi per condividere una tradizione, che per dar forma alle proprie emozioni, sia che si eseguano fedelmente i movimenti oppure se ne inventino di nuovi ricreandoli, il gesto di chi danza non ha una finalità concreta, ma significa di per sé e trova il suo fine nel suo stesso farsi. Credo che nessuna prospettiva – pedagogica, artistica, sociale - dovrebbe mai arrivare a negare il principio del piacere che sta alla base del danzare.

 

Scoprire la varietà dei processi combinatori  (parametri spaziali, dinamici, ritmici ed emozionali)

Nella danza educativa e di comunità ci si rifà alle teorie di analisi del movimento elaborate da  Rudolf Laban dalle quali è derivato un impianto metodologico centrato su un orientamento esplorativo e analitico che risulta essere estremamente funzionale a promuovere pratiche creative di invenzione e combinazione del movimento.

In questa prospettiva, chi danza diventa al tempo stesso interprete e creatore e impara a riconoscere quegli stessi elementi che sta esperendo e sperimentando nella propria danza, anche in quella degli altri. Può farlo in quanto gli elementi motori sono stati classificati e ordinati all’interno di  precise griglie di riferimento organizzate secondo fattori universali (spazio, tempo, peso, flusso). Rispondendo alle domande: Cosa si muove? Dove? Come? Con chi? i contenuti della danza vengono percepiti, elaborati, analizzati. Fare esperienza, osservare e analizzare cosa si sta muovendo significa puntare l’attenzione sul corpo, sulla sua struttura e sulle principali azioni motorie. Analizzare dove e verso dove si sta muovendo la propria danza o quella che si sta osservando, significa considerare lo spazio utilizzato e utilizzabile, le direzioni, il disegno e le tracce lasciate dal corpo in movimento. Il come della danza determina le caratteristiche qualitative e dinamiche del movimento. È legato al senso del peso e del tempo, al flusso, allo spazio. Considerare le relazioni che si instaurano fra parti del corpo, con altre persone, o con oggetti, significa, fare esperienza di quanto il rapporto fra diversi agenti, modifichi, ridefinisca e influenzi la danza.

Questa classificazione si pone in una prospettiva di tipo esperienziale: non insegna, cioè, a “fare” le cose in un dato modo, ma insegna a farle proprie, a vederle e riconoscerle secondo parametri comuni.  In questo sistema fare esperienza di una certa qualità dinamica (ad esempio la leggerezza) è considerato essenziale perché questa possa poi essere riconosciuta nella fase di analisi e osservazione. Ma vale anche il contrario: riuscire a riconoscerla e analizzarla nel movimento di un altro, faciliterà anche la propria esecuzione che risulterà più consapevole e chiara. Al centro del processo di conoscenza viene posta la persona che danza (bambino, adolescente, adulto, anziano), che viene coinvolta in un’esperienza di movimento incentrata su azioni concrete, abituali, quotidiane; tali azioni vengono “smontate” e poi “rimontate” e trasformate. Il processo espressivo e creativo, in questo modo, non nasce dal nulla, non si affida alla originalità e alla predisposizione del singolo, ma si appoggia su elementi motori conosciuti (perché di tipo quotidiano o perché appresi) sui quali poter innestare un fruttuoso processo di reinvenzione. Si possono compiere, così, azioni usuali e spontanee, ma mai casuali e involontarie, in quanto esse divengono consapevolmente motivate all’interno di percorsi di senso capaci di affinarne la loro struttura. La danza in questa prospettiva non è qualcosa che esiste al di fuori di me e che io debbo apprendere e modellare su di me, ma qualcosa che esiste dentro di me e che io posso intenzionalmente attivare in maniera naturale. É una dimensione latente in ognuno di noi. Non può perciò esistere un confine definito fra movimenti “adatti” e movimenti “non adatti”, fra movimenti “giusti” e “sbagliati”. Ad interessarci, non sono l’efficacia muscolare, l’efficienza performativa, non è l’età, la prestanza fisica, l’agilità, la scioltezza, la forza, ma è il corpo inteso come espressione prima dell’agire e interagire con gli altri e base imprescindibile dell’esistenza.

 

Consapevolezza di sé

Nella danza l’atto motorio ha in sé la possibilità di diventare sia azione, sia coscienza di quella azione. Più e meglio di ogni altra esperienza, la danza è capace di catapultare chiunque in un particolare stato di coscienza che coinvolge insieme emozioni, sensi e cognizione e diventa esperienza appagante e positiva, dotata d’immediatezza, focalizzata sull’azione del momento, ma al contempo aperta alla rielaborazione esperienziale del vissuto individuale e collettivo. Attraverso la pratica e la familiarizzazione con l’esperienza del danzare chiunque può migliorare quel particolare sapere che viene chiamato “consapevolezza di sé”: una sorta di codice cinetico e gestuale personale che permette di dare un nome alle percezioni e di visualizzare le proprie azioni motorie. Una migliore consapevolezza di sé permette di indirizzare ascolto e attenzione al rapporto con lo spazio, alla qualità dell’energia usata, al funzionamento delle articolazioni, ai perimetri della pelle, alla varia utilità dei muscoli, a immagini ed emozioni evocate dai gesti.

Per questo la danza potrebbe e dovrebbe oggi essere chiamata ad alleviare e sanare quella sorta di paralisi della corporeità in cui la gente è scivolata. Le persone hanno più che mai bisogno di ritrovare e di rivisitare l’esperienza naturale di un movimento che chiede di stare in ascolto e in dialogo tonico con il mondo. È un percorso di rivisitazione percettiva quello che si offre e si prospetta attraverso la danza, un percorso sensibile che può essere anche molto raffinato e che seleziona un certo tipo di sentire, di stare, di ascoltare, di inventare e che dovrebbe cercare di mantenere aperto e praticabile, a tutti e per tutti, il legame fra l’atto del corpo che si muove e la consapevolezza del proprio essere corpo che danza.

 

 

F I N A L I T A’   A T T E S E   N E L L O   S P E C I F I C O

Comprendere che la danza è un processo di riorganizzazione, invenzione e personalizzazione del movimento secondo parametri spaziali, dinamici, ritmici ed emozionali che possono essere esplorati, affinati e condivisi - da e con - chiunque. Instaurare una dimensione di ri-creazione di sé (la danza possibile del corpo che sono) e scoprire sintoniche risonanze con il gruppo e le comunità.

 

Riorganizzazione, invenzione e personalizzazione del movimento

Nella prospettiva della danza di comunità non è tanto la tipologia del gesto e quindi la sua specificità tecnica ed esecutiva a essere al centro del processo di trasmissione e apprendimento, quanto la qualità, la personalizzazione e la significatività esecutiva ed espressiva del gesto. Il movimento di qualsiasi persona potrà così essere considerato una base concreta su cui lavorare per arrivare ad una forma intenzionalmente rielaborata: una camminata è un semplice movimento di spostamento del nostro corpo funzionale allo scopo di andare da un punto ad un altro nello spazio. Ma l’esperienza del camminare sarà qualitativamente diversa, se il tempo di quel movimento, per esempio, verrà volutamente alterato, sarà diverso camminare lentamente e con passi dignitosi, o velocemente con passi brevi e frettolosi, in maniera leggera o pesante, utilizzando tutto lo spazio che si può, con la schiena curva o con la schiena dritta e così via. In ognuno di questi esempi il camminare continuerà ad essere un’azione di movimento data dal trasferimento del peso da un piede all’altro, ma sarà la natura qualitativamente diversa del nostro sentire soggettivo a costituire la materia del nostro conoscere. Quegli stessi movimenti, quei gesti, che fanno parte dell’attività naturale e spontanea quotidiana, possono essere rielaborati e volontariamente assemblati all’interno di un sistema di segni che ha la capacità di autorigenerarsi. Nella danza non è il gesto isolato a rappresentare un segnale, ma il ruolo e la funzione ad esso assegnati all’interno di un insieme di movimenti a generarne il significato. La danza, tutta la danza - quella dei bambini e quella degli adulti – attraverso un processo di personalizzazione del proprio movimento nel tempo e nello spazio, può acquistare una valenza trasfigurativa e rappresentativa che la rende unica e originale.

 

Dimensione di ri-creazione di sé (la danza possibile del corpo che sono)

Quasi sempre, quando una persona inizia un’esperienza di danza di comunità porta con sé un inespresso desiderio di cambiamento, in qualche modo vuole uscire dai parametri della sua quotidianità, vuole dare voce a parti di sé non sufficientemente manifestate ed espresse e chiede di essere visto e ascoltato. Ciò innesca un rinnovamento nella percezione di sé e crea una distanza salvifica dal proprio fare quotidiano che permette di cogliere l’importanza di quei gesti che non si è neppure più abituati a percepire e di aprirsi a una nuova dimensione sensoriale e di ascolto. E questo processo aiuta a sentirsi vitali, concreti, materici e allo stesso tempo fa scoprire una dimensione di ri-creazione di noi stessi: danzando possiamo permetterci di essere ciò che siamo, ma anche ciò che sogniamo di essere.

Danzare diventa così una proiezione verso ciò che è potenziale e intenzionale, la concretizzazione di una dimensione latente in ognuno di noi – la danza possibile del corpo che sono - perchè non c’è gesto, azione, movimento che non possa assumere una valenza artistica e poetica. In quest’ottica l’esperienza del danzare ha poco a che fare con passi e sequenze, ma ha principalmente a che fare con la possibilità di trasformare: prendere qualcosa per trasportarla da qualche altra parte. Danzare può veramente diventare un’esperienza di trasformazione e ricreazione: si ritrova, si prende e si riconosce qualcosa che fa parte del nostro patrimonio di gesti e movimenti per poi trasformarli, trasportarli e traslocarli da qualche altra parte, in una nuova dimensione del muoversi e raccontarsi.

 

Sintoniche risonanze con il gruppo e le comunità

C’è un’importante immersione sensoriale nel danzare che ci pone in contatto con altri corpi alla ricerca di sintoniche risonanze. Il corpo occupa uno spazio, che la pelle delimita, ha quindi una sua consistenza, concreta e tangibile, che ci permette di entrare in rotta di approssimazione e vicinanza col mondo circostante. Difficile sentirsi isolati mentre si danza, arduo opporsi alla compartecipazione di emozioni, pensieri, stati d’animo. Nella danza di comunità la condivisione diventa un fatto concreto, un’esperienza che passa attraverso il respiro, i gesti, il tocco, il movimento, è la scoperta del sentirsi rispecchiati e accolti da un gruppo di persone con le quali ci si ritrova a ricercare un comune ritmo e un comune sguardo. La pratica dell’incontro e dell’ascolto, della ripetizione e dell’improvvisazione, abitua allo stare in presenza di altre persone, a sentirne la vicinanza. Soltanto attraverso il rispetto dell’individualità dell’espressione di ognuno sarà possibile rinnovare quel senso di condivisione e partecipazione al danzare assieme nel quale il gruppo diventa sfondo e cornice di ogni affermazione individuale e personale. Danzando assieme ad altri io scopro e affermo me stesso, muovendomi mi inserisco nello spazio che condivido con altri corpi che imparo a percepire attraverso il peso, la vicinanza, la sintonia ritmica; guardando gli altri danzare rivedo e riconosco parte del mio stesso movimento e mi accorgo di poter far parte di un flusso e di un sentire comune. Attraverso l’esperienza del danzare chiunque può instaurare una sorta di rispecchiamento sia nei confronti del proprio stesso movimento, che deve poter essere esplorato, ascoltato, conosciuto, sia nei confronti del gruppo, il quale acquisisce una funzione di “assorbimento” e di condivisione dell’esperienza motoria.

 

 

F I N A L I T A’   A T T E S E   A   L I V E L L O   E S I S T E N Z I A L E

Conoscere, praticare e promuovere il diritto personale all’espressione artistica. Un diritto da difendere e rivendicare, per tutti, come spazio-tempo di qualità per sé stessi e per la propria di vita. Risvegliare e ricostruire attorno all’esperienza condivisa dei corpi in movimento, il senso di appartenenza a luoghi, pensieri, visioni.

 

Diritto personale all’espressione artistica

Affermare il diritto di tutti alla danza significa partecipare ad una visione democratica del corpo che considera l’atto del danzare come espressione essenziale dell’agire e interagire con gli altri, e la possibilità di un accesso garantito ai modi e alle pratiche di danza, un diritto sociale. In quest’ottica la danza non è qualcosa che esiste al di fuori di me e che io debbo apprendere e modellare su di me, ma qualcosa che esiste dentro di me e che io posso intenzionalmente attivare. La danza in questa prospettiva diventa uno strumento alla portata di tutti che si colora di un’umana predisposizione all’esprimere se stessi attraverso la partecipazione cinetica e sensoriale, attraverso il piacere di muoversi, inventare, raccontare, divertirsi. Pensare alla danza in questi termini aiuta a sfrondare immediatamente il campo da tutto un insieme d’immaginari stilistici e di preconcetti elitari e pregiudiziali su chi può o non può danzare, amplia le categorie di “danzabilità” e ci catapulta in una dimensione di danza non solo “possibile” per tutti, ma auspicabile, consigliabile, raccomandabile ad ognuno.

 

Risvegliare e ricostruire il senso di appartenenza a luoghi, pensieri, visioni.

Il senso di appartenenza può oggi essere vissuto in maniera duplice e contrastante: da un lato può rispondere a un bisogno d’identità collettiva, che spinge a sentirsi parte di un insieme complesso (geografico, storico, sociale) nel quale riconoscersi e col quale interagire. Ma può essere percepito anche come bisogno di sicurezza e di difesa verso o contro qualcuno, come bisogno aggregante e omologante che può innescare pericolose derive integraliste e nazionaliste. Certo è che oggi non è più sufficiente vivere sullo stesso territorio, avere stesse abitudini e comportamenti per sentirsi di appartenere ad una stessa comunità, il rischio anzi è quello di sviluppare forme di alleanza/appartenenza autoreferenziale unite contro qualcosa o per difendersi da qualcosa. Appare allora opportuno ritenere che il senso di comunità vada oggi più che mai ricercato e perseguito non tanto nel circoscrivere le forze dall’interno del gruppo, quanto nell’aprirle all’esterno. Va precisato che il concetto di comunità cui facciamo riferimento, non cancella quello di individualità, ma sposa una qualità pragmatica del fare assieme. Ed è proprio il fare esperienza di qualcosa liberamente scelto e condiviso con un gruppo, che può restituire un giusto bilanciamento fra individuo e collettività. Se il rischio è quello che il gruppo in maniera indistinta trovi il senso del suo esistere soltanto nell’autoconfermarsi come gruppo (etnico, sociale, economico, culturale, territoriale, mediatico), facciamo allora in modo che sia l’individuo a ritrovare un possibile orizzonte di senso personale attraverso la condivisione partecipata di esperienze vive e concrete all’interno di un gruppo.

La danza di comunità è stata capace di intercettare questo bisogno, quasi sempre inespresso e inconsapevole, di senso e di appartenenza delle persone, regalando risposte inaspettate e inattese ai partecipanti. Per esperienza personale, il bisogno di appartenenza non emerge quasi mai fra le motivazioni che spingono delle persone o dei gruppi familiari a scegliere di partecipare a una proposta di danza di comunità, anzi, in generale, pensare di dover appartenere a un gruppo che va formandosi, spaventa i più. È assai più diffuso segnalare, fra i motivi che hanno spinto o che possono motivare ad aderire a un progetto, il bisogno di fare un’esperienza nuova, il bisogno di ritagliarsi un tempo proprio fra le mille incombenze quotidiane, il bisogno di fare un’esperienza artistica, di esprimersi, divertirsi, star bene. E poi cosa succede? Succede che attraverso la pratica del fare insieme, le narrazioni dei corpi s’incontrano e le parole s’intrecciano riallacciando fili, rivelando collegamenti legati al territorio e alle storie dei luoghi, riannodando e ricreando nuove appartenenze. E così un gruppo di sconosciuti, attraverso la danza, attraverso ritualità condivise, grazie alla prova esaltante dell’andare in scena, ma non solo, si ritrova a sentirsi parte di una storia che già c’era e che si era forse dimenticata, di una storia che è nel presente e nel futuro, in una nuova dimensione del raccontarsi e dell’incontrare gli altri. Ci si sente a casa, come da tempo non succedeva più di sentirsi con gli altri, si scopre con gioia che stare assieme ha un senso legato al bisogno di vedere, nello stesso momento, quel mondo di pensieri e movimento che, insieme, si sta creando ogni volta che ci si incontra. Si sente di appartenere a un gruppo, a una comunità, a un pensiero, a una visione, a un luogo.

 

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http://www.arttherapyit.org/2009/

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