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Autrice

Tamara Alderighi

LA FORMAZIONE DI BASE

UNA FINALITA' PRIMARIA PER IL PORTALE

Appunti personali stesi per favorire una costruzione collegiale

delle finalità del Portale, 2012.

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Inviato il 8/01/2021




Il problema su cui tutta la “sinistra” si sta accanendo (senza risultati di rilievo), è l’incapacità complessiva di costruire proposte alternative al sistema dominante, che siano realistiche o almeno credibili; cioè tali da essere attrattive di una massa critica sufficiente a trasformare l’esistente.

Questa incapacità purtroppo è comune all’insieme dei coriandoli che la sinistra è riuscita a diventare, con la precisazione che non considero il PD di sinistra, anche se al suo interno permangono voci di sinistra.

Preciso anche che la mia conoscenza si limita - sostanzialmente- all’Italia, ma di sicuro se esistessero “fari luminosi” a livello mondiale, immagino che l’avrei saputi -in qualche modo- riconoscere.

 

Possono essere indicati tre principali fattori, all’origine di questo paradossale stato di incapacità di progettazione politica alternativa:

 

1. la complessità del contesto in cui operiamo, con il potere decisionale sempre più concentrato nelle mani di pochi, che ha fatto saltare le tradizionali forme di rappresentanza politica;

 

2. le caratteristiche attuali dell’individuo globalizzato, che ormai si è “fatto le ossa” per sopravvivere in un infinito presente (che deve gestire sostanzialmente da solo, con informazioni mediatiche, ugualmente infinite ma non certe, in quanto non verificabili); in una condizione a cavallo tra l’impotenza di una presunzione di onnipotenza e l’ignoranza da eccesso di informazione;

 

3. l’inadeguatezza della classe dirigente; una carenza a tutto tondo, scomponibile in tre fattori primari:

• l’incapacità di leggere il contesto, tanto da riuscire a proporre qualcosa di efficace, in una difficoltà perenne a programmare le proprie azioni con sufficiente certezza; condizione che la destina alla subalternità (carenza di analisi);

• le modalità lideristiche invalse nel fare politica, diventata palestra/palcoscenico tra quegli “individui globalizzati” che per le più varie ragioni, riescono ad avere una maggiore visibilità mediatica, che è spesso l’obiettivo primario all’orgine del pullulare di associazioni o partitini; modalità inadeguate ad elaborare azioni politiche cariche di senso e di valore sociale (carenza di progetto politico).

• la rinuncia a svolgere un ruolo pedagogico di “formazione politica mirata alla trasformazione dell’esistente”. Questo è forse l’aspetto più complesso da affrontare perché la trasformazione antropologica operatasi a cavallo del passaggio di millennio (considerata di tipo epocale), nata dall’interno delle potenzialità offerte dalla nuova strumentazione tecnologica (che ha favorito l’espansione di una proprietà diffusa dei mezzi di produzione), ha messo in crisi -e quindi in discussione- l’esercizio -individuale e collettivo- della proprietà; ovvero la molteplicità degli spazi reali di relazione interpersonale, intesi nella loro globalità. Questo nuovo stato relazionale, in perenne istantana trasformazione, ha messo alla prova dimostrandola fallimentare, anche la tradizionale gestione dell’autorità in contesti nati in funzione di una rappresentazione democratica mirata alla trasformazione dell’esistente; e quindi anche il ruolo di padre/insegnante, che nessuno si sente più autorizzato a svolgere (per non incorrere in una pubblica lapidazione) in una società mistificata in cui prevale l’apparire all’essere e fa comodo a chi occupa posizioni di potere, privilegiare la credenza che “ognuno” sia il “padrone del proprio destino”, per scaricare sulla persona comune “le colpe” di responsabilità ben altrove collocate. Nei fatti chiunque occupi una condizione dirigente si trova -oggettivamente- in uno stato di disagio reale di tipo relazionale, che richiede una continua reinvenzione di modalità. A questo disagio di natura esistenziale, si aggiunge l’altro non certo più leggero, di tipo etico-politico (anch’esso di valenza storica) originato a partire dai risultati concreti che l’esperienza avutasi nei paesi che si richiamano al comunismo è riuscita ad ottenere, mettendo in luce con evidenza incontestabile numerose zone d’ombra anche nell’elaborazione teorica, che chiede di essere rivisitata (crisi di ruolo).

 

Di particolare utilità sviluppare l’ultimo aspetto, cioè quanto la oggettiva indisponibilità a svolgere una attività di formazione di base, cioè anche pedagogica, da parte del gruppo dirigente della variegata sinistra nel suo complesso, costituisca un impedimento di fondo, non solo all’ottenimento di un consenso convinto ed appassionato alla propria proposta politica di un qualche rilievo quantitativo, ma anche all’acquisizione -dall’insieme dei singoli attivisti di base- di quella conoscenza diretta (umana e statistica) dei loro bisogni reali, capaci -essi soli- di dare “anime e corpi” alle azioni di lotta in aree di disagio socio-economico significative.

 

L’uscita dalla subalternità in cui siamo finiti nell’ultimo trentennio, richiede un grande slancio culturale, in cui diventa essenziale ripartire da cosa è diventata l’individualità -oggi- con la globalizzazione e con l’uso di internet.

 

La costruzione collettiva di nuove sensibilità dotate di senso universale -conforme allo spirito di oggi- presume che sia chiaro -per ognuno- quale sia il proprio “vantaggio” personale. Il lavoro da fare è -appunto- di tipo informativo; attrezzarsi per dare informazioni ed esempi di modalità sperimentate che facciano riconquistare fiducia in un lavoro collegiale, in cui il bene comune ed il bene individuale possano sposarsi in un progetto -appunto- di valenza universale.

 

Ma per raggiungere obiettivi così ambiziosi, non è secondario riconquistare un NOI che non sia solo un desiderio acclamato, ma che sia un noi anche agibile, in cui si riesca a chiarire bene, in anticipo e con certezza il ruolo che la specificità dell’azione di ognuno assume nell’insieme dell’azione politica che andiamo ad intraprendere. In questa direzione anche la costruzione di un linguaggio e di abitudini comuni, diventa essenziale. Non sarà possibile ottenere una concretezza operativa, se ognuno è abituato ad usare parole con significati ambivalenti o antitetici e sequenze di pensieri e di azioni, sostanzialmente incompatibili.

 

In questa luce, un lavoro sulla formazione politica di base (che date le premesse non può che essere anche autoformazione), un lavoro che si dimostri serio nei fatti, cioè collegiale, continuativo e con strumenti all’altezza dei tempi, può essere forse -possiamo sperarlo- la strada maestra per ottenere dei risultati tangibili.  Magari non aspettiamoci di poterli apprezzare in tempi brevi.

 

 

 

FORMAZIONE POLITICA E SINISTRA, DAL DOPOGUERRA AD OGGI

 

Fino a quando il PCI si è mantenuto sotto la tutela dell’URRS, la formazione politica era intesa sostanzialmente come “istruzione politica” più che come vera e propria formazione, cioè una attività pedagogica volta ad istruire i propri “quadri attivisti” per “educarli” a fare una propaganda mirata ad allargare il consenso alla propria visione politica, facendo “proseliti” per aumentarne l’efficacia della propria politica.

 

La morte di Stalin nel 53, con l’invasione dell’ungheria nel 56 da parte delle truppe sovietiche, rafforza all’interno del pci il bisogno di coltivare una idea di comunismo diversa da quello sovietico, definito in seguito “socialismo reale” per distinguerlo dal comunismo teorico.

 

Negli anni sessanta muore anche Togliatti (64), ago della bilancia nelle relazioni tra comunisti italiani ed URSS, e tutto il PCI riflette su tutto, orfano del padre/padrone che era sempre stato in grado di pilotare gli eventi del suo partito, evidenziando il peso e la connessione universale delle singole questioni in gioco; ma nella nuova classe dirigente più che una visione unitaria per l’insieme di partito, iniziano a delinearsi posizioni interne anche molto differenziate.

 

In Europa esplode il ’68, che vede diversi piani di riflessione:

- uno teorico riservato all’ambito degli intellettuali più informati (che io ho approfondito poco);

- quello dell’attualità, a partire dal rifiuto della guerra nel vietnam, ma con delle specificità nei confronti dei governi locali, sostenuto dagli studenti universitari;

- l’altro, più diffuso nella società, che sosteneva nelle assemblee tra operai e studenti e in assemblee popolari sui più vari temi di ordine politico-sociale, una visione laica e libertaria della vita (equalitarismo, fantasia al potere, il personale è politico, libero amore, ecc) con grande rispetto della singola persona e senso di responsabilità verso sé stesso e verso l’altro.

In comune ai tre fronti, lo svelamento delle modalità di gestione del potere, con particolare attenzione alla formazione esercitata nella scuola e nell’università, destinate ambedue a veicolare la cultura borghese e in particolare -la seconda- a “formare la futura classe dirigente (“padronale”)” secondo logiche in netto contrasto con le esigenze delle grandi masse popolari.

 

Nella prima metà degli anni settanta, esplode in grandi aree del paese l’euforia della sinistra.

In quel periodo tocca il suo massimo di presenza e di collegamento con la realtà sociale, per il convergere di varie emergenze: la spinta del 68, le lotte di emancipazione femminile, il riconoscimento delle lotte dei lavoratori in italia e in altre parti del mondo, ecc. Ma un dato non trascurabile, era anche la qualità della classe politica dirigente di allora, particolarmente ricca, sia per la presenza di personaggi ancora illuminati dalla lotta della resistenza antifascista, che per l’inserimento nel partito di giovani studenti universitari. Anche la stampa di partito era ricca. Riviste come “Rinascita” erano polmoni di pensiero documentato, critico e differenziato. La trascrizione quasi integrale degli interventi ai congressi che veniva fatta dall’ “unità” costituiva una base formativa seria, che serviva ad una discussione nel partito mirata ad individuare quali fossero le azioni comuni su cui convergere. Verso i nuovi arrivati nelle file del partito, ma anche verso la società, viene fatto un lavoro di formazione aperto e ricco di stimoli, con la produzione di schede e libretti di “propaganda”. Ho ritrovato recentemente delle schede di in-formazione politica, di particolare interesse che risalgono al’75. La mia esperienza nella realtà di partito nella prima metà degli anni settanta (io ero la prima donna architetto presente nell’organizzazione provinciale del partito) è stata positiva; probabilmente per i molti spazi di azione politica che il nostro gruppo di architetti ha potuto ritagliarsi in una realtà provinciale della toscana, quella pistoiese. L’espulsione dei compagni del manifesto mi ha trovato -unico voto contrario- nella direzione federale del PCI, ma questo non ci ha impedito di fare attività politica su vari fronti. Il partito era comunque -ancora per poco- una sede di dibattito con alcune garanzie di qualità e di rispetto di alcune regole primarie. I vecchi compagni ci autavano a coltivare lo studio indicandoci alcune direzioni di approfondimento e distribuendo materiale e contatti per farsi aiutare a capire. Chi veniva consultato in genere lo faceva con piacere, ritenendolo “un normale servizio reso al partito”.

 

Personalmente collego l’inizio della perdita di efficacia dello “strumento partito” come forma organizzativa -di massa- in rappresentanza dei soggetti sociali antagonisti al sistema capitalistico, a due episodi di particolare rilievo: la straordinaria vittoria nelle amministrative del 76, che ha comportato, in diverse aree del paese, uno svuotamento delle sezioni di partito e del suo radicamento nelle realtà territoriali; e l’assassinio di Aldo Moro (del 78), che ha decapitato uno dei due protagonisti del “compromesso storico” che rappresentava un chiaro riconoscimento della forza conquistata nel paese dal PCI.

 

Analisi compiute successivamente hanno evidenziato quanto la progressiva perdita di efficacia della politica di sinistra, abbia avuto un fattore di rilievo nella profonda trasformazione dell’economia avvenuta a partire dalla metà degli anni settanta. L’accelerazione nei ritmi produttivi connessa alla caduta delle barriere doganali e all’avvento di internet (con la conseguente -straordinaria- riduzione dei tempi di restituzione del capitale investito) ha avuto ricadute impensabili a livello sociale e nell’immaginario collettivo. Con la scomparsa della visione salvifica alternativa dell’unione sovietica e la diffusione dell’egemonia culturale del capitalismo, ha prevalso la logica individualistica centrata sulla competizione: ognuno è in perenne conflitto con il resto del mondo. Finchè perdura questo sentire decade ogni possibilità di destinare una parte del proprio tempo ad azioni che non siano strettamente funzionali al proprio personale successo.

 

A livello mondiale la pietra tombale sul comunismo che ha generato -quasi ovunque- “il silenzio dei comunisti” viene messa nell’89, con la caduta del muro di Berlino.

 

In Italia Occhetto, cavalcando un gruppo dirigente ormai alla deriva ed alla ricerca di nuovi miti/toccasana, smantella il PCI con la motivazione del bisogno di aprirsi alle proposte della società civile. Le ferite di una battaglia corpo a corpo tra il SI e il NO, non saranno mai rimarginate e sembra tutt’ora irraggiungibile la ricostruzione di quella fiducia primaria tra compagni dirigenti e attivisti, essenziale per confrontarsi nel merito delle questioni e poter progettare qualcosa di realistico, oltre che collegiale.

 

Da allora è praticamente scomparsa la formazione politica di base diffusa a livello territoriale, sia in senso riduttivo, come “istruzione politica”, che in senso lato, come formazione politica -aperta- ma funzionale al trasferimento di elementi conoscitivi fondanti, mirati alla trasformazione dell’esistente. E anche laddove esiste ed è di buona qualità, mantiene un effetto marginale in quanto priva di una palestra comune -radicata nella società- in cui si possa esercitare una verifica collegiale in tempi realistici.

 

Anche se sono in molti a pensare che il partito, inteso come partito di massa, sia uno strumento organizzativo superato dai tempi, non c’è dubbio che si continuino a toccare gli effetti della sua mancanza.

 

 

UTILITA’ DI UNA FORMAZIONE POLITICA DI BASE

 

Ricominciare a fare formazione pedagogica politica, è opportuno per vari motivi:

1. Non si può continuare a delegare alla scuola pubblica la formazione politica di base, proprio nel momento in cui la rete scolastica si sta profondamente dequalificando, cioè sta sempre più riacquisendo la sua natura selettiva di tipo borghese, penalizzando le persone in stato di disagio sociale, con la pretestuosa motivazione di voler valorizzare il talento naturale. Oggi la scuola, sta peraltro facendo i conti -ovunque- con una pluralità multietnica e multiculturale oggettivamente complessa e tende a destrutturare gli studenti, disorientandoli, più che a dare loro delle basi solide di riferimento per prepararli all’ingresso di una società che vorremmo inclusiva e solidale; rinunciare ad una formazione di base significa continuare ad assumere un atteggiamento subalterno nei confronti della cultura capitalistica, che peraltro è già diventata egemone a livello planetario (anche grazie alla colonizzazione del sistema mediatico).

2.  Una delle caratteristiche più devastanti della cultura capitalistica (se non la peggiore, per le ricadute relazionali) è “il culto dell’eccellenza”. L’eccellenza è propagandata come “isola salvifica” che mette al riparo dai rischi della competizione . Più qualcuno diventa “perfetto” nel suo campo di azione -magari proponendo prodotti innovativi- più è al sicuro sia sul piano economico che sul piano della acquisizione di riconoscimento alla propria competenza ed al proprio sapere. I “portatori di sapere esperto”, per propria -comprensibile- serenità esistenziale, economica e relazionale, si limitano a fare formazione che punta alla valorizzazione della propria eccellenza, cercando di diventare sempre più bravi nel proprio specifico, per diventare “inattaccabili”.

3.  la cultura mediatica punta a trasformare tutto -dal piacere di vivere, all’autoaffermazione di sé nel mondo- in merce di scambio o di seduzione o -comunque- di dominio della singola persona destinataria del messaggio, sulle altre.

4.  In questo contesto nessuno è più in grado di fare una formazione di base che punta allo sviluppo di individui maturi e responsabili, liberi e consapevoli che: la mia libertà è a danno della tua; e quindi interessati ad accrescere la propria conoscenza, di sé, dell’umanità e del contesto ambientale e territoriale, come strada maestra per valorizzare la vita in tutte le sue forme. Individui indisponibili a strumentalizzare gli altri esseri senzienti, ma anche forti dell’intenzione di non farsi strumentalizzare da altri.

 

 

UNA FORMAZIONE POLITICO-PEDAGOGICA

MIRATA ALLA TRASFORMAZIONE DELL’ESISTENTE

 

Proviamo a definire che cosa si possa chiedere oggi ad una “formazione politica efficace” cioè mirata alla trasformazione dell’esistente, ovvero una formazione trasversale e a tutto tondo, che superi la distinzione tra politica e vita, condizione essenziale per riacquistare credibilità nell’individuo globalizzato, che oggi -di fronte al disorientamento legato alla sua ignoranza impotente, nutrita di onnipotenza- chiede una risposta che dia una duplice risposta che risolva il suo interesse dell’oggi, assicurandogli spazi di autoaffermazione, ma offra anche una nuova idealità che gli permetta di ipotizzare una vita serena in un contesto in cui anche gli altri esseri umani possano stare bene.

 

Si potrebbe lavorare sulla formazione a più livelli:

1. Su paure e desideri collegati a tematiche vitali con un taglio esistenziale (welfare, lavoro, ozio, vita e morte. ecc)

2. Sulle gerarchie del potere (di genere, istituzionale, socio-economico, ecc)

3. Sui parametri valutativi del contesto (etici, morali, politici) riconducibili a criteri semplificati di immediata applicazione, lavorando per contrastare la semplificazione mistificante della destra, con schemi concettuali “scientificamente corretti” ma elementari, cioè immediatamente comprensibili anche da persone comuni, che non hanno molto tempo a disposizione per un lavoro di acculturazione, e -soprattutto- non univoci, ma aperti a diverse interpretazioni.

4. Sulle modalità del fare formazione (metodi e strumenti per affinare conoscenza e consapevolezza individuale).

 

 

 

Una prima griglia indicativa potrebbe essere la seguente:

 

LE IDEE GUIDA:

• la conoscenza o è sistemica (cioè trasversale e interdisciplinare) scientifica (cioè verificabile) e autonoma (comprensiva della formazione di uno spirito critico) o non è conoscenza, ma “istruzione” ovvero trasmissione di istruzioni funzionali alla produzione specifica, cioè portatrice implicita di relazioni gerarchiche;

• nessuna conoscenza è fine a sé stessa, in quanto l’insieme delle informazioni date sulla realtà e sul come intervenire su di essa, appartiene alla visione pratico/teorica delle persone che le hanno prodotte;

• tutto quello che non è motivato con trasparenza nelle proprie finalità generali e specifiche, corrisponde -nei fatti- ad una strumentalizzazione delle attività altrui al proprio progetto

 

I PERCORSI FORMATIVI da condurre in modo integrato attivando i vari momenti formativi:

• l’assunzione di responsabilità della formazione da parte di qualcuno (con duplice funzione di “esperto” e di “tutor”) che ne denunci le finalità formative in modo trasparente, con tappe di verifica dichiarate in via preliminare e monitorabili;

• lo studio personale, ma assistito, cioè con alcune indicazioni preliminari alternative a scopo orientativo;

• il lavoro di gruppo, in cui ognuno possa esprimersi liberamente sapendo che ogni visione ha il diritto di essere espressa e commentata;

• l’attivazione di consulenti, a sostegno delle diverse visioni espresse

 

GLI AUSILI DIDATTICI:

• Sfornare idee guida su ogni ambito tematico, con “protocolli” di valutazione politica, con le principali indicazioni alternative a confronto

 

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