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Autrice

Monia Andreani

PER UN'ECOLOGIA DELLA LIBERTA'

da Monia Andreani, Biologico, collettivo, solidale,

Capitolo V, Altreconomia 2016.

sommarioscarica PDF

Inviato il 27/12/2020

da Lia Didero

1   Il capitale delle relazioni e la sfida intergenerazionale

     Meglio “grande” o “piccolo”?

     Cooperazione e mutualismo. Costruire reti di economia solidale.

     Gli antidoti allo stress: confronti ripetuti e solidarietà interna.

2   Responsabilità senza potere: come si decide in Iris

     Autogestione nella “libertà di partecipare”.

     Autogestione a responsabilità collettiva.

     Una prassi autogestionaria con decisioni condivise.

3   Le azioni mutualistiche

     Rilanciato il concetto di proprietà collettiva.

     Emesse azioni mutualistiche individuali per soci finanziatori.

     “Capitalizzate” le relazioni.

4   Dentro il capitale, contro il capitale: il modello Iris

     Non c’è estrazione di plusvalore.

     Il surplus viene reinvestito e non spartito tra i proprietari o investito in prodotti finanziari.

     Il rapporto di lavoro non è gerarchico ma orizzontale.

     L’azienda sta fuori dalle regole del mercato capitalistico.

5   Un modello integrale di prassi autogestionaria e mutualistica da approfondire

      e tenere presente

 




             La gerarchia sarà sostituita dall’interdipendenza e la consociazione

             comporterà l'esistenza di un nucleo organico in grado di rispondere

                             ai bisogni biologici, profondamente sentiti, di sollecitudine,

                                                                            cooperazione, sicurezza, amore.

Murray Bookchin

 

1   Il capitale delle relazioni e la sfida intergenerazionale

 

La cooperativa Iris può essere considerata una realtà medio grande nel panorama dell’economia solidale italiana che è costituita mediamente da aziende piccole o piccolissime. Quello che è davvero grande in Iris è il tessuto organico, perché pulsante e vitale, una vera e propria rete eco-solidale che è riuscita a tessere negli anni con grande caparbietà: con la filiera, con la rete economica tra le cooperative consociate, con il sostegno a sperimentazioni portate avanti dai GAS, con il sostegno a chi vuole fare percorsi simili nell’ambito della cooperazione.

 

Meglio “grande” o “piccolo”?

Ma cosa significa grande o piccolo, nel campo dell’altra economia? Quale è la misura per dire che una realtà è grande laddove si considera “il piccolo” un valore? Se analizziamo possiamo associare la formula “piccolo è bello” con la nascita del movimento del consumo critico, difatti è più inerente ad esso che agli schemi di azione propri del sistema economico. Dare valore al piccolo è strategico per il consumo critico perché consente di costruire un’uscita progressiva dal modello di mediazione commerciale espresso dalla grande produzione e dalla grande distribuzione che impongono le loro regole. Quindi la piccola distribuzione dei GAS e il rapporto diretto tra produttore e consumatore sono un patrimonio acquisito divenuto imprescindibile. L’azienda che fa biologico, tuttavia, ha la necessità di sussistere in un sistema di mercato molto difficile per via delle leggi imposte dall’economia mainstream e di far lavorare i propri dipendenti o soci, magari di sviluppare lavoro, di investire l’utile per il bene comune aziendale e comunque crescere, sempre nella dimensione della sostenibilità, quindi possibilmente in rete con le altre aziende, in un sistema di cooperazione e non di concorrenza. Quindi appellarci genericamente al valore del “piccolo” in modo quasi sacrale è poco coerente con gli obiettivi di crescita dell’economia eco-solidale che vuole stare nel sistema come antagonista prendendo forza per resistere all’avanzata dei giganti delle multinazionali e della grande distribuzione.

Se noi davvero pensiamo che questo modo diverso di fare economia possa avere un futuro dobbiamo immaginarlo grande, ovvero dobbiamo fare scelte coraggiose perché ci siano molte aziende di piccole e medie dimensioni che possono stare in rete e allargare così le maglie ad altri settori della produzione senza fermarsi all’agroalimentare, cosa che peraltro sta succedendo. Non è sufficiente lavorare ad una “decolonizzazione dell’immaginario”[1] e quindi favorire un’uscita definitiva dalla prospettiva di sviluppo concentrata sull’aumento di produzione e di consumi all’infinito. Occorre pensare alle “gemmazioni” dell’economia eco-solidale e del bene comune per far transitare l’attuale sistema verso una dimensione sostenibile e responsabile per il domani. Questo è l’attuale percorso che i Distretti di Economia Solidale stanno sperimentando tra mille difficoltà ed è questa la strada che è stata proposta anche da Cooperativa Iris con altri autori in un paper presentato alla Conferenza Internazionale della Decrescita di Venezia del 2012. In questo ambito l’esperienza della cooperativa Iris può e deve essere analizzata non ricorrendo ad una misura di grandezza, che è inutile per valutare il valore che Iris può portare nel movimento dell’economia eco-solidale. Vale la pena conoscere Iris, invece,  per studiare la struttura di reti informali e sperimentali che ha costruito negli anni e la sua azione come agenzia di sviluppo della consapevolezza politica verso una transizione comunitaria dell’economia eco-solidale. In un panorama mondiale di riposizionamento del movimento di giustizia globale (Global Justice Movement) su posizioni globali ma sempre più gestite in ambito locale (per dare valore ai progetti che promuovono la dignità del lavoro e la consapevolezza ambientale), sono proprio le forme cooperative che promuovono il “mutualismo” e la “solidarietà” a costituire una fonte di studio e di ispirazione per progettare il domani.

 

Cooperazione e mutualismo. Costruire reti di economia solidale.

Così scrivono Francesca Forno e Paolo R. Graziano: «Durante gli anni della rivoluzione industriale – cioè in un periodo storico caratterizzato da grandi trasformazioni e da un sistema delle opportunità politiche, economiche e sociali decisamente sfavorevole all’azione dei movimenti – le cooperative divennero uno strumento di organizzazione economica e di emancipazione per i lavoratori. A prescindere dal tipo, dalla dimensione, dalla finalità, o dalla collocazione geografica, le cooperative furono un mezzo per perseguire uno o più obiettivi di tipo economico, come ad esempio il miglioramento delle condizioni di vita, un abbassamento dei prezzi di alcuni prodotti, l’ottenimento di beni e servizi altrimenti non disponibili, l’aumento dei salari e l’accesso al credito. Tramite il lavoro educativo e l’organizzazione della vita sociale, inoltre, le cooperative sono state fondamentali per la diffusione della cultura della cooperazione e la formazione di legami sociali tra i propri membri»[2].

 In questo momento storico le politiche neo-liberiste stanno riducendo al minimo  il welfare pubblico e incidono in maniera pesante sulla vita economica, politica e sociale, modificando addirittura l’immaginario al punto di dare altro senso alle parole che usiamo, anche alla parola cooperazione, che spesso è abusata e pertanto snaturata del suo valore solidale. Proprio ora è davvero utile guardare ad un’esperienza come quella di Iris che riprende la storia della cooperazione e del mutualismo in senso pieno, rivitalizzandone tutti gli aspetti e unendo ad essi la centralità della terra, del biologico e dell’ecologico.

Ho comunque voluto chiedere a chi lavora in Iris cosa pensa della dimensione della cooperativa e cosa vede nel domani, e ho deciso di chiederlo soprattutto ai giovani per capire se la prospettiva valoriale mutualistica e solidale, che ha come obiettivo quello di costruire reti di economia eco-solidale, fosse da loro condivisa fino in fondo. Ho scoperto che proprio i più giovani stanno riflettendo su questo aspetto e considerano fondamentale mettere al centro il rispetto per le altre aziende, basato sul principio del non fagocitare mai il più piccolo, con il valore dell’autogestione. Marco Berrettera, così risponde alla domanda sulla dimensione attuale di Iris: «Non vogliamo crescere di più siamo nella dimensione della impresa solidale ma non vogliamo di più. Noi siamo contro il modello di inglobare le altre aziende». Linda Casani, da parte sua, dice: «Ora siamo una azienda medio grande. Quando abbiamo deciso di prendere il pastificio Nosari è stata una scelta etica. Anche se la produzione industriale cambia tutto, hai delle imprevedibilità, ma noi non l'abbiamo fatto per la mania di diventare grandi. L'azienda in cui si produceva la pasta Iris stava per chiudere e  di fronte ad una scelta che si doveva fare tra lasciare le persone senza lavoro o portare avanti la produzione, noi abbiamo deciso di andare avanti. Se mi chiedi cosa vedo nel futuro di Iris ti rispondo che spero che arrivino altri soci, che i soci più anziani anche quando si ritireranno dal lavoro rimangano tra di noi ad aiutarci a sviluppare le relazioni con gli altri». Dice ancora Linda: «Non c'è una dimensione perfetta, il rischio è che più diventi grande, più rischi di perderti. Quando è stato preso il caseificio (azienda Olini) noi lo abbiamo aiutato a rinascere e poi lo abbiamo lasciato andare, lo sosteniamo ma non lo abbiamo acquisito, è parte della filiera in modo del tutto autonomo». Alberto Rossi così esprime il suo parere su come sarà la Iris di domani anche nel rapporto con lo sviluppo dell’economia eco-solidale: « Non sarà una cooperativa più grande, la vedo nel suo essere di oggi con una filiera molto più sviluppata per le esigenze del nuovo pastificio. Vedo la parte sociale gestita dalla Fondazione, e poi vedo soprattutto sbocciare cooperative che seguono la nostra strada come Edilcasa».

 

Gli antidoti allo stress: confronti ripetuti e solidarietà interna.

Maurizio Gritta pensa che la dimensione giusta sia costituita dalla misura in cui ci si confronta su tutto quello che si fa, e non si agisce da soli. Confrontarsi, tuttavia, non vuol dire chiedere il permesso agli altri per le proprie azioni quotidiane, che devono essere portate avanti con autonomia e responsabilità, significa portare le questioni nuove, le ide e le proposte negli incontri per farne patrimonio comune di discussione e per trovare insieme, di fatto condividere le risposte, le azioni da intraprendere. In una cooperativa come Iris, che ha fatto dell’autogestione e della mutualità il centro di ogni azione, nel momento in cui si perde la centralità delle relazioni e si va avanti senza confrontarsi con gli altri, l’autogestione diventa più nominale che reale e la dimensione giusta è inevitabilmente superata.

Il ricambio generazionale è già in atto nella struttura interna della cooperativa e di ASTRA bio e la figura dei soci giovani è sempre più centrale. Marco Berrettera dice: «Qui in Iris occorre imparare - noi in ASTRA abbiamo avuto questa possibilità e siamo cresciuti, abbiamo dovuto dare i nostri pareri. Un'altra azienda avrebbe preso dei manager esterni, qui ci sono i soci lavoratori che devono crescere. Facciamo le riunioni la sera, ci confrontiamo moltissimo». Quando in Iris arriveranno dei manager esterni – sostiene Maurizio Gritta – l’autogestione sarà finita e così entrerà in crisi la cooperativa come la conosciamo noi oggi, questo è un assunto prezioso condiviso completamente dai giovani soci che sono in CdA.

A mio avviso è auspicabile non sovraccaricare di responsabilità le persone e soprattutto non sottoporle allo stress di surmenage che prevede di seguire senza pausa e con ritmi velocissimi, una azienda che è molto vigorosa. Anche per questo, da osservatrice esterna, ritengo che i confronti ripetuti e la solidarietà interna di cui mi hanno parlato tutti in Iris, siano davvero importanti e possono costituire un antidoto per ridurre i momenti di stress. Anche per questo motivo ritengo lungimirante la scelta di far partire il nuovo bio pastificio con 3 linee quando potrebbero esserne già state realizzate 5. Così si guarda all’industria imparando dalla terra. Per garantire una maggiore fertilità della terra occorre rispettarne i tempi e così per garantire uno sviluppo armonioso anche della nuova parte industriale di Iris, occorre far armonizzare i passaggi e dare il tempo che ci vorrà per prendere decisioni future. Il passaggio che sta facendo Iris risponde alle necessità di mantenere vivi i valori fondamentali rivitalizzandoli e dando loro nuova linfa. Per fare questo l’unica strada è quella di confrontarsi con le nuove generazioni cresciute in un mondo molto diverso da quello degli anni ’70, quando questo progetto è nato. Non si sta attuando un passaggio di testimone, si sta cogliendo la sfida intergenerazionale e si stanno ponendo le basi del futuro di Iris. «Oggi è bello vedere i ragazzi che ricoprono un ruolo chiave nella struttura», dice a proposito Paolo Morelli.

 

 

2   Responsabilità senza potere: come si decide in Iris

 

Autogestione nella “libertà di partecipare”.

Chi decide in Iris e come si decide? Abbiamo detto che si tratta di una cooperativa in cui vige il criterio dell’autogestione e anzi che questo concetto è talmente centrale per chi ci lavora da essere considerato un punto irrinunciabile per pensare al futuro. Nel lungo arco dei quasi 40 anni di vita della cooperativa le decisioni fondamentali  sono state prese sempre in assemblea con incontri leali e vissuti fino alla fine, con passione da parte di tutti i soci. Nelle assemblee cruciali per la storia della cooperativa non si è accettato il meccanismo delle deleghe, così chi ha deciso lo ha fatto responsabilmente, come ha detto Maurizio Gritta, “ci ha messo la faccia”. Nelle assemblee di Iris si decide attraverso il metodo del consenso anche se con un voto finale dei soci: così è stato per la ricapitalizzazione del Signorini, per la decisione di prendere il pastificio Nosari, per quella di costruire il nuovo pastificio, per la scelta di emettere le azioni mutualistiche (di cui tratterò nel prossimo paragrafo). Votare non è contrario al metodo autogestionario se si raggiunge il voto dopo essersi a lungo confrontati ed avere trovato significative basi di consenso. Dice Fulvia Mantovani a tale proposito: «finché non si trova una condivisione comune noi discutiamo e ci confrontiamo, non è che dobbiamo votare tutti allo stesso modo ma anche chi non è favorevole per noi è fondamentale che condivida la scelta della maggioranza». Questo modo di intendere la prassi autogestionaria ha una chiara base libertaria e questo vuol dire che in Iris partecipare è espressione della libertà individuale. Scrive Bookchin nel suo libro l’Ecologia della libertà: «quello che è fondamentale a questo proposito è il principio stesso: la libertà dell’individuo di partecipare, non l’obbligo e neppure il bisogno di farlo»[3]. Per tenere fede a questo principio, sottile da capire, ma fondamentale una volta che è stato fatto proprio, i soci della cooperativa sono così attenti a non forzare nessuno a diventare socio. Occorre lasciare la libertà individuale di partecipare. Il motivo per cui ai dipendenti della Nosari diventati dipendenti di ASTRA bio non è stato proposto in termini forti o condizionanti di entrare in Iris, segue questo principio. In sintesi, se diventi socio lavoratore di Iris non sei un socio passivo, la tua cooperativa ti chiede di essere nel progetto, di portare avanti un’idea di mutualismo e di solidarietà, la tua cooperativa si muove con una prassi libertaria, partecipi perché hai deciso di partecipare, certo puoi anche non partecipare ma questo non è il modo di stare in Iris.

 

Autogestione a responsabilità collettiva.

Sovrana nella cooperativa è l’assemblea e di assemblee ce ne sono 2 all’anno una in primavera e una in autunno -  a sei mesi l’una dall’altra, sono informative sulle azioni che si vogliono fare e di rendiconto dell’andamento della situazione.  All’assemblea i soci vanno con la consapevolezza del valore della loro presenza in un luogo che è realmente decisionale. Come spiega il Presidente Maurizio Gritta: «In Iris alle assemblee puoi avere solo una delega e parti dal quarto grado di parentela.  Gli amministratori non possono avere deleghe, quindi io in cooperativa sono più penalizzato degli altri, io ho solo un voto, il mio. Tu non puoi lasciarmi una delega. Qui le truppe cammellate non ci sono». Il principio di trasparenza interno, considerato un punto centrale dell’economia del bene comune è di gran lunga superato dalla concezione libertaria e autogestionaria fatta propria dalla cooperativa. Partendo dalle modalità decisionali del movimento comunista anarchico che si basa sull’autogestione, Iris pratica la democrazia diretta che prevede il coinvolgimento individuale e la responsabilità di tutti e tutte coloro che decidono rispetto a ciò che si è deciso, in una forma di responsabilità collettiva. Come sono le assemblee di Iris me lo racconta Fulvia Mantovani: « Da quando ci sono le azioni mutualistiche le assemblee sono molto partecipate, si ritrovano anche cento persone all’assemblea di Iris. La cooperativa ha avuto sempre assemblee partecipate. Negli anni passati ne abbiamo fatta solo una all’anno perché avevamo 25/30 soci e c’erano tutti a quell’assemblea. Per noi l’assemblea è sovrana. La presentazione nell’assemblea la fa il presidente e dopo ci sono dei consiglieri che aggiungono le loro idee e approfondiscono i punti in discussione, poi c’è l’assemblea che discute. I partecipanti fanno domande, ci si confronta su tutto e poi alla fine c’è la votazione».

 

Una prassi autogestionaria con decisioni condivise.

Nel segno della trasparenza interna, oltre all’assemblea, la cooperativa e ASTRA bio organizzano un incontro mensile aperto a soci e non soci che illustra l’andamento delle decisioni prese in assemblea. Poi ci sono gli incontri dei due consigli di amministrazione: Iris e ASTRA bio, che si vedono separatamente ma anche insieme. Fulvia Mantovani ne spiega il funzionamento: «ASTRA bio lavora per Iris, non è una cooperativa, ma ha lo stesso modello di sviluppo della cooperativa e ha quindi la stessa struttura. Abbiamo voluto per ASTRA bio un consiglio di amministrazione. Infatti non è detto che certe cose si possano fare solo in una cooperativa, se l’obiettivo è la condivisione, questo obiettivo lo puoi trasferire in ogni società. In ASTRA bio abbiamo voluto coinvolgere i lavoratori disponibili nella direzione dell’azienda stessa. Noi ci troviamo spesso, sempre  per i progetti grandi o per discussioni tipo quella di partecipare ad una campagna commerciale di un certo tipo che si discosta dalle nostre politiche. Noi ci troviamo insieme e cerchiamo i pro e i contro. Se non si arriva ad una decisione condivisa ci si rivede e si ridiscutono i pro e i contro fino al momento in cui si prende una decisione. In ASTRA bio  sono 5 le persone che partecipano e 5 in Iris, le decisioni più importanti le prendiamo in 10, ci stiamo aprendo per inserire altre due persone». Quello che mi preme sottolineare delle parole sempre chiare, precise e illuminanti di Fulvia Mantovani, è proprio l’aspetto della creatività che Iris ha sviluppato nel tempo a partire dalla prassi autogestionaria, creando spazi di condivisione e di scelta anche dove non sono previsti, piegando il sistema alle sue esigenze, non piegandosi a quelle del sistema. Di cosa accade nei CdA e di come funzionano me ne parlano sia Amos Maffezzoni del CdA di Iris, sia Piergiovanni Zanola del CdA di ASTRA. Amos ha alle sue spalle una lunga esperienza in un CdA di una grande struttura di coordinamento del mondo dell’agricoltura e dice che la sua esperienza come amministratore di Iris è molto diversa: « Qui sei amministratore sul serio ed è una cosa importante. Qui se si sbaglia si sente sulla nostra pelle e su quella di tutti e tutte, occorre stare attenti e si discute molto delle scelte. Decidere come fare e cosa fare. Discutiamo su quali sono le referenze delle aziende che dobbiamo scegliere per gli appalti del nuovo pastificio, la loro eticità. Per ora tutto è andato bene. Si discute tutto in Iris dal numero di maiali dell’allevamento agli appalti». Pier parla così della sua esperienza nel CdA di ASTRA come rappresentante dei consumatori: « Io sto nel consiglio e di solito parlo per ultimo perché  devo essere cosciente del fatto che chi ci lavora ha una visione più concreta e vicina. Trovo importante che anche Maurizio si esprima alla fine per non governare la situazione. Si sta ad ascoltare chi è più capace di parlare della questione in gioco, visto che siamo molto diversi e abbiamo dei ruoli diversi, così è possibile avere la visione del problema secondo angolazioni diverse. Anche nel Consiglio non dobbiamo decidere subito, se non c’è una visione comune si dice: “abbiamo bisogno di avere un altro parere” aspettiamo la prossima settimana, chi se ne occupa?” E una persona, di solito quella più competente per la questione che si sta discutendo dice che se ne occuperà. Così fa telefonate, chiede consulenze, prende nuovi elementi e poi ci si rivede e si ridiscute».

 

 

3   Le azioni mutualistiche

 

Rilanciato il concetto di proprietà collettiva.

Le azioni mutualistiche rappresentano un’altra invenzione che proviene dalla dimensione autogestionaria e solidale di Iris, sono state pensate e realizzate al fine di rilanciare la capitalizzazione della cooperativa in vista della costruzione del bio pastificio. Ma non è propriamente solo così, anzi di fatto con le azioni mutualistiche Iris ha fatto qualcosa di diverso, ha condiviso e capitalizzato la sua proposta partecipativa, allargando la sua base di soci, rilanciando il concetto della proprietà collettiva. Perché sottoscrivere le azioni mutualistiche? Nell’informativa leggiamo: «Per finanziare una cooperativa che opera con un modello economico solidale per una filiera italiana di contadini con produzioni biologiche equo solidali ed etiche che valorizzano le vecchie sementi per salvaguardare la biodiversità. Per finanziare una realtà dinamica con un progetto solido e realizzabile: il pastificio biologico IRIS, costruito con tecniche di bioedilizia, che usa energie alternative e ottimizza il consumo energetico abbattendolo in modo sostanziale, che migliora la qualità del lavoro. Il prodotto sarà di altissima qualità nel rispetto della tradizione dei pastai italiani, con l’utilizzo di tecnologie avanzate. Per finanziare una realtà solida imprenditoriale senza l’utilizzo di strumenti impersonali e speculativi». In sostanza, nel caso in cui una persona segua il modello di vita che parte dalla consapevolezza del consumo critico, appartenga ad un GAS, sia ecologista, intenda promuovere un altro modo di fare economia, in tutti  questi casi e in ognuno, questa persona può investire i suoi risparmi per questa causa piuttosto che affidarsi alla banca.

 

Emesse azioni mutualistiche individuali per soci finanziatori.

Fulvia Mantovani e Alberto Rossi sono le persone che in maniera più diretta si sono occupate di sviluppare l’idea delle azioni mutualistiche e mi raccontano questo appassionante percorso, che rappresenta l’ultima grande innovazione di Iris.

Con il nuovo diritto societario, racconta Fulvia: «le cooperative si sono dovute equiparare alle società per azioni e noi abbiamo dovuto cambiare lo statuto. Abbiamo dovuto inserire una voce che si chiamava “strumenti finanziari”. Questa voce mi ha fatto pensare che avremmo potuto utilizzarla nel momento del bisogno. Nel 2005 abbiamo preso il pastificio Nosari e abbiamo lavorato a testa bassa, ci siamo resi conto della mole del lavoro e dell’impegno economico che dovevamo avere. Nei primi anni è andato tutto molto bene. Mi ricordo che Maurizio diceva: “Non preoccupiamoci che se facciamo andare bene una azienda agricola andrà bene anche il pastificio che ha cose determinate mentre in natura di determinato non c’è niente”. Ad un certo punto ci siamo resi conto che il pastificio era di vecchia concezione, molto oneroso come sistema di lavoro e anche come manutenzione delle macchine, così abbiamo cominciato a pensare a qualcosa di altro. Cosa potevamo fare? C'era tanta gente a lavorare e siccome la nostra concezione è la produzione del lavoro mai e poi mai ci è venuto in mente di chiudere. Io ho sempre presente lo Statuto e mi ricordavo bene di questa voce “strumenti finanziari”. Sono una persona molto puntigliosa e pertanto sono andata in Consiglio di Amministrazione per chiedere agli altri di approfondire il significato di questa voce che mi sembrava interessante. Poi abbiamo chiesto insieme incontri con le organizzazioni della cooperazione. Ci hanno sconsigliato di emettere azioni gestite direttamente dalla nostra cooperativa, piuttosto ci hanno proposto di appoggiarci a dei bond o di emettere azioni collegandoci ad una banca, per cui strutturate in maniera del tutto diversa. Ma noi non siamo in linea con il metodo di gestione del denaro delle banche e volevamo trovare una gestione diretta del denaro. Abbiamo cercato varie consulenze e nessuno ci ha appoggiato». Anche Alberto Rossi ricorda questo passaggio e sottolinea: « Ci proponevano strumenti finanziari impersonali. Le azioni mutualistiche di Iris ribaltano tutto questo sistema. Chi decide di dare dei soldi alla cooperativa decide di diventarne parte, non si tratta di un finanziamento ad un terzo che fai solo per la cedola. Il rapporto è diverso, il socio investe perché sa quale è il progetto primario, condivide i nostri scopi e i nostri progetti e personalizza l’investimento. Il risparmio del socio serve a finanziare una realtà economica solida e che permette di portare avanti principi che sono anche i suoi». Come ha fatto Iris a seguire la strada delle azioni mutualistiche, quando nessuno voleva o era in grado di stare dietro a questa innovazione? Fulvia Mantovani continua a raccontare: «Noi non ci siamo fermati, studiando il nostro statuto e la legge sulle azioni rivolta alle cooperative abbiamo messo giù uno scritto con dei concetti per poter emettere queste azioni. Nel nostro mondo, intendo nel mondo solidale, abbiamo cercato chi potesse darci una mano una volta che avevamo già scritto le nostre proposte e così abbiamo conosciuto un commercialista di nome Guido Brunoni esperto in cooperative. Io e Alberto Rossi stavamo lavorando a questo progetto e abbiamo mandato a questo commercialista una bozza di regolamento, lui lo ha approvato. Ci ha detto: “avete un’idea eccellente”. Il notaio, poi, ha valutato il patrimonio di Iris e ha detto cosa dovevamo fare e come. Pensando all’utile, noi non volevamo dare al socio finanziatore che acquisiva le azioni la parte economica solamente in denaro ma anche quella in prodotto, perché volevamo ricalcare la nostra prassi. Un socio che ha una mutualità importante con noi (ad esempio un lavoratore) ha uno stipendio e un benefit in prodotto, questa cosa la volevamo anche per il socio finanziatore. Il notaio ha reputato che il prodotto ha un valore - una parte del prodotto è stata equiparata all’utile. Così abbiamo fatto un’assemblea straordinaria in cui abbiamo presentato il progetto. Iris aveva già fatto una patrimonializzazione in passato e in un’assemblea abbiamo deciso come fare tutti insieme».

In questa assemblea anche i soci storici di Iris sono stati d'accordo e così la cooperativa ha emesso 5 milioni di euro di azioni. Amos Maffezzoni raccontando questa vicenda, dice: «All’inizio quando si parlò di fare le azioni e di andarle a proporre per me è stato difficile, poi si è sciolto tutto» al punto di aver accettato di entrare in CdA come rappresentante dei soci finanziatori e di gestire ora i contatti con questi soci. Mentre Ersilio Camozzi, il Presidente del Collegio dei Revisori, con un certo orgoglio racconta: «Quando siamo andati dal notaio a fissare il tetto e hanno detto che volevano emettere 5 milioni, io e i miei colleghi Sindaci abbiamo pensato che l’avevano sparata grossa, eppure ci siamo, con le azioni mutualistiche sono stati raccolti oltre 4 milioni di euro in poco più di 3 anni».

 

“Capitalizzate” le relazioni.

Ma come ha fatto Iris a ottenere in così poco tempo una così grande adesione alle sue azioni mutualistiche? La cooperativa non si è affidata a interventi di marketing, non si è affidata alle banche, ma ha fatto forza sul capitale delle relazioni ed è andata a promuovere questa proposta alle assemblee dei GAS e nelle realtà dell’economia solidale. Dice ancora Fulvia: «Chi sono i nostri soci? Sono i gasisti, i fornitori, i produttori. Quando non avevamo più le azioni A e B arrivavano ancora i soldi e siamo andati di corsa per fare una nuova emissione. Ora abbiamo le azioni C e D. Sono azioni di 5 e 7 anni. Perché abbiamo cambiato? Perché quelle di 3 anni non le voleva prendere nessuno, la gente crede in Iris e vuole tenere da noi i suoi soldi, vuole che noi facciamo economia solidale con questi soldi e produciamo lavoro. Chi ha qualche piccolo risparmio da investire non ha nessuna intenzione di acquistare azioni a breve scadenza. C’è stato anche un signore che aveva bisogno di riscattarle prima della scadenza, così l’abbiamo detto in giro, le hanno ricomprate subito».

Con le azioni mutualistiche Iris ha offerto una possibilità di collocazione di risparmio con una rendita fissa in denaro e in prodotto, rispondendo con una sua proposta originale al bisogno dell’altra economia di costruire diverse modalità gestione della finanza che siano fuori dal sistema finanziario delle banche. Fulvia Mantovani e Franco Stuani mi hanno raccontato di aver valutato a lungo anche il rischio di un utilizzo improprio di questo strumento da parte della malavita organizzata per riciclare denaro. Per questo è stato fissato un tetto massimo per l’acquisto di azioni di 200.000 euro.

Maurizio Gritta così racconta l’assemblea in cui si è deciso di emettere le nuove azioni C e D, rispettivamente di 5 e 7 anni: « In assemblea si è deciso di non riemettere le azioni mutualistiche di 3 anni e di fare quelle da 5 e 7 perché la cooperativa ha bisogno di più tempo. Chi ha fatto la proposta ha detto per primo che non le ritirerà neppure dopo 7 anni e i nonni dicono che le fanno per i loro nipotini».

 

 

4   Dentro il capitale, contro il capitale: il modello Iris

 

Vorrei chiudere questo libro tentando di dimostrare in termini politici la tesi ardita che è già contenuta nelle parole del titolo di questo paragrafo. Roberto Mangiarotti primo socio finanziatore di Iris in termini temporali, persona che crede e pratica la sussistenza come radicale forma oppositiva all’attuale sistema, dice: «Iris mi fa vedere che è possibile mantenere dei valori stando nel mercato. Iris è dentro un sistema che è quello capitalistico del mercato ma non va in quella direzione, ed è la cosa migliore che si possa fare in una società che è basata sul profitto. Io finanzio questo progetto perché è la cosa migliore che ci sia oggi». Intendo partire dalla visione di Roberto, che tra tutte quelle che ho incontrato in questo viaggio è la più critica verso il sistema attuale in cui tutti viviamo, per provare a dimostrare che quello che lui dice è vero, alla luce di tutto ciò che ho analizzato ripercorrendo le tappe fondamentali della storia di Iris.  Si tratta di compiere una sintesi delle analisi etiche e politiche – azzardando qualche accenno economico – e sostenere che Iris agisce sistematicamente in senso ostinato e contrario rispetto al capitalismo vigente, attraverso un continuo sabotaggio compiuto dall’interno.

 

Quali sono i punti fondamentali che possiamo elencare per valutare se un’esperienza economica di tipo aziendale si comporti in termini  anticapitalistici? Proviamo a elencarne alcuni.

 

Non c’è estrazione di plusvalore.

Per quanto riguarda l’estrazione del  plusvalore dal lavoro, possiamo considerare che la situazione di Iris sia quella di una  progressiva transizione verso l’azzeramento dello sfruttamento del lavoro. I soci lavoratori della cooperativa hanno uno stipendio che è stato equiparato e una parte dello stipendio è stata stabilita sotto forma di prodotto ed è uguale per tutti. Ora si procede in due direzioni: da un lato quello di far transitare i dipendenti di ASTRA bio che vogliono diventare soci lavoratori di Iris alla cooperativa, e dall’altra quella di far rientrare tutti in un unico contratto, così da raggiungere la parità salariale e quindi azzerare l’estrazione di plusvalore dal lavoro abolendo di fatto la categoria dei dipendenti.

 

Il surplus viene reinvestito e non spartito tra i proprietari o investito in prodotti finanziari.

Il secondo punto selezionato per valutare la dimensione anti-capitalistica di un’esperienza economica aziendale riguarda il reinvestimento dell’utile. In Iris l’utile è spartito tra i soci lavoratori e tra i soci finanziatori (in parti proporzionali secondo criteri mutualistici e si tratta di una suddivisione di utile che comprende anche il prodotto). Il resto dell’utile viene reinvestito nell’azienda, perché è l’azienda il bene comune che in questo caso è anche collettivo, dato che si tratta di una proprietà collettiva e che comprende una parte sociale. Come tiene a specificare Maurizio Gritta: « Iris non ha mai messo i soldi in borsa. Non ha mai acquistato una azione e una obbligazione. Anche quando hanno cominciato a girare i soldi è stata decisa la gestione finanziaria interna. E le banche hanno fatto la fila a proporci finanziamenti. L’Iris ancora oggi lavora al 50% con liquidità sua. Gran parte di queste intuizioni viene da lontano, dall’autogestione e dal mutualismo. Le intuizioni devono essere rinnovate e per questo abbiamo adottato le azioni mutualistiche. Quando abbiamo trovato la legge sull’azionariato popolare e abbiamo inventato le nostre azioni le abbiamo chiamate mutualistiche non a caso, forse qualcuno non ha capito da subito il nome che abbiamo voluto dare, ma quelli dell’ala vecchia hanno capito tutti».

 

Il rapporto di lavoro non è gerarchico ma orizzontale;

Il terzo punto riguarda il superamento del livello gerarchico nei rapporti di lavoro e la necessità di una prassi orizzontale negli aspetti decisionali. Tutto quello che fa Iris è basato su una consolidata prassi autogestionaria che è stata capace di modellare anche l’operato dell’azienda creata per commercializzare i prodotti della cooperativa. ASTRA bio poteva essere diversa da come è, essere un’azienda come le altre Srl e invece è organizzata al suo interno come se fosse una cooperativa. La prassi orizzontale e autogestionaria ha poi maturato l’esigenza di una trasparenza totale della gestione interna che già si esplica con incontri mensili aperti a soci e a non soci e con la gestione orientata al consenso delle assemblee. Inoltre è in progettazione per il futuro la possibilità, per i soci, di seguire i consigli di amministrazione in video conferenza.

 

L’azienda sta fuori dalle regole del mercato capitalistico

Il quarto punto prevede una valutazione di quanto Iris, pur stando dentro il mercato sia ad esso anche estranea. Questo a mio avviso è un elemento fondamentale per valutare la reale portata rivoluzionaria della cooperativa Iris anche oggi che è diventata una presenza importante nel mercato agro alimentare del biologico. Per motivi principalmente etici e politici ancora oggi Iris vende direttamente al consumatore non avvalendosi di alcun mediatore esterno. Non troverete prodotti Iris sugli scaffali dei supermercati e neppure su quelli dei nuovi supermercati del biologico. Questa è una scelta coraggiosa, di resistenza e rivoluzionaria. Iris non fa pubblicità e se la fa è solo in determinati circuiti dell’altra economia sporadicamente per comunicare le proprie scelte e non per promuovere il prodotto. Questo perché intende mantenere un rapporto privilegiato di fiducia con il consumatore, rimanere nell’ambito del consumo critico e soprattutto avere una politica di equità sui prezzi dei prodotti.

 

Un modello integrale di prassi autogestionaria e mutualistica da approfondire e tenere presente

Infine vorrei spendere due parole sulla dimensione di ripetibilità dell’esperienza di Iris. Certamente come dice Alberto Rossi: «Maurizio e con lui Paolo hanno creato Iris, noi non possiamo fare le stesse cose che hanno fatto loro». Le esperienze dei giovani oggi sono politicamente molto diverse da allora. Inoltre occorre ricordare che il clima politico in cui si sono mossi Maurizio Gritta e Paolo Morelli, alimentato da valori del comunismo anarchico, era eccezionale anche allora così come è difficile da trovare oggi. Iris, quindi, non è ripetibile perché come ogni esperienza ha una storia unica, è un fiore che inaspettatamente è sbocciato laddove nessuno se lo aspettava.

Per verificare la praticabilità di strade simili, è possibile, però, studiare  il modello integrale che Iris ha maturato attraverso la sua prassi autogestionaria e mutualistica: al suo interno e con ASTRA bio, con la filiera, con le consociate, con i progetti dei GAS, con la Fondazione e il progetto di BIOcomunità. Non  significa studiare questo modello per riprodurne come una fotocopia, si tratta di prendere in esame in senso concreto il concetto di gemmazione. In questo senso Iris deve essere pensata come un bene comune collettivo, chi la conosce e ne entra a far parte in qualche modo, impara con il tempo cosa vuol dire autogestione e responsabilità senza potere, facendo una piccola rivoluzione, a volte inconsapevole, nel suo quotidiano, perché i metodi partecipativi e libertari di Iris affascinano e conquistano e trasformano. Quindi guardando anche a questo modello, e mi piace pensare che questo mio libro sia pertanto utile, è possibile continuare la  pratica di gemmazioni dell’economia ecologica, equa e solidale, in una prospettiva integrale e a suo modo anticapitalistica. Considerando poi che Iris non è fatta da persone eroiche: «Qui siamo un gruppo di persone che ci mettono del proprio, si confrontano e fanno scelte. Noi non facciamo niente di diverso. Ci svegliamo e andiamo a lavorare. Nel lavoro quotidiano siamo normali, direi standard, quello che fa la differenza è nelle cose materiali che sono il contenuto del lavoro, è nelle nostre scelte», dice Fulvia Mantovani. Fare le scelte concrete e quotidiane nel nome di libertà, di solidarietà, di partecipazione a partire dal lavoro, è la maniera più bella per progettare il domani.

[1] Come scrivono Iris coop., Ferruccio Nilia, Saverio Senni, Paolo Tomasin, Giuseppe Rizzardo, nel documento: Forme, saperi  e valori dell’economia solidale. Un possibile percorso di transizione verso il distretto di economia solidale, presentato al Workshop 23 della Conferenza Internazionale della Decrescita, Venezia, 2012.

[2] Francesca Forno, Paolo R. Graziano, Il consumo critico. Una relazione solidale tra chi acquista e chi produce, Il Mulino, Bologna, 2016, p. 32

.[3] Murray Bookchin, L’ecologia della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia, Eleuthera, Milano, 2010, p. 514.

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