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Quattro prospettive etiche: animalismo ambientalista, animalismo animalista, animalismo umanista, animalismo spirituale. Traduzioni giuridiche
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LE RAGIONI DELL’ANIMALISMO

 

Gli animali sono meritevoli di tutela in base a due criteri: il valore e la soggettività.

 

1 Il loro valore è quello di bioarchitetture meravigliose per ingegneria, grazia, mistero, sconfinata fantasia; vivificano con la propria presenza gli ecosistemi, ispirano potentemente, in tutte le culture, l'autocomprensione dell'uomo. La tutela in base al valore, che riconosce loro lo status di beni equiparabili ad altri beni ambientali o ai beni culturali, s'iscrive nel quadro più ampio della tutela della biodiversità: difendere contro l'invasione antropocentrica moderna la bellezza/ricchezza immemoriale del mondo.

 

2 La soggettività si accerta attraverso lo studio dei sistemi nervosi centrali e dei comportamenti. Segnatamente i vertebrati sono esseri senzienti, comunicanti, in grado di soffrire, godere, apprendere, provare affetti, emozioni, sviluppare capacità: doti che in condizioni favorevoli si manifestano pienamente ma che subiscono una mortificazione quasi totale nella dismisura della violenza cui le vittime sono sottoposte dentro gli allevamenti. intensivi, gli impianti di macellazione, i laboratori di sperimentazione/vivisezione. Di fronte all'attuale barbarie sarebbe comunque preferibile uno scenario vita degna-morte indolore; preferibile ma non aproblematico, in quanto la privazione di una vita degna massimizza il danno.

 

3 All'animalismo ambientalista (del valore) e all'animalismo animalista (della soggettività) è importante affiancare un animalismo umanista, in difesa dell'onore dell'uomo. L'uomo è disonorato dal modo in cui tratta gli animali. Non è "sviluppo della persona" (art. 3.2 della Costituzione italiana) maltrattare e uccidere animali, servirsi per cibo, vestito, dei loro corpi reificati. L'imperativo di “pietà e giustizia“ si estende anche sul carnefice, non solo sulla vittima. Noblesse oblige: la nobiltà crea doveri, non privilegi. I due animalismi sono sinergici: più è vero che gli animali sono senzienti e intelligenti, più sono gravi i doveri dell'uomo nei loro confronti; più è vero che l'uomo supera gli animali non umani in razionalità e spiritualità, più sono gravi i suoi doveri nei loro confronti.

 

4 E il diritto? Tutte le ricerche registrano uno spostamento del baricentro del diritto, negli ultimi due decenni, da un'attenzione quasi esclusiva per gli interessi umani a una qualche considerazione per gli interessi animali. L'articolo 13 del Trattato di Lisbona del 2009, norma europea di rango paracostituzionale, statuisce che "l'Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti". Il Titolo IX-bis del codice penale italiano, entrato in vigore nel 2004, prevede sanzioni carcerarie e pecuniarie a carico di chi, per crudeltà o senza necessità, uccida, maltratti, abbandoni, detenga animali in condizioni produttive di gravi sofferenze. Esistono leggi. di protezione delle diverse specie animali destinate alla macellazione. Al tempo stesso la macellazione è espressamente esentata, insieme alla caccia, alla pesca, alla sperimentazione/vivisezione, dalla qualifica di "uccisione" e di "maltrattamento". La contraddizione delle leggi speciali con i principi generali e con il realismo ontologico è evidente e può sanarsi solo attraverso un sempre maggiore riconoscimento dei diritti animali.

 

5 Alle quattro forti ragioni fin qui evocate vorrei, a titolo personale, aggiungerne una quinta, più selettiva: una ragione spirituale. Nessun uso violento, non necessario, degli animali, cioè finalizzato principalmente al piacere o al guadagno, è dharmico, perché il dharma include come elemento essenziale la non violenza (ahimsa), l'amore-compassione (karuna). La violenza sugli esseri senzienti, sia quella consapevole e culturalmente/religiosamente legittimata, sia quella non consapevole, perpetrata per abitudine e psicologicamente rimossa, non può non costituire un ostacolo sulla via della liberazione sapienziale, verso la mente dell’illuminazione-beatitudine, che non è concepibile come egoica e priva di compassione.

Autore

Luigi Lombardi Vallauri

DIRITTO ANIMALE VIGENTE

Testimonianze, tendenze, tensioni

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Inviato il 13/05/2019

Il diritto europeo e italiano vigente, questo "intellettuale pesante" forse più vicino alla avanguardie coscienti che alla massa della popolazione, testimonia in modo altamente probante, implicito ed esplicito, a favore della meritevolezza di tutela delle diverse specie animali sottoposte a caccia sportiva, allevamento intensivo, trasporto industriale, macellazione e abbattimento, sperimentazione/vivisezione o utilizzate per compagnia/affezione. C'è quindi me una tensione fortissima tra i valori antitetici soggettività animale e utilità umana, che rende le norme, in alcuni punti, scandalosamente contraddittorie. Il saggio suggerisce alcune linee interpretative ispirate alla tendenza oggettiva del diritto vigente verso un sempre maggiore riconoscimento dei diritti animali.

 




da Luigi Lombardi Vallauri, Scritti animali, Capitolo VIII, Gesualdo Edizioni, Gesualdo 2018.

 

1. Intenti

In questo contributo mi propongo di lavorare quasi solo a valle del diritto, lasciando sullo sfondo i molti rivi etici, ecologici, umanitari che sono confluiti, o stanno confluendo, nel bacino di raccolta giuridico-positivo. Una buona ragione della scelta è che al pregiuridico viene comunque dedicata la Parte prima del volume (nota 2017: mi riferivo a La questione animale, in cui è uscito originariamente questo contributo), e che in generale c’è immensa sproporzione tra la quasi sterminata letteratura zoo-ontologica, zoo-fenomenologica, zoo-etica e la tuttora esigua letteratura zoo-giuridica. Una seconda ragione è che considero il diritto un “intellettuale pesante”, lento nel muoversi ma che quando si muove non è affetto dalla graziosa “légèreté” tipica di molti mobilissimi intellettuali medi. Ora questo intellettuale probante sembra, nel nostro campo, addirittura anticipare i mores, forse più vicino alle avanguardie coscienti che alla massa inerziale della popolazione.

Del diritto animale vorrei fornire una visione orientativa d’insieme, lasciando a giuristi positivi più competenti la trattazione per singoli ambiti e problemi. Tengo presente soprattutto l’ordinamento italiano, che d’altra parte è sufficientemente rappresentativo del diritto comune europeo perché nasce quasi tutto dalla recezione di testi formulati in sede di Consiglio d’Europa o di Unione. E nel diritto italiano privilegio le norme concernenti gli animali in sé, come singoli, rispetto a quelle concernenti gli animali o come esemplari di specie minacciate di estinzione, tutelate in base al valore biodiversità, o come componenti di ecosistemi pregiati oggetto di tutela appunto sistemica e dunque indifferente alla sorte, fisica e psicologica, dell’animale singolo. Privilegio insomma il diritto animale animalista rispetto al diritto animale ambientalista.

All’interno di questo corpus normativo seleziono esclusivamente i passi che valgono come testimonianze rese dall’intellettuale Diritto a favore della tesi della coscienza/sensibilità/intelligenza/soggettività animale. Suddivido le testimonianze, con ovvia semplificazione, in implicite ed esplicite. Le prime si desumono da termini (come “protezione”) e da disposizioni strutturali il cui senso, nel contesto, è chiaramente quello di tutelare non solo il corpo, ma anche la soggettività animale. Le seconde consistono in aperti riconoscimenti della soggettività animale stessa. Mi limito, per brevità, alle fonti legislative, tralasciando non poche sentenze importanti che figureranno comunque nei contributi specialistici. Procedo seguendo l’ordine tematico adottato per la Parte giuridica del volume La questione animale e, all’interno degli ambiti tematici, l’ordine cronologico.

 

2. Animali in genere

a) L. 20 luglio 2004, n. 189 (Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate). Titolo IX-bis del libro II del codice penale «Dei delitti contro il sentimento per gli animali».

a1) Implicite: tutta la ratio animalista del testo, la condanna di uccisione, maltrattamento, spettacoli crudeli, combattimenti lesivi dell’integrità fisica, abbandono, detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura, divieto di utilizzo di cani e gatti per la produzione di pelli e pellicce.

a2) Esplicite: «crudeltà» (art. 544-bis cod. pen.), «crudeltà sevizie comportamenti o fatiche o lavori insopportabili per le caratteristiche etologiche» (art. 544-ter cod. pen.), «sevizie o strazio» (art. 544-quater cod. pen.), «condizioni produttive di gravi sofferenze» (art. 1, comma 3).

La gravità delle pene (fino a 3 anni di reclusione) conferma la presa di posizione molto netta del legislatore. Non è chiaro a quali animali si applichino le disposizioni della legge, formulata in termini generalissimi. In vista di un’interpretazione sistematica si può forse menzionare l’art. 1, comma 2, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 146 (Attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti) che verrà commentato in seguito: «Ai fini del presente decreto si intende per: a) animale: qualsiasi animale, inclusi pesci, rettili e anfibi, allevato o custodito per la produzione di derrate alimentari, lana, pelli, pellicce o per altri scopi agricoli». È ragionevole pensare che le sanzioni previste dalla l. n. 189/2004 si estendano almeno a tutti gli animali intesi dal d.lgs. n. 146/2001, che peraltro eccettua i selvatici, gli animali da spettacoli e da sperimentazione e gli invertebrati, e certamente a tutti gli animali da affezione.

b) Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007, ratificato e reso esecutivo in Italia con l. 2 agosto 2008, n. 130, entrato in vigore a livello europeo il 1 dicembre 2009.

Esplicite: «Nella formulazione e nell’attuazione delle politiche dell’Unione nei settori dell’agricoltura, della pesca, dei trasporti, del mercato interno, della ricerca e sviluppo tecnologico e dello spazio, l’Unione e gli Stati membri tengono pienamente conto delle esigenze in materia di benessere degli animali in quanto esseri senzienti» (art. 13). Da notare: «esigenze», «benessere», e soprattutto «in quanto esseri senzienti». Il precedente protocollo sulla protezione e il benessere degli animali del Trattato di Amsterdam viene esteso alla fauna ittica e approfondito con il riconoscimento esplicito che gli animali sono, dal punto di vista onto-psicologico, esseri senzienti.

Dato il rango paracostituzionale del Trattato di Lisbona, è chiaro che questo articolo impone al giurista europeo un’interpretazione “costituzionalmente orientata” di tutte le norme sugli animali alla luce dell’inserto «in quanto esseri senzienti» dell’art. 13, che anche in mancanza di norme costituzionali nazionali (per esempio della tanto auspicata revisione dell’art. 9 della Costituzione italiana) diventa “principio fondamentale” in materia di rapporti giuridici uomo-animali.

 

3. Selvatici

L. 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio).

La legge non ha quasi nulla di esplicito e ben poco di implicito. È vietato «usare a fini di richiamo uccelli vivi accecati o mutilati ovvero legati per le ali» (art. 21, comma 1, lett. r), «usare esche o bocconi avvelenati, trappole, reti, tagliole» (art. 21, comma 1, lett. u), «l’esercizio in qualunque forma del tiro al volo su uccelli» (art. 21, comma 1, lett. aa). Si tratta di una legge quasi solo conservazionista. Per questa legge la caccia non è né uccisione né maltrattamento ai sensi della l. n. 189/2004; gli animali “normalmente” feriti e uccisi non vengono in alcun modo tutelati.

 

4. Allevamenti

a) L. 14 ottobre 1985, n. 623 (Protezione degli animali negli allevamenti e protezione degli animali da macello).

a1) Implicite: la ratio stessa della legge; “protezione”, “proteggere”, “allevamento intensivo”.

a2) Esplicite: «Ogni animale deve beneficiare di un ricovero, di una alimentazione e di cure che – tenuto conto della specie, del suo grado di sviluppo, di adattamento e di addomesticamento – siano appropriate ai suoi bisogni fisiologici ed etologici, conformemente all’esperienza acquisita e alle conoscenze scientifiche» (art. 3); «La libertà di movimento peculiare dell’animale non deve essere ostacolata in maniera che ciò possa procurargli sofferenze o danni inutili» (art. 4, comma 1); «Se un animale viene continuamente o abitualmente legato, incatenato o tenuto costretto, bisogna assicurargli sufficiente spazio per i suoi bisogni fisiologici ed etologici» (art. 5); «Nessun animale deve essere alimentato in modo tale che ne risultino sofferenze e danni inutili» (art. 6); «Le condizioni e lo stato di salute dell’animale devono essere oggetto di una accurata ispezione per evitargli sofferenze inutili, e comunque almeno una volta al giorno nel caso di animali tenuti nei moderni sistemi di allevamento intensivo» (art. 7). Si noti la corretta messa in evidenza dell’anti-etologicità dei moderni allevamenti intensivi.

b) D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 533 (Norme minime per la protezione dei vitelli).

b1) Implicite: «I vitelli stabulati in gruppo devono poter disporre di uno spazio libero sufficiente a consentire loro di voltarsi e di sdraiarsi senza alcun impedimento» (art. 3, comma 1); «Nessun vitello di età superiore alle otto settimane deve essere rinchiuso in un recinto individuale» (art. 3, comma 3, lett. a); «Ogni recinto individuale non deve avere muri compatti, ma pareti divisorie traforate che consentano un contatto diretto, visivo e tattile, tra i vitelli» (art. 3, comma 3, lett. a). È «fatta salva l’adozione di misure più severe» (art. 5; art. 9, commi 2 e 4).

b2) Esplicite: mancano, ma sono evidentemente presupposte da tutta l’architettura normativa del decreto.

 c) D.lgs. 26 marzo 2001, n. 146 (Protezione degli animali negli allevamenti).

Può considerarsi la magna carta in materia, il testo del quale possono considerarsi applicazioni alle diverse specie i decreti sui vitelli (1992), sulle galline ovaiole (2003), sui suini (2004), e la direttiva sulla protezione dei polli da carne (2007).

c1) Implicite: tutta la struttura e ogni singola norma. Segnalabili: l’obbligo di individuare «criteri e modalità per l’adozione di metodi alternativi all’alimentazione forzata per anatre e oche» (art. 6); il divieto della «bruciatura dei tendini e del taglio di ali per i volatili e di code per i bovini» (all. 1, punto 19); i limiti posti al taglio del becco (all. 1, punto 19); il divieto, a partire dal 1 gennaio 2004, «dell’alimentazione forzata per anatre ed oche e della spiumatura di volatili vivi» (all. 1, punto 19). Come sempre «possono essere adottate tecniche di maggior tutela» (art. 6).

c2) Esplicite: «benessere», passim; «esigenze», passim; «dolore, sofferenze o lesioni inutili» (art. 2); «esigenze fisiologiche ed etologiche» (art. 4 e all. 1, punto 7); «sofferenze» (all. 1, passim); «confortevoli» (all. 1, punto 4); «esigenze comportamentali e fisiologiche» (all. 1, punto 11); «inutili sofferenze o lesioni» (all. 1, punti 7 e 14).

Il d.lgs. n. 146/2001 e l’insieme dei testi normativi concernenti la protezione degli animali da macello negli allevamenti intensivi consente, anzi suggerisce, di lanciare il concetto di “struttura probante” per riassumere, senza entrare nei dettagli etologici e veterinari specie-specifici, tutte le disposizioni la cui ratio evidente è appunto garantire un minimo di protezione, un minimo di benessere agli animali allevati per la macellazione.

d) D.lgs. 29 luglio 2003, n. 267 (Protezione delle galline ovaiole).

d1) Implicite: struttura probante.

d2) Esplicite: «inutili sofferenze» (all. 1, punto 7).

Da segnalare la contraddizione implicita in all. 1, punto 8: «è vietato qualsiasi tipo di mutilazione. Tuttavia, al fine di prevenire plumofagia e cannibalismo, è consentito il taglio del becco, a condizione che sia effettuato da personale qualificato su pulcini di età inferiore a dieci giorni». La mutilazione del becco è consentita in quanto “utile” perché le condizioni dell’allevamento inducono nelle galline plumofagia e cannibalismo. Non è chiaro poi con quanto becco residuo le galline si nutrano e bevano. Tutto questo non sembra conforme alle «esigenze fisiologiche ed etologiche» di cui al d.lgs. n. 146/2001.

e) D.lgs. 20 febbraio 2004, n. 53 (Norme minime per la protezione dei suini).

e1) Implicite: struttura probante.

e2) Esplicite: «fame», «bisogno», «benessere», «confortevole», «sofferenze», «anestesia», «analgesici».​

Come al solito, contraddizioni: si consentono, sia pure come eccezioni e nel quadro di un obbligo di migliorare le condizioni ambientali e ridurre la densità degli animali: «una riduzione uniforme degli incisivi dei lattonzoli» o la loro «troncatura»; la riduzione o troncatura delle zanne dei verri; il mozzamento di una parte della coda; la castrazione di suini di sesso maschile con mezzi diversi dalla lacerazione dei tessuti; l’apposizione di un anello al naso. Castrazione e mozzamento della coda dopo il settimo giorno di vita «devono essere effettuati unicamente da parte di un veterinario sotto anestesia e con somministrazione prolungata di analgesici».

f) Dir. 43/2007/CE (Direttiva del Consiglio del 28 giugno 2007 che stabilisce norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne).

f1) Implicite: struttura probante.

f2) Esplicite: «benessere», passim, 15 volte solo nelle Considerazioni.

Come al solito, «gli Stati membri restano liberi di adottare misure più rigorose» (art. 1, par. 2).

Non mancano contraddizioni o tensioni. Da un lato, art. 3, par. 2, «gli Stati membri garantiscono che la densità massima non superi in alcun momento 33 kg/mq» (il che significa qualcosa come 17 polli da 2 kg in un metro quadrato); d’altra parte l’art. 3, parr. 3-5 consente deroghe fino a 42 kg/mq.

Come sintesi sul diritto concernente la protezione degli animali negli allevamenti intensivi si può dire che il termine indicante lo stato fisico-psichico perseguito con la protezione è l’onnipresente «benessere». Molti termini ancora più espliciti, come il quasi altrettanto frequente «sofferenze», la menzione delle «esigenze», dei «bisogni etologici», del «dolore» e dei connessi «analgesici» confermano la testimonianza del diritto a favore della soggettività animale. Ma soprattutto è imponente la testimonianza implicita: come già detto, si può parlare di “struttura probante” nel senso di sistema normativo che non ha dubbi sulla soggettività di esseri dei quali pure conosce e consente la schiavizzazione, la riduzione a oggetti anonimi, la funzionalizzazione integrale al macello, con qualche punta prossima all’orrore.


 

5. Trasporti

a) Regolamento (CE) n. 1/2005 del Consiglio del 22 dicembre 2004 “sulla protezione degli animali durante il trasporto e le operazioni correlate”.

a1) Implicite: tutto il regolamento, che è il testo di gran lunga più ampio sulla protezione degli animali. Viene trattato in dettaglio ogni aspetto concernente durata dei trasporti, qualificazione dei trasportatori, spazi, temperatura, ventilazione, acqua, alimenti, riposo, ispezioni e controlli veterinari, eventuale abbattimento in modo umano o eutanasia, divieto di azioni brutali e anti-etologiche.

a2) Esplicite: il termine «benessere» ricorre almeno 26 volte; appaiono anche «dolore», «sofferenza», «lesioni o sofferenze inutili» (passim), «lesioni o sofferenze», «lesioni e sofferenze», «stress», «spavento», «timore», «agitazione», «disagio», «bisogni», «interesse degli animali».

Il Regolamento è forse il testo normativo più ricco di termini concernenti le diverse forme del dolore e del danno animali. Riproduco i parr. 1.8 e 1.9 del capo III dell’all. 1: «È proibito: a) percuotere o dare calci agli animali; b) comprimerne parti sensibili del corpo in modo tale da causare loro dolore o sofferenze inutili; c) sospendere gli animali con mezzi meccanici; d) sollevare o trascinare gli animali per il capo, le orecchie, le corna, le zampe, la coda o il vello o trattarli in modo tale da causare loro dolore o sofferenze inutili; e) usare pungoli o altri strumenti con estremità aguzze. Deve essere evitato, nella misura del possibile, l’uso di strumenti che trasmettono scariche elettriche. Le scariche non devono durare più di un secondo, devono essere applicate soltanto ai muscoli dei quarti posteriori».

L’aggettivo «inutili», onnipresente, mostra che sono ammessi il dolore, le sofferenze e i danni “utili”, cioè funzionali alle operazioni di carico, trasporto e scarico. La testimonianza a favore della soggettività è fortissima.

b) D.lgs. 25 agosto 2007, n. 151 (Disposizioni sanzionatorie per le violazioni del regolamento 2005/1).

Esplicite: riprende la terminologia del regolamento, segnatamente «sofferenze inutili» e «sofferenze» (almeno 12 volte).

Molte norme concernenti i trasporti sono riprese dal d.lgs. n. 333/1998 sulla macellazione, là dove (all. 1) si regola il trasferimento degli animali ai luoghi di macellazione: testo tra i più probanti sul piano sia implicito che esplicito.

 

6. Macellazione, abbattimento

D.lgs. 1 settembre 1998, n. 333 (Protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento).

6.1. Implicite: tutta la lettera e la ratio del testo. Paradigmatico l’obbligo dello stordimento prima dell’uccisione per dissanguamento (art. 5, comma 1, lett. c) e all. C). «Lo stordimento non deve essere praticato se non è possibile l’immediato dissanguamento degli animali» (all. C, punto II). Nello stordimento mediante pistola a proiettile captivo, il colpo deve essere sparato, a seconda della specie, «in modo che il proiettile penetri nella corteccia cerebrale. In particolare, per i bovini è proibito sparare il colpo dietro le corna nello spazio tra le orecchie» (all. C, punto II. 1). «Gli animali non devono essere sistemati in un box per lo stordimento se l’operatore incaricato di stordirli non è pronto a operare fin dal momento in cui l’animale vi è introdotto. Un animale non deve avere la testa immobilizzata finché l’operatore non è pronto a stordirlo» (all. C, punto II.1, lett. c). Analoghe disposizioni per gli altri metodi, cioè la percussione che produce commozione cerebrale, l’elettronarcosi, la camera a gas. Per tutti i metodi di uccisione (la macellazione per dissanguamento e i vari metodi di abbattimento) è prescritta la massima possibile rapidità: il dissanguamento per recisione delle carotidi deve essere «rapido, profuso e completo» (all. D); il dispositivo meccanico per l’abbattimento dei pulcini deve essere «munito di lame a rapida rotazione o protuberanze di spugna» in modo da produrre, anche per gruppi numerosi di animali, una morte rapida (all. G); gli animali non storditi prima della macellazione devono essere «abbattuti istantaneamente» (art. 5, comma 1); «se i volatili da cortile vengono dissanguati mediante decapitazione eseguita automaticamente, dev’essere sempre possibile anche l’intervento manuale diretto in caso di mancato funzionamento del dispositivo» (all. D). Il personale dei macelli deve possedere la «preparazione teorica e pratica necessaria a svolgere tali attività in modo umanitario ed efficace» (art. 7).

6.2. Esplicite. I principi generali che informano teleologicamente o assiologicamente tutta la materia sono statuiti con la massima chiarezza. «Le operazioni di trasferimento, stabulazione, immobilizzazione, stordimento, macellazione e abbattimento devono essere condotte in modo tale da risparmiare agli animali eccitazioni, dolori e sofferenze evitabili» (art. 3). «La costruzione, gli impianti e l’attrezzatura dei macelli, nonché il loro funzionamento, devono essere tali da risparmiare agli animali eccitazioni, dolori e sofferenze evitabili» (art. 4). «Gli animali feriti o malati devono essere macellati o abbattuti sul posto; il veterinario ufficiale può, tuttavia, autorizzare il loro trasporto per la macellazione o l’abbattimento purché ciò non comporti ulteriori sofferenze» (art. 12). Altri termini esplicitamente significativi di soggettività sono «coscienza», «conoscenza», «incoscienza»: «il dissanguamento deve essere effettuato prima che l’animale riprenda coscienza» (all. D); «occorre abbattere gli animali prima che riprendano conoscenza» (all. E); «nel caso di piccole quantità di conigli, qualora li si colpisca al cranio in modo non meccanico, l’operazione deve essere effettuata in maniera che l’animale passi immediatamente a uno stato di incoscienza perdurante fino alla morte» (all. C, punto II.2, lett. b) «l’intensità e la durata della corrente utilizzata devono essere tali da garantire che l’animale passi immediatamente a uno stato di incoscienza persistente fino alla morte» (all. C, punto II.3.B.1). Lo stordimento viene definito come «qualsiasi procedimento che, praticato sugli animali, determina rapidamente uno stato di incoscienza che si protrae fino a quando non intervenga la morte» (art. 2, comma 1).

 

7. Sperimentazione

a) D.lgs. 27 gennaio 1992, n. 116 (Protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali o ad altri fini scientifici).

a1) Implicite: tutto l’impianto; molte singole disposizioni, per esempio il divieto di interventi che rendano afoni o l’acquisto per esperimenti di animali resi afoni (art. 6, comma 5), l’obbligo di far figurare nei registri degli stabilimenti i dati relativi all’identità e all’origine di tutti i cani, i gatti o i primati non umani presenti (art. 13, comma 4); l’espressione stessa, che figura passim, «primati non umani».

a2) Esplicite: numerose e altamente probanti. «“Esperimento”: l’impiego di un animale a fini sperimentali o scientifici che può causare dolore, sofferenza, angoscia o danni temporanei durevoli» (art. 2, comma 1, lett. d); «l’eliminazione del dolore, della sofferenza, dell’angoscia o dei danni durevoli, grazie alla corretta applicazione di un anestetico» (art. 2, comma 1, lett. d). «Tra più esperimenti debbono preferirsi: 2) quelli che implicano l’impiego di animali con il più basso sviluppo neurologico; 3) quelli che causano meno dolore, sofferenza, angoscia o danni durevoli. Tutti gli esperimenti devono essere effettuati sotto anestesia generale o locale» (art. 4, commi 2 e 3). «Un animale non può essere utilizzato più di una volta in esperimenti che comportano forti dolori, angoscia o sofferenze equivalenti» (art. 4, comma 4). È fatto obbligo che «un medico veterinario controlli il benessere degli animali allo scopo di evitare danni durevoli, dolore, inutili sofferenze o angoscia» (art. 5, comma 1, lett. d). «Gli esperimenti devono essere effettuati in modo da evitare angoscia e sofferenza o dolore inutili agli animali» (art. 6, comma 1). «L’animale che, una volta passato l’effetto dell’anestesia, soffra molto deve essere trattato in tempo con degli analgesici o, se questo non è possibile, deve venire immediatamente ucciso con metodi umanitari» (art. 6, comma 1). «Un medico veterinario procede comunque alla sua soppressione quando permangano condizioni di sofferenza o angoscia oppure quando sia impossibile mantenere l’animale nelle condizioni di benessere di cui all’art. 5» (art. 6, comma 4). «In deroga all’art. 4, comma 3, un esperimento può essere effettuato senza anestesia soltanto su autorizzazione del Ministro della sanità. Nell’ipotesi di cui al comma 1 si deve ricorrere ad analgesici o ad altri mezzi adeguati ad assicurare che il dolore, la sofferenza, l’angoscia o il danno siano ridotti e che dolore, sofferenza e angoscia residui non siano forti. Ogni esperimento, che comporta o rischia di comportare gravi lesioni o un forte dolore che potrebbe protrarsi, deve essere specificamente dichiarato per l’autorizzazione del Ministro della sanità, che la concede solo in caso di eccezionale importanza dell’esperimento» (art. 9). Gli stabilimenti utilizzatori possono essere autorizzati dal Ministero solo se tali da garantire esperimenti «con il minor numero possibile di animali ed il minimo di dolore, sofferenza, angoscia o danni durevoli» (art. 12). L’animale anestetizzato è quello «privato della sensibilità» (art. 2, comma 1, lett. k); i metodi umanitari sono quelli che «comportino, secondo la specie, la minore sofferenza fisica e psicologica» (art. 2, comma 1). Ovviamente ricorre passim il termine «benessere». Fortemente “soggettivisti” i termini «angoscia» (che ricorre almeno 10 volte) e «sofferenza psicologica». Tutto questo è particolarmente probante perché il contesto di riferimento, ben più della caccia e della macellazione, è rigorosamente scientifico.

b) L. 12 ottobre 1993, n. 413 (Norme sull’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale).

b1) Implicite: tutto l’impianto della legge, che può presumersi motivato dalle considerazioni del d.lgs. n. 116/1992, uscito un anno prima.

b2) Esplicite: quasi solo il concetto di opposizione “alla violenza su tutti gli esseri viventi”, concetto che non applicandosi alla violenza sui vegetali, anch’essi viventi, implica l’equazione viventi = senzienti, e che verosimilmente include sia il dolore che il danno.

 

8. Animali da compagnia/affezione

a) Convenzione europea 13 novembre 1987 (Protezione degli animali da compagnia).

a1) Implicite: tutto l’impianto, per esempio le norme che esigono professionalità ed esperienza per l’allevamento e la custodia a fini commerciali, che vietano gli spettacoli e le competizioni nocive alla salute e al benessere degli animali e la somministrazione di sostanze per elevare il livello naturale delle loro prestazioni, il taglio delle orecchie, della coda, delle corde vocali e l’asportazione delle unghie e dei denti, l’obbligo di supervisione veterinaria, l’impegno degli Stati a promuovere lo sviluppo di programmi di informazione e di istruzione ispirati ai principi della Convenzione, a cominciare dal riconoscimento «che l’uomo ha l’obbligo morale di rispettare tutte le creature viventi» (Preambolo).

a2) Esplicite: particolarmente impressionanti. Per es. «Art. 3 – Principi fondamentali per il benessere degli animali. – 1. Nessuno causerà inutilmente dolori, sofferenze o angosce a un animale da compagnia. – 2. Nessuno deve abbandonare un animale da compagnia». L’espressione «dolori, sofferenze o angosce» ricorre almeno 4 volte, oltre a «forti dolori», «sofferenze», «sofferenze fisiche e morali». «Salute e benessere» ricorre almeno 7 volte. Solo un veterinario o altra persona competente può uccidere l’animale e l’uccisione deve essere eutanasica, deve «indurre una perdita di coscienza immediata», «iniziare con la somministrazione di un’anestesia generale profonda seguita da un procedimento che arrechi la morte in maniera certa».

b) L. 14 agosto 1991, n. 281 (Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo).

b1) Implicite: impressionanti. I cani vaganti non possono essere soppressi né destinati alla sperimentazione; possono essere ceduti solo a privati che diano garanzie di buon trattamento o ad associazioni protezioniste; possono essere soppressi, in modo esclusivamente eutanasico, ad opera di medici veterinari, soltanto se gravemente malati o incurabili o di comprovata pericolosità; lo stesso vale per i gatti. Devono essere risanati i canili e costruiti rifugi per i cani, canili e gattili sanitari, i cani devono essere iscritti all’anagrafe e tatuati; è punito chiunque abbandona cani, gatti o qualsiasi altro animale custodito nella propria abitazione. È pervasivo l’intervento medico veterinario, sempre anche (o solo) nell’interesse dell’animale.

b2) Esplicite: «Lo Stato promuove la tutela degli animali di affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti e il loro abbandono» (art. 1). Il tatuaggio dei cani, obbligatorio, deve essere indolore (art. 3, comma 1).

c) Art. 727 cod. pen. (Abbandono di animali) come riformulato dalla l. n. 189/2004.

«Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino a un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze».

Il divieto di abbandono viene abbinato in tutti i testi normativi al divieto di maltrattamento e di inflizione di dolore. Anche qui l’equivalenza della pena per chi abbandona e per chi produce sofferenza induce a ritenere che la ratio della punizione per l’abbandono sia la considerazione del dolore, del malessere e del danno sentito che ne verrebbero all’animale. Anche la prima parte dell’articolo può quindi valere come testimonianza a favore della soggettività.


 

9. La doppia testimonianza del diritto e il principio generale ancipite

Agitazione, analgesici, anestesia, anestetici, angoscia, angosce; benessere, bisogni, bisogni fisiologici ed etologici; confortevoli, conoscenza, coscienza, crudeltà; disagio, dolore, forte dolore, forti dolori, eccitazioni, esigenze, esigenze fisiologiche ed etologiche, esseri senzienti, eutanasia, eutanasico; fame; incoscienza, indolore, interesse; lavori insopportabili; maltrattamento; sensibilità, sevizie, sofferenza, sofferenza fisica e psicologica, sofferenze, gravi sofferenze, sofferenze fisiche e morali, spavento, strazio, stress; timore; uccisione eutanasica. La testimonianza esplicita a favore della tesi della soggettività animale è doppiamente impressionante: per quantità e per articolata precisione e multilateralità. Forse ancora più forte è la testimonianza implicita resa dall’intera normativa sulla protezione degli animali, quella che ho chiamato “struttura probante”. Applicata a macchine o a piante la duplice testimonianza sarebbe manifestamente insensata.

L’evidenza mi sembra schiacciante: per il diritto positivo europeo, questo intellettuale pesante che rappresenta con autorevolezza centinaia di milioni di cittadini uniti nel più grandioso crogiolo politico della storia, a) sul piano del fatto, o della ragione teoretica, gli animali sono esseri senzienti, dotati di soggettività, capaci di provare benessere e malessere, dolore anche grave o atroce, ripugnanze e preferenze coscienti; b) sul piano del valore, o della ragione pratica, i dominatori umani sono tenuti come minimo a non causare loro sofferenze inutili o evitabili, a garantirgli, in positivo, tutto il benessere compatibile con la loro sorte di schiavi o di strumenti.

Dal corpus del diritto vigente si può estrarre il “principio generale” (nel senso dato al termine dall’art. 12 disp. prel. cod. civ.) «agisci in modo da non causare agli animali dolore/danno non utile/non necessario». Il principio è ancipite: vieta di causare dolore inutile/innecessario, autorizza a causare dolore utile/necessario. L’utilità/necessità in questione è nella stragrande maggioranza dei casi umana. Se l’animale, per riprendere la formula kantiana, va trattato “anche come fine, non solo come mezzo”, il trattamento “anche come fine” consiste quasi solo nell’esigenza che l’animale sia trattato solo come mezzo, non peggio ancora di un mezzo. Il dolore inutile/innecessario sembra essere quello inflitto ulteriormente alla dose che ne serve per l’uso corretto, funzionale, del mezzo in quanto mezzo.

 

10. Tendenze. Per un’interpretazione sistematica diacronica

Come interpretare il principio ancipite? Come “bilanciare” (per ricorrere a una terminologia sempre più invalsa) i valori soggettività animale e utilità umana? Ovviamente ognuna delle leggi speciali che abbiamo esaminato opera già, nel proprio campo specifico, questo genere di bilanciamento; si pensi, per fare un esempio lampante, alla direttiva sui polli da carne: vanno protetti in quanto esseri senzienti, ma restano polli da carne. Come vedremo, tutte le leggi speciali costituiscono altrettante eccezioni ai divieti di uccisione e maltrattamento sanciti dal Titolo IX-bis del codice penale. La tensione è fortissima: non si può dubitare che gli allevamenti intensivi e la macellazione siano, naturalisticamente parlando, maltrattamenti e uccisione. Ma il diritto può fare candida de nigris...

Torniamo all’interpretazione del principio ancipite e più generalmente all’interpretazione sistematica del corpus legislativo da noi esaminato. Io mi chiedo se non sia possibile, o proprio ermeneuticamente corretto/esigito, introdurre nella panoplia dell’argomentazione giuridica un’interpretazione che chiamerei diacronica. Essa consisterebbe, discernendo la tendenza del diritto lungo il tempo, nel dare un ragionevole maggior peso al valore che mostri, per così dire, di guadagnare terreno. Si tratta, nella terminologia che sono solito adottare, di una species del genus interpretazione evolutiva sistematica secondo la ratio. All’interno del genus, l’interpretazione diacronica sarebbe specificata appunto dalla considerazione del divenire. La species più comune dell’interpretazione evolutiva sistematica è sincronica, riporta tutte le norme, considerandole contemporanee, al momento dell’interpretazione. La species diacronica aggiunge, in base all’osservazione del passato, la considerazione della tendenza vincente e per ciò stesso del probabile avvenire. Sotto quest’ultimo profilo la si può iscrivere nel quadro della teoria della vigenza come effettività dinamica, cioè nel quadro della versione secondo me più convincente del realismo giuridico.

Ora, per quanto riguarda il nostro problema non ci sono dubbi che la tendenza del diritto lungo gli ultimi diciamo tre decenni è stata, univoca, verso un accresciuto riconoscimento e rispetto della soggettività animale. Basta confrontare il sistema sincronico 1980 al sistema sincronico 2011 anche semplicemente andando a rileggere le date della normativa sopra citata: sono tutte successive al 1985. E non c’è dubbio che se la coscienza sociale ha rilievo per l’interpretazione delle norme giuridiche, l’interprete non può non tenere conto di una chiara tendenza nello stesso senso rilevabile sul piano, sociologico appunto, dell’etica pubblica o largamente condivisa. Il diritto e l’etica storico-positivi sono entrambi, diacronicamente, sempre più animalisti.

Questo reperto potrebbe suggerire addirittura l’ipotesi che la violenza sugli animali si stia trasformando da regola in eccezione, consentendo, al limite, di ritenere le norme autorizzatrici della violenza “eccezionali” ai sensi dell’art. 14 disp. prel. cod. civ. e quindi non suscettibili di applicazione, estensiva o analogica, oltre i casi e i tempi in esse considerati. Questa impostazione potrebbe essere corroborata dal fatto che praticamente tutte le disposizioni mitigatrici della violenza sugli animali da noi esaminate consentono o incoraggiano, quando di origine europea, l’eventuale adozione di misure più favorevoli agli animali da parte di singoli Stati membri, mentre in 3b), 3e) e 3f) le norme per la protezione degli animali sono qualificate come “minime”.

Anche non ammettendo che le norme autorizzanti l’inflizione di dolore e morte agli animali siano eccezionali nel senso tecnico dell’art. 14, credo si possa/debba dire che l’aggravamento della dolorosità delle condizioni riservate a una qualche categoria di animali sia già ora vietato; un’eventuale norma innovativa in tal senso dovrebbe quindi essere ritenuta non valida e da non applicarsi perché antinomica al principio risultante dall’insieme delle norme animaliste sottoposte a interpretazione sistematica diacronica.

Nei casi dubbi il “bilanciamento” tra i valori soggettività animale e utilità umana deve dunque essere effettuato a favore della soggettività animale.

 

11. Tensioni/contraddizioni

L’art. 13 del Trattato di Lisbona, norma di rango paracostituzionale; il Titolo IX-bis del libro II del codice penale, norma cui non può negarsi valore di centralità o di fondamento; il “principio generale” in cui si compendia la duplice testimonianza (ontologica ed etica) immanente al corpus delle leggi speciali da noi esaminate: queste tre ragguardevoli fonti costituiscono quasi un programma ermeneutico animalista che mette in crisi la coerenza sistematica del diritto animale nel suo insieme.

Mi limito a evidenziare alcune gravi tensioni o contraddizioni.

La prima riguarda i selvatici. Il diritto positivo opera una discriminazione radicale tra i selvatici rari e i selvatici comuni: i primi sono protetti con grande sollecitudine, i secondi possono essere uccisi a volontà o sottoposti a piani ufficiali di decimazione. Il fondamento della tutela dei primi non è il rispetto della soggettività animale, ma l’interesse estetico-ecologico per la biodiversità, per la bio-ricchezza dei sistemi naturali. Gli animali rari sono tutelati non in quanto soggetti, ma in quanto beni, più o meno come vengono tutelati i beni ambientali non senzienti (paesaggi, pietre, piante) e i beni culturali. La tutela delle tartarughe delle Galapagos ha motivato lo sterminio dei conigli e di altre specie che mangiavano loro l’erba sotto i piedi. Questa vistosa discriminazione a favore dei selvatici rari non si concilia col fatto della pari soggettività di rari e comuni: l’agonia di un cinghiale non è meno dolorosa dell’agonia di una gazzella o di un panda a rischio di estinzione. La caccia e la pesca “sportive”, questi due passatempi giuridicamente permessi, sono un crudele cagionare la morte senza necessità che è difficile conciliare con l’art. 13 del Trattato di Lisbona e con l’art. 544-bis del codice penale italiano.

Una seconda tensione o contraddizione, ben più grave, riguarda gli animali domestici. Il diritto positivo opera una discriminazione radicale tra animali da compagnia/affezione e animali da reddito/macellazione. Basta confrontare il regime previsto, per i primi, dalla l. n. 281/1991 e dal nuovo art. 727 cod. pen. sull’abbandono di animali domestici e la detenzione dei medesimi in condizioni incompatibili con la loro natura, al regime giuridico degli allevamenti intensivi e della macellazione. La sollecitudine per gli animali da compagnia/affezione (che siano tali in quanto specie, o in base al rapporto individualmente instaurato con padroni umani) crea un abisso tra loro e la popolazione dei mattatoi, abisso che si scava ancora più profondo in recenti progetti di legge regionali o nel disegno di legge d’iniziativa dei deputati e senatori dell’Intergruppo Parlamentare Animali presentato il 21 ottobre 2008, che rivoluziona in senso animalista lodevole, ma circoscritto, il codice civile. Ora, è palese che bovini e suini da carne non sono meno senzienti, meno suscettibili di provare benessere/malessere psichico, dei cani e dei gatti, o che un coniglio da compagnia/affezione ha un sistema nervoso, aspirazioni, capacità in tutto simili a quelle del suo collega da salmì. Il diritto sanziona un razzismo smisurato tra animali di famiglia e animali da reddito/macellazione che non ha fondamento ontologico ed etologico e che dunque, ancora una volta, è difficile conciliare con le tre fonti da me caratterizzate come il programma ermeneutico animalista iscritto nel diritto animale vigente.

I profili quantitativi abnormi, moltiplicati per la brutalità complessiva estrema del trattamento anche quando rispettoso delle regole di protezione, fanno del processo allevamenti intensivi-trasporti-macellazione (ivi compreso il circuito della produzione, comunque violenta e cruenta, di uova e latticini) il luogo di massima tensione o contraddizione del diritto animale; i principi giuridici positivi che riconoscono la meritevolezza di tutela degli esseri senzienti si scontrano frontalmente con quello che io chiamo il macigno macellazione.

Una terza tensione o contraddizione da segnalare, quantitativamente minore, ma altrettanto grave dal punto di vista qualitativo, concerne la sperimentazione animale. Anche qualora la sua utilità scientifica per la medicina umana fosse certa, rimarrebbe il problema del rispetto degli esseri senzienti coinvolti: problema simile a quello degli esperimenti umani, il cui valore scientifico è incomparabilmente maggiore, ma che il diritto vieta in nome del rispetto, non comprimibile da fini collettivi, dovuto ai singoli portatori di soggettività (sul tema vedi infra, capp. IX e X).

Tirando le somme: la contraddizione più palesemente stridente del sistema è quella tra le norme del Titolo IX-bis del codice penale che sanzionano, anche col carcere, l’uccisione e il maltrattamento di animali, e l’art. 19-ter delle disposizioni di coordinamento del medesimo codice, ai sensi del quale «le disposizioni del Titolo IX-bis del libro II del codice penale non si applicano ai casi previsti dalle leggi speciali in materia di caccia, di pesca, di allevamento, di trasporto, di macellazione degli animali, di sperimentazione scientifica sugli stessi». La legge, facendo candida de nigris, trasforma la quasi totalità delle uccisioni ontologiche e dei maltrattamenti ontologici in non uccisioni giuridiche e in non maltrattamenti giuridici.

Non solo: attraverso il 19-ter disp. coord. trans cod. pen. l’eccezione diventa enormemente più regolare della regola! Una così massiccia deroga della legge speciale alla legge generale rappresenta un’anomalia sistemica difficilmente tollerabile.

Sembrano, prima facie, punibili in base al Titolo IX-bis solo casi marginali di sadismo o episodico (il vecchietto ottocentesco che bastona sugli occhi l’asino recalcitrante) o abituale (il serial-torturatore dedito all’accecamento o scuoiamento di gatti), eccettuate tutte le immense strutture industriali e commerciali della carneficina legittima, utile/necessaria.

In attesa di ulteriori, necessari interventi legislativi e costituzionali, l’assedio ermeneutico del giurista alla scandalosa eccezione-regola delle leggi speciali può farsi più stringente avvicinando per quanto possibile il regime normativo dei discriminati a quello dei privilegiati, e comunque denunciando con vigile assiduità quelli che io chiamo i maltrattamenti compiuti all’interno degli pseudo-nonmaltrattamenti: i maltrattamenti dei cacciatori non consistenti nel solo cacciare, i maltrattamenti dei pescatori non consistenti nel solo pescare, i maltrattamenti degli allevatori intensivi non consistenti nel solo intensivo allevare, i maltrattamenti dei macellatori non consistenti nel solo macellare, i maltrattamenti degli sperimentatori non consistenti nel solo sperimentare. La brutalità può essere asintoticamente ridotta erodendo, in base ai principi generali, i margini dei maltrattamenti permessi dalle leggi speciali.

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