Anzitutto voglio chiarire che il termine “intelligenza artificiale” (o AI, da Artificial intelligence) è per lo meno ambiguo se non proprio sbagliato. Infatti può far pensare che si possano realizzare macchine in grado di competere con gli esseri umani o di sostituirli in attività in cui si richiede intelligenza.
Non c’è una definizione univoca e da tutti condivisa di cosa sia l’intelligenza umana, ma in psicologia, come si può vedere nel dizionario Treccani, l’intelligenza è “un complesso di facoltà psichiche e mentali che consentono di pensare, comprendere o spiegare i fatti o le azioni, elaborare modelli astratti della realtà, intendere e farsi intendere dagli altri, giudicare, e adattarsi all’ambiente”. Analoga la definizione che si trova su Wikipedia: ”L'intelligenza è un complesso di facoltà psichiche e mentali che, mediante processi cognitivi, consentono di percepire o capire le cose e i significati attraverso l'elaborazione delle informazioni e di organizzare conseguentemente il proprio comportamento sia attraverso le idee che l'attività pratica per risolvere un problema e raggiungere un obiettivo”.
Voglio soffermarmi su un punto di quest’ultima definizione, cioè “percepire o capire le cose e i significati attraverso l'elaborazione delle informazioni”: ciò significa anche produrre nuove informazioni originali, non presenti nei dati utilizzati in partenza: sta proprio qui la differenza con la cosiddetta intelligenza artificiale. La strategia adottata dai programmatori che elaborano gli algoritmi, cioè sequenze di operazioni (o istruzioni) che consentono di risolvere un dato problema, è quella di utilizzare le enormi banche dati (Big Data), che si alimentano anche grazie alla continua attività di tutti coloro che usano internet, per trovare tra le innumerevoli situazioni memorizzate quelle che possono dare una risposta al problema posto.
Come afferma Elena Esposito, professoressa di Sociologia presso le Università di Bologna, “Se si osserva come lavorano questi algoritmi e come sono progettate le macchine, ci si rende conto di come l’intelligenza non sia lo scopo degli algoritmi. Le macchine riescono adesso a generare risultati che sembrano riprodurre le prestazioni dell’intelligenza, ma questo non avviene per l’acquisizione dell’intelligenza da parte loro, ma, al contrario, per la rinuncia al tentativo di conseguire l’intelligenza.” E poi aggiunge: “Le modalità con cui questi algoritmi operano sono completamente diverse da quelle con cui opera l’intelligenza umana; gli stessi programmatori affermano esplicitamente di non cercare di copiare l’intelligenza umana, poiché sarebbe un onere troppo pesante e soprattutto sarebbe inutile”, e, aggiungo, probabilmente impossibile.
In pratica gli algoritmi si limitano ad utilizzare i Big Data, in possesso dei colossi mondiali dell’informatica (Big Tech), alla ricerca di correlazioni che consentono di rispondere al quesito posto, senza capire il senso della risposta, come invece farebbe la mente umana. Le macchine odierne, grazie ai sofisticati algoritmi, sono efficacissime nell’elaborazione delle informazioni, ma non sono in grado di crearne da sole, devono perciò reperirle da qualche parte, ovvero nelle enormi banche dati. Del resto il limite degli algoritmi rispetto alla produzione di informazioni risulta chiaro anche da questa constatazione: una sequenza di numeri, di lettere o altro, contenente informazioni, non può essere prevedibile con un algoritmo di calcolo (se fosse prevedibile non porterebbe alcuna informazione, come nella lingua italiana la lettera u dopo la q, che è una scelta obbligata).
In altre parole la cosiddetta intelligenza artificiale non è dotata di quell’attività tipica di un essere umano, che è il pensiero, cioè un’attività mentale che comprende fenomeni, come riflettere, immaginare, fantasticare, e che permette di costruire ipotesi e teorie nonché di sottoporle a verifica.
Fatta chiarezza su questo uso improprio della parola intelligenza, vediamo rischi ed eventuali benefici che derivano dall’impiego di algoritmi, “intelligenza artificiale”, internet e big data.
Anzitutto, come abbiamo visto, l’impossibilità da parte dell’AI di fare verifiche sensate, dato che risponde alle domande senza capire ciò che afferma, può dare origine a risposte insensate ed ha già provocato errori e ne provocherà in futuro. Ad esempio sono stati fatti errori sulle date di avvenimenti o, per risolvere un problema, sono state date indicazioni che peggioravano la situazione (in un caso per risolvere un inconveniente di una macchina fotografica con pellicola l’AI ha indicato come soluzione di aprire la macchina, esponendo alla luce la pellicola). Possiamo affidare ad un sistema simile decisioni sul futuro del l’umanità?
L’AI non è in grado di prendere decisioni autonome, però può rendere più facile l’attuazione di decisioni prese da esseri umani. Questa caratteristica potrebbe essere positiva per il raggiungimento di obiettivi di benessere collettivo o per realizzare ricerche scientifiche per migliorare la qualità della vita. Tuttavia, in questo modo diventa anche molto più efficiente per i governi e le loro strutture, per le aziende multinazionali, per internet e i social media, attuare progetti di controllo delle scelte dei cittadini (come votare, cosa comperare, come comportarsi e cosi via), oppure attuare politiche di controllo dei lavoratori nelle fabbriche, ma soprattutto questi strumenti sono fondamentali per le moderne strategie militari. Tutto a scapito della democrazia!
Un utilizzo ben noto di questi strumenti riguarda il controllo sociale: a titolo esemplificativo possiamo richiamare il diffuso utilizzo di sistemi di AI da parte dell’autorità di pubblica sicurezza, soprattutto negli Stati Uniti, come il ricorso a sistemi di riconoscimento facciale per identificare potenziali sospetti, ma di fatto sottoponendo a controllo preventivo tutti i cittadini.
Un aspetto molto rilevante riguarda le notizie fornite online, rispetto a quelle dei media tradizionali (quotidiani, riviste, ecc.). Come spiega Gloria Marchetti, professore del Dipartimento di Studi Internazionali, Giuridici e Storico – Politici della Statale di Milano, nelle pagine online gli algoritmi sono in grado di ordinare le informazioni che compaiono sullo schermo degli utenti. “Questo ordine delle notizie, tuttavia, non è il risultato di una ricerca oggettiva e neutrale: sono invece gli algoritmi a selezionare le informazioni da proporre ai singoli utenti in base ai loro interessi, opinioni e pregiudizi”. Le piattaforme raccolgono i dati utilizzati dagli utenti durante la navigazione in rete e, attraverso la loro analisi e aggregazione, sono in grado di prevedere il comportamento futuro degli utenti. Poiché i cittadini tendono a informarsi sempre di più attraverso internet e sempre meno attraverso i media tradizionali, la democrazia viene messa in pericolo perché è sempre più difficile selezionare e controllare le informazioni o smentire le notizie false. In tal modo gli algoritmi possono creare e diffondere fake news ad hoc, per scopi particolari, come orientare l’opinione pubblica, screditare o elogiare politici e governi e le loro azioni e, di conseguenza, condizionare il voto degli elettori. Le fake news hanno successo perché sono sapientemente create, grazie agli algoritmi, da coloro che conoscono le tendenze, le opinioni e le convinzioni degli utenti, ma anche perché gli utenti sono inclini a cercare informazioni che rispecchiano il loro modo di pensare.
C’è infine un ultimo problema che vorrei sottolineare: l’AI è direttamente responsabile delle emissioni di carbonio derivanti dal consumo di energia da fonti non rinnovabili e di milioni di litri di acqua dolce. Secondo una ricerca di Goldman Sachs, l’AI è destinata a portare un forte aumento della domanda di energia nei centri di elaborazione di dati (data center) entro il 2030, pari all'attuale consumo energetico di Portogallo, Grecia e Paesi Bassi messi insieme. La previsione di questo forte incremento dei consumi energetici è anche una delle ragioni della crescente richiesta di ricorso all’energia nucleare in varie parti d’Europa, Italia compresa.
Oltre all’energia, l’acqua rappresenta una risorsa fondamentale per il funzionamento dei data center, in quanto essi ne richiedono enormi quantità per il raffreddamento. Secondo la Cornell University, la crescita di AI potrebbe essere responsabile nel 2027 di un prelievo di acqua compreso tra 4,2 e 6,6 miliardi di metri cubi, come metà dei consumi del Regno Unito. Inoltre la produzione dell’hardware necessario alle infrastrutture ha un costo ambientale estremamente significativo: l’estrazione di materie prime, la fabbricazione dei componenti e il trasporto dei prodotti finiti richiede enormi quantità di risorse, nonché emissioni di gas serra e inquinamento.
Considerata la pervasività sempre più spinta che l’AI sta assumendo nella società contemporanea, penso sia doveroso interrogarsi su come tale tecnologia possa interagire con le fondamenta stesse della democrazia e con i presupposti per una società sostenibile.
Inviato il 24/07/2025