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UNITÀ TEMATICA N. 19
TEATRO
DI INTERAZIONE SOCIALE

Autrice

Eugenia Casini Ropa

BELA BALAZS
E IL TEATRO PER CAMBIARE IL MONDO

in Bela Balazs, "Scritti di teatro.
Dall'arte del teatro alla guerriglia teatrale"

Articolo pubblicato nella rivista: "Movimento operaio e socialista", a. XI, n.3, 1988.

 

Inviato il 11/12/2024

L'impegno di Bela Balazs come intellettuale al servizio della lotta di classe proletaria nella Germania degli anni Venti: il teatro di agitazione e propaganda (Agitprop) degli operai come strumento di miglioramento della società.




Ci fu però un teatro in quegli anni in Germania. che non aveva né prime sensazionali, né registi condottieri che combattessero sulla scena brillanti battaglie artistiche. né sbandieramenti di grossi critici, né grandi attori. Anzi non aveva proprio attori, né veri palcoscenici! Era un teatro di amatori, se si vuole, benché non fosse la recitazione che i suoi membri amavano di più, questi amatori e odiatori. Era anche la più grande organizzazione teatrale non soltanto di Berlino e di tutta la Germania, ma (fatta eccezione per l'Unione Sovietica) dell'Europa intera. Nel 1930 contava circa 10.000 membri. Era un movimento di massa. Un teatro di lotta che esigeva immenso spirito di sacrificio, che ha avuto molti eroi e martiri e una storia eroica che un giorno i bambini tedeschi studieranno nelle scuole. Perché non era lo stile scenico che voleva cambiare, ma il mondo.

 

Sono queste le parole con le quali nel 1948, pochi mesi prima della sua morte, Béla Balazs ricordava commosso gli anni ruggenti dell'Arbeiter-Theater-Bund, la Lega del teatro operaio tedesco, della quale era stato membro attivo, acuto teorico e direttore artistico. E l'apparente retorica apologetica delle sue frasi scritte da uno che, come lui dice, "non ha cessato di amare" la causa per cui ha combattuto non deve trarre in inganno; alla luce dei fatti e della progettualità che li informa, si rivela invece spia di una profonda tensione etica e ideologica.

II teatro operaio rivoluzionario di agitazione e propaganda - in breve  Agitprop - esplode, si moltiplica e muore in Germania negli ultimi anni della repubblica di Weimar, all'incirca fra il 1927 e il 1932. La sua stagione breve e intensa ha tuttavia alle spalle un lungo periodo preparatorio.

La storia del teatro proletario organizzato è infatti strettamente legata a quella dell'organizzazione politica dei lavoratori e inizia con la nascita dei primi movimenti operai e la fondazione dei primi partiti di tendenza socialista. Già sotto il patrocinio della borghesia liberale, che intendeva promuovere una migliore formazione professionale e culturale del proletariato inurbato e occupato prevalentemente nelle fabbriche, erano nati e si erano diffusi all'inizio della seconda metà del diciannovesimo secolo, circoli e associazioni culturali operaie. Il proletariato cittadino, privo o privato anche delle poche tradizioni contadine, in gran parte analfabeta e impossibilitato anche dagli esigui salari ad accostarsi a forme d'arte di qualsiasi tipo, non possedeva certo propri modelli di cultura. I primi circoli furono pertanto organizzati sul collaudato modello delle analoghe associazioni borghesi, riproducendone le attività con capacità e mezzi di gran lunga inferiori, così che, per molti anni, gli operai vennero a contatto soltanto con una copia deteriore della cultura dominante. Nelle serate organizzate per l'intrattenimento dei soci il ballo rappresentava normalmente il momento centrale, ma era spesso preceduto da brevi conferenze, letture di poesie e novelle ed esibizioni dei gruppi artistici di dilettanti che si formavano spontaneamente all'interno dei circoli. Le forme di spettacolo già predilette dai dilettanti borghesi, e quindi riprese da quelli proletari, erano i canti corali, i quadri viventi e la recita di brani tratti dai classici del romanticismo.
Dopo il 1865, con la fondazione dei primi partiti socialdemocratici e sotto la spinta propositiva dei loro leader, Lassalle da prima, Bebel e Liebknecht poi, i circoli operai si resero autonomi dalla borghesia e, alla luce della nuova parola d'ordine "Sapere è potere, potere è sapere" iniziarono una lenta evoluzione. Nel quadro applicativo della teoria socialdemocratica della Bildung, ossia della formazione culturale e politica del proletariato in vista del suo ruolo di classe emergente, anche nelle serate operaie si introdussero elementi nuovi, più didascalici e blandamente agitatori: dialoghi e brevi scene che traducevano in forma rudimentalmente teatrale i precetti politici del partito sui problemi sociali del momento.

 Sul finire del secolo, il ricostituito e rafforzato partito socialdemocratico precisò la sua missione formatrice del proletario inaugurando la prima delle sue massicce campagne di acculturamento popolare, che si sarebbero poi sviluppate attraverso l'uso sempre più diffuso dei moderni mezzi di comunicazione di massa. L'educazione all'Arte, e dunque al teatro come arte globale, secondo la visione wagneriana, era uno dei punti fondamentali dei programmi della Bildung, che si rivolse alla edificazione di un teatro professionistico e qualificato per il popolo, emarginando dai suoi piani il dilettantismo operaio che non offriva sufficienti garanzie estetiche. Nacque così la Freie Volksbuhne che, inizialmente di tendenze naturalistiche, fu in seguito indirizzata da Franz Mehring, che ne assunse la presidenza, verso la diffusione dei classici, e si sviluppò poi nella mastodontica organizzazione che negli anni venti contò in Germania fino a sei milioni di tesserati. Essenzialmente borghese per forme e contenuti e vagamente riformista per politica culturale, la Volksbuhne, che più tardi sosterrà la neutralità dell'arte e proclamerà la propria nel dibattito politico, finirà per servirsi del pubblico proletario organizzato, piuttosto che servirlo.

I gruppi dei dilettanti operai che continuavano ad agire all'interno delle associazioni, privi dell'appoggio del partito che voleva abolirli, finirono, nei primi anni del nuovo secolo, per associarsi in forma autonoma, come unica via per la sopravvivenza. Rivendicavano il diritto di porre le proprie modeste capacità al servizio del movimento operaio, senza pretese artistiche, ma con l'intento di contribuire alla formazione della nuova coscienza di classe, e iniziarono la ricerca di un indirizzo caratterizzante per la propria attività, che la differenziasse cioè nettamente sia dal teatro professionale della Volksbuhne che da quello amatoriale borghese. Ma anche su di loro gravava l'ombra della politica culturale socialdemocratica con la sua povertà teorica: la mancanza di chiarezza sugli interessi reali del proletariato, la teoria dell'educazione all'Arte come conquista sociale, l'isolamento dalle organizzazioni politiche dei lavoratori, rischiavano di ridurre il teatro dei dilettanti operai a una forma di gratificazione innocua, di liberazione dalle tensioni sociali attraverso il gioco dei ruoli e la falsa rivelazione e soluzione scenica dei problemi di classe.

Il repertorio dei gruppi del Deutscher Arbeiter-Theater-Bund (la nuova Lega tedesca del teatro operaio, che nel 1913 contava 66 compagnie affiliate) è ricostruibile attraverso il suo organo "Volksbuhne" nome chiaramente polemico. Si trattava di cosiddetti drammi "a tendenza" socialdemocratica che tentavano di sposare il divertimento all'agitazione, entrambi assai scarsi. La realizzazione approssimativa e gli attori inadeguati spesso oscuravano il significato del dramma; la volontà di chiarificazione politica che teoricamente guidava gli attori-operai si disperdeva in una forma espressiva che, nonostante tutte le buone intenzioni, rimaneva scadente imitazione dell'aborrito teatro professionistico per il popolo.

Ma il secondo decennio del secolo preparava avvenimenti che avrebbero decisamente mutato, insieme con l'intera vita del popolo tedesco, anche le forme e i contenuti del teatro operaio. Nello sfacelo dell'economia e delle istituzioni della nazione provocato dall'esito disastroso della guerra, tre eventi storici fondamentali anche ai fini limitati del nostro discorso, si impongono alla riflessione.

La rivoluzione sovietica, dimostrazione vivente delle possibilità di successo della lotta proletaria, valse a chiarificare i fini del movimento operaio, provocando una netta spaccatura tra il conformismo della socialdemocrazia e la volontà rivoluzionaria dell'opposizione di sinistra. Le notizie e gli scritti teorici russi ben presto diffusi in Germania divennero immediatamente termini di riferimento del dibattito sociale e culturale, cui già avevano dato una forte scossa gli intellettuali spartakisti.

La rivoluzione di Novembre, che provocò il crollo della monarchia e la costituzione della repubblica di Weimar, valse a determinare il massiccio schieramento degli intellettuali a fianco del proletariato nella lotta rivoluzionaria e a creare le condizioni politiche favorevoli al rafforzamento dei movimenti operai.

La costituzione del Partito comunista tedesco, poi, fornì alla lotta di classe l'appoggio e la guida di una forte organizzazione politica che ne favorì la chiarificazione ideologica e ne attivò le iniziative pratiche.

Il teatro operaio aveva ora acquistato il modello col quale confrontarsi, le forze intellettuali necessarie alla sua crescita e un'organizzazione a cui far capo non soltanto operativamente, ma anche ideologicamente.

II dibattito, già avviato all'interno della sinistra tedesca, viene rinfocolato dalla diffusione di alcuni testi sovietici (L'arte e il proletariato di Bogdanov, I compiti della classe operaia di Lunacarskij, Il teatro creativo di Kerzencev), sui rapporti tra proletariato, arte e cultura. Si elaborano nuove ipotesi di sviluppo di un'arte proletaria, il cui ostacolo iniziale e fondamentale è considerato il superamento critico dell'"eredità borghese" Mentre il teatro professionale arma la propria interna rivoluzioneattraverso la sfida formale delle avanguardie storiche e si riforma con i modi della nascente regia, mentre il movimento giovanile borghese dà vita ad un teatro amatoriale che privilegia il recupero delle tradizioni folkloriche, della favolistica, della danza ritmica, in un sogno di ritorno alla natura, i dilettanti operai cercano di adeguare alle condizioni tedesche i dettami del Proletkult sovietico.

Nei primi anni venti nacquero e morirono molti gruppi di teatro "proletario" ossia, come essi si definivano, teatri "del proletariato stesso" elaborati, agiti e fruiti da rappresentanti della classe operaia e da "artisti" in un rapporto organico. Tra quelli più professionalizzati basti ricordare il Proletarisches Theater di Piscator, antesignano di molte altre esperienze analoghe, che portarono in scena i primi testi politicamente impegnati degli autori della sinistra {Friedrich Wolf, Berta Lask, Lajos Barta, ecc.). Pur senza risolvere ancora le contraddizioni derivanti dall'uso dell'eredità borghese, questi esperimenti ebbero comunque il merito di indicare una possibile via di superamento sia della linea della Volksbuhne (nel proporre un teatro vera espressione dell'interesse di classe e delle capacità creative del proletariato),  che dei tradizionali circoli operai (nel creare una nuova forma di collettivo artistico stretto sotto il segno della lotta operaia). Iniziava su queste scene la collaborazione intellighenzia-proletariato per l'elaborazione di una cultura alternativa.

Mentre la socialdemocrazia tentava per le sue celebrazioni forme di teatro di massa con centinaia di figuranti e migliaia di spettatori (celebri i Massenspiele di Lipsiatra il 1920 e il 1924), abbandonandole poi per la difficile gestione dell'impresa, e cercava di indirizzare i lavoratori verso la forma del Laienspiel, il dramma folkloreggiante della gioventù borghese, il giovane partito comunista assunse fin dagli inizi un atteggiamento favorevole al teatro operaio autogestito. Sia facendosi direttamente promotore di manifestazioni teatrali, sia appoggiando e favorendo indirettamente le iniziative spontanee degli operai e degli intellettuali di sinistra, utilizzò comunque sempre il mezzo teatrale come importante strumento di propaganda, con criteri che intenderanno opporsi alternativamente ai moderni mezzi di persuasione di massa.

La forma più gradita alla KPD fu inizialmente lo Sprechchor (coro parlato), un gruppo ben affiatato di recitanti per la dizione corale di poesie a contenuto sociale scritte da artisti corner Ernst Toller, Max Barthel o Berta Lask. Cori di questo genere nacquero ben presto in moltissime associazioni giovanili comuniste, e la forma del recitato corale, che veicolava contenuti sempre più agitatòri, divenne caratteristica del nuovo teatro operaio. La composizione di cori sempre più articolati in forma di dialogo e dibattito, diede poi l'avvio all'evoluzione dello Sprechchor verso una maggiore teatralità e una più diretta efficacia politica.

Negli anni 1924 e 1925 il Partito comunista sferrò il suo primo attacco in forze in occasione delle elezioni politiche, favorito dal clima di crescente sfiducia verso i governanti che avevano indebitato il paese oltre ogni limite e stavano facendo fallire le speranze diffuse dalla rivoluzione di novembre. Anche il teatro fu coinvolto. Erwin Piscator fu incaricato di elaborare due spettacoli di propaganda e diede vita a forme che costituirono riferimenti essenziali per tutto il futuro teatro agitprop: la rivista rossa e il Referat (rapporto). La rivista (Revue Rote Rummel), che prendeva spunto dalla forme del Kabarett borghese, era un insieme di quadri a tema del genere più svariato, legati tra loro da due personaggi simbolici, il borghese e il proletario, che coi loro dialoghi costituivano una sorta di "siparietto" mentre il Referat (Trotz alledem') era un affresco documentario che prevedeva un montaggio di documenti,  esempi storici, riflessioni politiche - anche con l'uso di diapositive e filmati - su un tema a carattere agitatorio (in quel caso le rivoluzioni proletarie nella storia). Ambedue le forme, satirica la prima, didascalica la seconda, ebbero un grandissimo successo, fondato soprattutto sul loro impatto emotivo diretto.

Quando nel 1925 il Partito lanciò la Campagna di Agitazione e Propaganda per la lotta organizzata all'imperialismo borghese, anche il teatro venne mobilitato e i gruppi operai si schierarono decisamente per l'azione rivoluzionaria. I cori della gioventù comunista furono i primi a trasformarsi in Agitproptruppen, seguiti da molti altri gruppi operai già esistenti o di nuova formazione. A questo proselitismo dette poi la spinta decisiva nel 1927 la tournée tedesca del gruppo agitprop sovietico delle Bluse blu, che introdusse trionfalmente la forma del ''giornale vivente'', agile montaggio di notizie e direttive di partito in forma di rivista teatrale, nata dalla necessità di informare sinteticamente ed efficacemente le comunità disperse nell'immenso territorio sovietico. I gruppi agitprop si moltiplicarono in ogni città tedesca - Megafono rosso, il primo in assoluto, Bluse blu, Bluse rosse, Razzi rossi, Fucina rossa, Lampade rosse, Tamburi rossi, Giovane guardia, Colonna di sinistra, Assaltatori, Agitatori, Eretici, ecc. -  e, pur essendo programmaticamente legati alla sezione di agitazione e propaganda del partito, si unirono però organizzativamente nel 1926 alla Lega del teatro operaio (DAThB).

La Lega era ormai formata da gruppi assai eterogenei e di diversa collocazione politica; pur proclamandosi "proletaria" e "prettamente marxista" era divisa internamente da notevoli contrasti, che opponevano un'area maggioritaria riformista che seguiva le tendenze della Bildung, a minoritarie correnti piccolo borghesi o, al contrario, rivoluzionarie. L'ingresso dei nuovi arrivati spostò gli equilibri, tanto che nel 1928, in occasione del X Congresso del DAThB organizzato a Berlino sotto l'egida di una schiera in intellettuali legati all'ideologia comunista (tra gli altri Piscator, Toller, Weinert, la Lask, Johannes R. Becher, Béla Balazs, Erich Muhsam) e al motto "L'arte è un'arma!", la direzione passò nelle mani dei comunisti che elessero Arthur Pieck (futuro presidente della DDR) alla presidenza e Béla Balazs alla direzione artistica della Lega. La linea della agitazione e della propaganda al servizio della lotta di classe divenne quella dell'intero movimento e i quattro anni successivi costituirono il periodo d'oro del teatro proletario rivoluzionario.

 

La forza che aveva permesso alle Agitproptruppen di imporsi tanto rapidamente all'interno del teatro operaio va ricercata (al di là dell'appoggio del partito) nel loro inedito "Dasein": nell'organizzazione collettiva interna, nella forma teatrale diretta e aggressiva, nel "rapporto organico" con gli spettatori. I gruppi agitprop erano generalmente formati da meno di dieci membri, quasi tutti operai, che al teatro dedicavano tutte le ore che il lavoro in fabbrica lasciava loro libere. Il gruppo si autofinanziava imponendosi una tassazione e inoltre usufruiva dei modesti introiti che qualche esibizione su invito poteva procurare. All'interno del collettivo non esisteva inizialmente specializzazione: insieme si elaboravano i testi, insieme si trovavano le soluzioni sceniche più convenienti, insieme si allestivano i materiali di scena; la divisione dei compiti avveniva di volta in volta in relazione alle esigenze immediate. In seguito ci si organizzò per settori di competenza in modo da snellire il lavoro di preparazione, pur mantenendo una strettissima e continua collaborazione. Gli attori-operai erano generalmente giovani e agili, sapevano suonare qualche strumento, cantare, fare acrobazie; a volte nel gruppo esisteva una figura-guida: attore, intellettuale, politico. Ciò non valeva tuttavia a snaturare il senso del collettivo, la cui potenza di impatto politico (e teatrale) risiedeva fondamentalmente nella serietà di tipo etico di una scelta comune, di un impegno personale adempiuto rigorosamente, di una connotazione ideologica che si faceva metro del vissuto attraverso l'esporsi di persona nell'azione teatrale.

Le forme teatrali dell'agitprop erano sostanzialmente quelle che avevano preso corpo negli anni precedenti dalle esperienze del teatro operaio e da quelle dei pionieri come Piscator. La rivista, spesso commistione dei generi satirico e documentario,  dominava il campo. La tecnica più diffusa nella creazione degli spettacoli era il montaggio di singole scene e intermezzi in una struttura aperta che permettesse agevoli spostamenti dei pezzi secondo le esigenze del momento. Spesso anche le singole scene erano costruite in modo polivalente per poterle adattare agli ambienti e alle occasioni diverse in cui venivano presentate. I brani da montare variavano in lunghezza, ma generalmente, erano brevi e concisi. Alle scene recitate si alternavano canti, musiche, proiezioni cinematografiche e di diapositive, numeri acrobatici e clowneschi, pantomime, azioni con sagome e pupazzi; finale di prammatica era il canto collettivo dell'Internazionale. Le azioni sceniche erano di preferenza strutturate a "tipi" fissi, schematizzazioni delle classi o categorie sociali (caricaturali le figure negative: il borghese, il generale, il prete, il capitalista, il padrone, il poliziotto, ecc.; epiche quelle positive: l'operaio, la guardia rossa, il combattente del Fronte rosso, il pioniere, ecc) o simbolizzazioni di Stati o ideologie politiche (la Prussia, la Baviera, la SPD, la Grande coalizione, l'Internazionale, l'Unione Sovietica, ecc.). I testi, spesso scritti collettivamente dal gruppo, miravano alla chiarezza e all'efficacia, più che alla forma letteraria. Le battute erano brevi e della massima semplicità sintattica e lessicale e si succedevano con scansione ritmica accentuata, per facilitarne la comprensione da parte del pubblico in ogni possibile situazione ambientale. (Di questi testi si sono conservati soprattutto quelli successivi al 1928, dopo che la fondazione del giornale "Das rote Sprachrohr" (Il megafono rosso) consentì la raccolta e la pubblicazione dei materiali delle compagnie agitprop).

Gli argomenti affrontati erano di stretta attualità, commento e satira della situazione politica e sociale, denuncia dei soprusi e della corruzione della società capitalista, incitamento alla mobilitazione nella lotta di classe rivoluzionaria. Gli attacchi più frequenti e violenti si indirizzavano al riformismo e all'opportunismo della socialdemocrazia, allo sfruttamento della classe operaia favorito da Inghilterra e Stati Uniti, alla chiesa e, più tardi, al fascismo. In occasione di scioperi, manifestazioni particolari, campagne elettorali, ecc., si allestivano con la massima rapidità spettacoli su misura, modificando i canovacci preesistenti o creandone di nuovi anche all'improvviso durante l'azione.

Poiché lo scopo principale del teatro agitprop era aprire gli occhi alla classe operaia e convincerla delle tesi comuniste (si consideri che l'azione propagandistica dei gruppi si trasformava in una vera e propria campagna di proselitismo attraverso il tesseramento immediato del pubblico alle organizzazioni operaie del partito e l'abbonamento alla stampa comunista) i testi erano elaborati in modo da favorire una presa emotiva immediata, pur nella loro brevità: quasi immancabile era ad esempio un crescendo finale martellante e persuasivo in cui più voci dovevano intrecciarsi e sovrapporsi nella declamazione degli slogan del partito, con un effetto verosimilmente trascinante.

La "messa in scena" dei brani agitprop era altrettanto semplice e schematica. Generalmente non esistevano scenografie; quando consentito dallo spazio a disposizione, cartelloni o striscioni di carta e tela con disegni e scritte servivano da sfondo all'azione. A volte venivano usate grosse sagome di cartone dipinto rappresentanti per lo più i nemici, i tipi negativi. Proiezioni di diapositive o filmati potevano commentare (solo se e quando possibile) l'azione, principalmente a scopo documentario, ma anche con intenti di ambientazione scenica. Gli accessori indispensabili all'azione {attrezzi da lavoro, armi, sacchi di denaro, ecc.} erano di solito dichiaratamente finti e più grandi del naturale, per accentuarne il significato simbolico. L'uniforme degli attori operai era quasi sempre una tuta da lavoro su cui indossavano pochi e coloratissimi requisiti caratteristici dei tipi rappresentati (cilindro e bastone per il borghese, medaglie e berretto per il generale, e così via). In scena apparivano spesso strumenti musicali di ogni tipo, suonati a turno un po' da tutti i membri della compagnia. Non si usava trucco se non eccezionalmente e solo a scopo di caratterizzazione caricaturale. L'equipaggiamento dei gruppi, dunque, estremamente ridotto e funzionale, era tale da consentire massima velocità di montaggio e spostamenti agevoli anche con mezzi-di fortuna, e faceva trasparire una progettazione tutta tesa a permettere una leggibilità immediata dello spettacolo attraverso elementi visivi sintetici che appartenevano a un codice universalmente conosciuto.
Testi e attributi scenici di questo genere vietavano conseguentemente qualsiasi forma di naturalismo della recitazione. Non esistendo il personaggio come singolo individuo, ma soltanto il tipo come schematizzazione di una categoria, si aboliva ogni problema di psicologizzazione dell'interpretazione. Gli attori-operai dicevano le proprie battute, scandendole nettamente per favorirne la comprensibilità, ne accentuavano i risvolti satirici o epici, si rivolgevano spesso direttamente al pubblico per commentare l'azione chiamandolo a giudice o incitandolo alla lotta. I gesti e i movimentierano ampi e accentuati per sottolineare amplificandole le frasi pronunciate, e obbedivano anch'essi ad un codice gestuale elementare, ma non realistico. La figura dell'operaio,  costantemente presente nella sua tuta da lavoro sotto le spoglie colorate del tipo rappresentato, creava una persistente forma di straniamento dell'azione scenica a beneficio dell'effetto didascalico della rappresentazione (e lo stesso Brecht ne rimarrà colpito e ne prenderà spunto per i suoi drammi didattici). D'altra parte le esibizioni acrobatiche, la musica violenta, i cori veementi, le grida di battaglia, le dita puntate, costituivano elementi di pretto riscontro emotivo. Potremmo riassumere quindi che ci si trova di fronte e una struttura oratorio-didascalica-dimostrativa dotata di un forte impatto emotivo e tendente alla persuasione.

Spostandosi velocemente con ogni genere di mezzi di trasporto (solitamente motociclette o vecchi camion), i gruppi agitprop erano presenti ovunque: molto raramente nei teatri {il luogo delegato), di solito nello spazio del quotidiano, in sale di ritrovo di ogni tipo e dimensione e all'aperto nelle strade e nelle piazze, nei cortili, davanti alle fabbriche e alle scuole, su carri e camion, su tavoli e casse rovesciate. In tanto variare di luoghi e di ambienti, ai quali d'altronde si adattavano con disinvolta elasticità, un elemento rimaneva tuttavia invariato, il pubblico, che era quello a cui gli agitprop volevano e sapevano rivolgersi: il proletariato, i lavoratori, i comunisti. Al contrario del teatro politico di Piscator o di Brecht, non ci si presentava a un pubblico eterogeneo accomunato soltanto dal biglietto acquistato alla cassa; con una chiara scelta politica controculturale, agivano operai di fronte a operai, con il risultato di un'adesione tanto più immediata e completa degli spettatori, in quanto ciò che vedevano era stato elaborato sulle loro particolari esigenze da chi ne era compartecipe. Si raggiungeva in questo modo quel "rapporto organico" tra spettacolo e pubblico che era stato da tempo teorizzato, anche se su altre basi, nelle utopie che fondano il teatro del Novecento e mai completamente realizzato dai professionisti dello spettacolo.

Questo teatro agile, fervido e rozzo le cui istanze e la cui prassi sembravano progettualmente contraddire e negare l'idea di teatro della cultura e che potrebbe essere più facilmente inserito in una storia del teatro come forma di comunicazione che in quella del teatro come forma d'arte, si diffuse a macchia d'olio, conquistando, dopo i circoli e le vie cittadine, anche le fabbriche e le campagne. Nel 1930, come Balazs ricordava, i gruppi affiliati alla Lega erano 500 con un totale di 10.000 membri, ed erano in stretto rapporto con organizzazioni analoghe sorte in tutta Europa e nel mondo. La terribile recessione degli ultimi anni venti offriva un terreno più adatto all’agitazione e il nazionalsocialismo avanzante costituiva il bersaglio privilegiato.

Già nel 1929 iniziarono le prime ostilità da parte della polizia manovrata da elementi di destra, finché nel 1931 si giunse ad una vera e propria ordinanza che vietava espressamente "ogni manifestazione che mettesse in pericolo la sicurezza e l'ordine pubblico" e alla quale fu espressamente aggiunta una postilla che vietava le rappresentazioni agitprop. Alcuni gruppi, i più validi artisticamente e quelli che potevano contare sull'apporto di intellettuali di vaglia, riuscirono a sopravvivere sciogliendosi e ricostituendosi professionalmente (così avvenne per il gruppo di Friedrich Wolf e quello di  Gustav von Wangenheim), altri si rifugiarono nell'illegalità, attuando una sorta di guerriglia teatrale che si serviva dell'improvvisazione per seminare dubbi,  scontento e semi di rivolta nelle strade e nei luoghi di convegno, coinvolgendo i passanti ignari in dibattiti sui temi del giorno, come la disoccupazione e la fame.  

Con l'avvento di Hitler ogni forma di opposizione fu spazzata via: molti attivisti agitprop furono costretti ad emigrare, altri furono imprigionati, parecchi morirono nei lager. Del teatro operaio agitprop si perse perfino la memoria, fino a quando, negli anni sessanta, alcuni studiosi della Germania Est ne riportarono alla luce la storia e i documenti, inquadrandolo in una prospettiva evoluzionista che dalle "forme semplici del teatro dei dilettanti" portava direttamente alle attuali forme teatrali dei paesi dell'Est.  

 

La storia di Béla Balazs incontra quella dell'agitprop nel 1926. Balazs è conosciuto da noi quasi esclusivamente come il teorico del cinema ai suoi albori, le cui opere rimangono ancor oggi fondamentali; ma in realtà la sua attività letteraria e culturale fu assai vasta e abbracciò campi diversi, primo fra i quali il teatro. Nato in Ungheria nel 1884 da genitori di origine tedesca (il suo vero nome era Herbert Bauer), Balazs iniziò la sua carriera letteraria come poeta e drammaturgo di tendenze idealiste simboliste, ottenendo lusinghieri successi intorno agli anni dieci. Membro dell'entourage culturale di Lukacs, cui lo legarono da allora e per molti anni una solida amicizia e una reciproca stima, si accostò al marxismo nei duri anni di guerra e si iscrisse fin dal 1918 al nascente Partito comunista ungherese, partecipò agli eventi della breve e tragica Repubblica dei soviet di Béla Kun nella quale rivestì la carica di commissario per il teatro. Condannato a morte in contumacia dal governo della restaurazione, fu costretto ad emigrare: un esilio che sarebbe durato 25 anni. Visse dapprima a Vienna, dove prese forma il suo interesse per l'arte cinematografica e dal 1926 a Berlino, dove aderì alla KPD e prese parte attiva a tutte le iniziative e ai dibattiti culturali della sinistra. Transfuga ancora una volta, si stabilì nel 1932 a Mosca dove tenne una cattedra all'Accademia cinematografica, finché nel 1945 poté rientrare in Ungheria. Qui i suoi tormentati trascorsi di perseguitato e la sua lunga attività letteraria e politica ebbero dapprima ampi riconoscimenti formali e materiali, turbati poi da incomprensioni e più o meno velati contrasti con il potere. Morì a Budapest nel 1949.

Al suo arrivo a Berlino, nel 1926, Balazs si unì subito ad un gruppo agitprop in formazione, Die Ketzer (Gli eretici), col quale collaborò fino alla fine, attratto dalla vitalità e dalla forza culturalmente e socialmente eversiva sprigionata dai collettivi operai. Nessun altro come lui seppe penetrare e trasmettere la tensione etica e la carica utopica di quei piccoli gruppi, in cui salutava la rinascita di un teatro originario, fondato realmente da e nel suo pubblico.

 

Il tcatro operaio compie la stessa evoluzione "alla rovescia" che si è ripetuta necessariamente per ogni rinascita storica del teatro. E cioè per prima cosa esiste il pubblico, poi viene il teatro, e solo alla fine e molto più tardi appare la letteratura con i suoi testi scritti secondo le regole. Così è stato per la nascita della tragedia greca dalle feste dionisiache, così per Io sviluppo dei "misteri" dalla messa, così per l'improvvisazione della commedia dell'arte.

 

Già nella sua Teoria del dramma del 1920, tracciando una critica acuta e spietata del teatro borghese con le sue deformazioni drammaturgiche e contenutistiche e le sue convenzioni stilistiche che ne facevano una scatola ottica illusoria ed avulsa dalla realtà, Balazs si era schierato per una visione "dionisiaca" del teatro. Allora aveva invocato un teatro della "realtà presente" legato al suo pubblico da un vero e proprio rapporto di "transustanziazione" un teatro che nascesse da una comunità come momento necessario di espressione collettiva. E l'esempio attuale che aveva proposto era stato La presa del Palazzo d'inverno, lo spettacolo celebrativo che Evreinov aveva inscenato a Pietroburgo a un anno dall'evento reale, utilizzando nell'azione di massa i veri protagonisti della rivolta e travolgendo la città intera in un empito di partecipazione emotiva. Allora nel teatro dei gruppi operai Balazs vide l'incarnazione vivente del suo sogno teatrale fondersi con quella della sua più grande speranza sociale.
Al centro di questo eccezionale processo stava per Balazs la fondamentale figura del dilettante proletario. E proprio il dilettantismo, vilipeso dai critici borghesi e spesso rinnegato anche dagli ideologi del partito, fu per lui il fulcro della tensione utopica che pervadeva l' agitprop.  

Innanzitutto perché evidenziava il rifiuto dello statuto borghese della "delega" all'artista:

 

Se l’arte è un'arma, allora dobbiamo stare attenti che quest'arma non sia portata da soldati mercenari che possono essere assoldati oggi qua domani là. Il proletariato deve armarsi anche con l'arte.

 

Ma, ancor più sostanzialmente, Balazs si chiedeva:

 

Chi è dilettante? Uno che fa in via secondaria e in maniera inadeguata qualcosa che altri fanno meglio professionalmente. Ma se uno fa qualcosa che nessun altro può fare meglio, dato che l'oggetto può giungere all'espressione soltanto attraverso di lui, allora non è un dilettante.

 

Se il fine del teatro agitprop era "un processo di coscientizzazione collettivo e pubblico del proletariato", appariva chiaro allora che l'attore-operaio "proprio perché non è nessuno, perché con tutti i suoi nervi resta legato alla vita operaia" era l'unico possibile e adeguato veicolo per la trasmissione dei contenuti da comunicare. Condividendo bisogni e aspirazioni del suo pubblico, l'attore-operaio incarnava per Balazs la sua idea di "transustanziazione dionisiaca" come realtà fisica e spirituale incontrovertibile. E per suo tramite realizzava quel fenomeno di omogeneità tra spettacolo e pubblico che costituiva la discriminazione fondamentale dal teatro borghese, l'elemento che fondava l'originalità artistica e la forza etica dell'agitprop.  L'attore proletario non "recita" sulla scena, "è" semplicemente se stesso: le idee che comunica come attore gli appartengono come operaio e appartengono ugualmente al suo pubblico di operai. Il suo "essere" proletario e il suo "esporsi" in quanto tale, pare dunque usare al tempo stesso l'utopia di un teatro omogeneo e necessario a una società e l'utopia della società omogenea e autocreativa che a questo teatro dà vita. Come in un gioco di specchi la grande immagine utopica della società socialista e quella piccola del teatro proletario rimandano di continuo l'una all'altra.
Cosi avveniva ad esempio per il mito del lavoro collettivo che pervadeva l'agitprop. Come espressione utopica verso una collettività sociale che abolisse l'individualismo borghese, la divisione in classi e la parcellizzazione del lavoro, il gruppo teatrale proletario aspirava a fondere l'individuo nel collettivo, a eliminare il gioco gerarchico dei ruoli, a evitare ogni specializzazione dei suoi membri. E insieme intendeva riappropriarsi dei mezzi di produzione. Qui Balazs portava alla luce il nodo più problematico e irrisolto nella teoria e nella prassi dei collettivi:

 

Nella vera arte collettiva avviene che il singolo annulla del tutto il suo carattere personale, particolare, sciogliendosi nella massa? O avviene che lo spirito della massa entra a tal punto in lui che anche i suoi sentimenti e i suoi pensieri apparentemente più intimi vengono determinati dallo spirito e dalla volontà della massa?

 

Ma la sua fiducia nella forza dell'omogeneità prospettava soluzioni, anche formali,  "necessarie":

 

Dall'essere del pubblico deriva la consapevolezza anche nelle forme del teatro. Qui non ci sono effetti casuali: l'unico effetto possibile aspetta già ed esige la sua precisa causa. Sopravvengono nuovi effetti di rilievo perché basta la minima allusione: questo pubblico è esattamente informato. Nascono nuove abbreviazioni: sono faccende già correnti, comuni. Appaiono nuovi simboli: questo pubblico ne è già pratico. Cosi dispone delle circostanze e si crea una nuova arte.

 

 In questa condizione di totale rispecchiamento, la comunicazione teatrale si fa addirittura tautologica, circolare, per la totale coincidenza di destinatore e destinatario, che toglie al messaggio grande parte della sua potenzialità informativa. Ma, per Balazs, al di la dei singoli contenuti occasionali, l'unico profondo e costante messaggio del teatro operaio era quello altamente politico ed etico che si sprigionava dal collettivo proletario, dalla sua scelta di vita e di lavoro, dalla sua volontà di fare esistere, qui e subito, un'alternativa di classe.  

Questa interpretazione globale affascinante offriva risposte precise anche ad alcune delle questioni più dibattute all'interno e all'esterno dell'agitprop, soprattutto riguardo al suo rapporto con l'arte. Nel 1929, quando si impose la necessità di allargare la propaganda a strati sociali con i quali la comunicazione era più difficile perché i codici delle due parti non corrispondevano, gran parte degli intellettuali che dirigevano le scelte dell' agìtprop si schierarono per la qualificazione artistica e il passaggio al professionismo e ne programmarono i tempi e i modi, modi che prevedevano in primo luogo un decisivo coinvolgimento dei letterati di professione. Trai primi, Friedrich Wolf sviluppò una teoria e una pratica evoluzionista esemplare, che è rimasta poi la chiave di lettura degli esegeti della DDR. L'agitprop, diceva, era la forma semplice e inienua, non priva di efficacia ma dilettantesca - così come l'uomo procede dal bambino all'adulto - che avrebbe al più presto dovuto evolversi drammaturgicamente in forme elaborate, di lungo respiro, artisticamente qualificate, che richiedevano necessariamente il salto verso il professionismo degli interpreti.

Per Balazs, come abbiamo visto, l'opposizione dilettantismo/professionismo
(retaggio di una visione borghese) era priva di qualunque pertinenza, perchè l'attore
proletario che avesse perduto la sua essenza operaia avrebbe nei fatti distrutto il
principio di omogeneità che lo legava al suo pubblico. Il dilettantismo era – paradossalmente - la sua unica forma di professionismo: professionismo della vita e della condizione operaia. Solo da lui, e nella sua qualità di dilettante, avrebbero potuto evolversi le forme del teatro così come nasce "una nuova poesia popolare".

 

 Nessuna arte popolare viene praticata da artisti professionisti, eppure mai nessuna estetica le ha ancora disconosciuto per questa ragione valore e importanza.

 

 Dell'intervento massiccio degli intellettuali, della fioritura di abili "drammi sociali che si stava profilando, Balazs temeva inoltre le ambiguità ideologiche: la spinta alla normalizzazione culturale che poteva derivarne, la visione dall'alto dei problemi del proletariato, la rinuncia alla libera espressione di classe. Perché, al contrario della borghesia a cui, Balazs dice, "cadono i poeti" come cadono i denti a chi non ha più modo di usarli, alla classe proletaria, giovane e vitale, decisa a "formarsi nella sensibilità" i poeti "spuntano" naturalmente.

Decisa era anche la sua risposta alla questione, dibattuta nell'ambito di ogni teatro di tipo politico, sulla dicotomia tra agitazione e propaganda, ossia sulla scelta tra l'efficacia didascalica (e quindi la distanziazione emotiva) e l'efficacia emotiva (e quindi il coinvolgimento). II proletario, scriveva, introduce grande "spiritualità" nella interpretazione dei fatti della vita, che hanno realtà e valore solo in quanto entrano in rapporto diretto con la sua esistenza e vengono filtrati e giudicati dalla sua sensibilità. Questo fa sì che prenda inevitabilmente posizione nei confronti dei fatti della realtà e lo faccia con l'entusiasmo di chi attraverso di essi scopre e tocca se stesso. L'arte proletaria non può quindi che essere impastata di "passione" e di "pathos".

Quest'arte che Balazs rivendicava al proletariato, insomma, svincolata dall'obbedienza a canoni e generi costituiti e rifondata dai bisogni espressivi e comunicativi di una nuova comunità, quest'arte che stava nascendo "spontaneamente" da un "popolo" nuovo, pareva sfuggire ad ogni criterio classificatorio riconosciuto, fondando realmente un'ipotesi di "diversità" progettuale, di alterità rispetto alla cultura dominante. Eppure, in questo sforzo di liberazione degli schemi, implicitamente e contraddittoriamente (una delle generose contraddizioni che punteggiavano la teoria e la prassi agitprop) il dato di fondo che mai veniva messo in discussione era  proprio l'inalienabile statuto culturale dell'arte. Nell'atteggiamento di Balazs verso il teatro operaio era d'altra parte caratteristico l'intrecciarsi di posizioni utopiche e fideistiche radicalizzanti (ne fa prova il mito ricorrente dell'"originarietà del processo creativo del proletariato) con momenti di profonda consapevolezza storica delle molte concrete difficoltà e pericolose ambiguità nella costruzione della nuova cultura proletaria. Ma la sua combattività e fiducia, mai spente, testimoniano l'intensità della sua adesione ad una ideologia che non rimane per lui teoria, ma si fa prassi di vita e di lavoro.

Per avere la piena misura del valore che Balazs attribuiva al lavoro teatrale come vissuto personale e sociale inalienabile, basta cogliere la qualità dello sguardo che egli rivolse nel ricordo, in vecchiaia, al periodo berlinese.  

 

Questa volontà di salvaguardare il valore esperienziale del teatro agitprop, visto come territorio sperimentale di un diverso Dasein individuale e storico, traspare ancora chiaramente negli episodi scelti da Balazs per ricordare e riproporre il lavoro nascosto e silenzioso di ogni giorno e le azioni di teatro che sfumano e si mimetizzano nella vita, indistinguibili da essa.

Allorché al teatro operaio fu imposta la scelta tra la clandestinità e il professionismo,  è facile comprendere quella che Balazs attuò col suo gruppo. Furono allora messe in atto vere e proprie azioni di "guerriglia" teatrale; interventi di strada, diretti e provocatori, che non conservavano ormai più nulla delle forme istituzionalizzate  del teatro e si facevano pura comunicazione strettamente dipendente dalle circostanze immediate.
 

 Ecco pressapoco che cosa accadeva in pieno giorno nella Friedrichstrasse di Berlino nell'anno 1930. Un giovane cadeva privo di sensi proprio davanti alla vetrina di un raffinato negozio di specialità alimentari, così che veniva a trovarsi direi quasi davanti a un fondale di grande effetto di prosciutti, salsicce, formaggi, caviale e ananassi. È quasi superfluo rilevare come il predetto giovane non fosse vestito elegantemente, ma avesse piuttosto l'aspetto di un disoccupato, proprio come quell'altro giovane che si inginocchiava accanto a lui, gli slacciava il colletto e si adoperava per lui come si fa in questi casi. Pareva essere un amico dello svenuto.

Si formò subito - come di consueto - un piccolo assembramento di passanti intorno ai due. Questo assembramento intorno a un incidente stradale è come il sangue che scorre rosso dal punto di una ferita. E come di consueto ci fu uno che chiese; "che cos'ha?". L'amara risposta dell'amico inginocchiato non fu neppur essa sorprendente; "Che cos'ha! Non ha da mangiare! A lei non è mai capitato niente del genere?". "Tutti i giorni, annuisce un altro, anch'io sono disoccupato!". E il discorso è già avviato.  Passanti casuali lo guidano su un tema per nulla casuale: è il tema del giorno. E la splendida vetrina di ghiottonerie al di sopra del giovane privo di sensi per fa fame dirige le associazioni del dialogo in direzione precisa, con sgradevole evidenziazione del contrasto che sussiste tra i raffinati clienti del costoso negozio e lo svenuto sull'asfalto umido della strada. 

Il piccolo scambio di opinioni durava da meno di dieci minuti, quando risuonò acuto il fischietto della squadra mobile, e già il piccolo gruppo dì curiosi davanti alla bella vetrina era circondato. Dopo pochi attimi era già stato caricato sulla macchina della polizia e portato, malgrado le proteste imp aurite, al commissariato. Ora una quindicina di passanti occasionali stavano davanti all'ufficiale di polizia e venivano interrogati; piccoli borghesi, operai, distinti signori e signore. Il loro spavento e il loro sdegno si ammutolì per lo stupore.

"Cosa? Noi dovremmo essere un gruppo teatrale? Gli Eretici? Ma Lei vuol prenderci in giro! Non ci eravamo neppure mai visti tra di noi. Passavamo di lì per caso e ci siamo fermati un momento. Cosa? Noi componenti del teatro operaio? Non sappiamo nemmeno di che si tratta. E dov'è finito quel giovane che è svenuto davanti al negozio di alimentari? Ma come faccio a saperlo? Io non lo conosco. Quando sono arrivato io, là non c'era nessuno ... Non potevamo certo avere il sospetto che fossero attori. Cose del genere succedono purtroppo tutti i giorni anche per davvero. E quello che abbiamo detto dovremmo averlo preparato? Non è affatto necessario. Di questi tempi a uno esce dalla bocca da solo ... Non dobbiamo continuare la recita anche qui? Ma insomma non siamo attori! Cosa volete da noi? Come? Un'ora fa un giovane operaio è svenuto allo stesso modo davanti a un altro negozio di alimentari in Wittenberg-platz, e un altro l'ha soccorso allo stesso modo e ha cominciato la stessa discussione ... Cosa c'entriamo noi? Non ne sapevamo niente. Questi sono i nostri documenti”. L'intero gruppo arrestato dovette di nuovo essere rilasciato. Erano tutti partecipanti senza colpa e senza sospetto di una "scena" preparata. Gli attori principali erano spariti a tempo opportuno. Il giovane frattanto stava svenendo in un'altra strada, molto lontano da lì.

 

Coerentemente, e diversamente da quanto faranno in seguito tanti protagonisti di quei giorni, è questo lavoro oscuro e senza gloria il teatro che Balazs ricorda più volentieri. Un "teatro" che per poter assumere questo nome ha preteso, ancora pochi anni fa, un allargamento semantico del termine e di conseguenza una revisione dell'ideologia che vi era sottesa. Un teatro del quotidiano che egli ricorda come l'esperienza "la più profonda, la più pura, la più sana" come quel teatro che "voleva cambiare il mondo"; e la sua orgogliosa commozione è l'ultimo riconoscimento di quel generoso slancio utopico che sostanziava nel teatro una diversa qualità della vita.
 

NOTA BIBLIOGRAFICA

Le citazioni dei testi di Balazs sono tratte da B. Balazs, Scritti di teatro, Firenze, La Casa Usher, 1980. A questo volume e a A. Lacis, Professione: rivoluzionaria, Milano, Feltrinelli, 1976 e E. CasiniRopa, La danza e l'agitprop, Bologna, il Mulino, 1988 si rimanda per la bibliografia completa sul teatro agitprop e sull'attività di Balazs.