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UNITÀ TEMATICA N. 19
TEATRO
DI INTERAZIONE SOCIALE

Autrice

Eugenia Casini Ropa

LA RICEZIONE DI ASJA LACIS IN ITALIA:
influenza sul teatro, l'educazione e la politica.

Pubblicato in inglese in: "Kultūras krustpunkti 8", Latvijas Kulturas akademja, Riga, 2015.

 

Inviato il 9/06/2022




Gli anni Settanta del secolo scorso sono stati per l'Italia un periodo socialmente e culturalmente intenso ma contrastato, esaltante e angoscioso al tempo stesso, ricco di aperture e di speranze come di  intolleranze e di angosce. Da un lato, infatti, giungevano a maturazione i semi sparsi dal mitico Sessantotto, innestando un rinnovamento culturale che si concretizzava in una serie di conquiste sociali, come le leggi sull'introduzione del divorzio (1970, convalidata dal referendum del 1974), sull'obiezione di coscienza (1972), il nuovo diritto di famiglia (1975), la legalizzazione dell'aborto (1978), accanto a conquiste salariali, alla crescita di un forte movimento femminile per la parità dei diritti e alla presa di coscienza e l'impegno politico delle fasce giovanili. Dall'altro lato, però, questa stessa nuova consapevolezza a tutti i livelli, provocava l'inasprimento radicale delle tensioni politiche, della lotta generazionale e di quella di classe, fomentando contestazioni, spaccature, estremizzazioni, violenze, fino a instaurare quella ben nota "strategia della tensione", che sfociò in scontri di strada e in sanguinosi e destabilizzanti atti di terrorismo di entrambe le frange estreme, tanto da far definire quel decennio "anni di piombo" (Montanelli, Cervi, 1991).

In quel clima surriscaldato e desiderante, alla rottura degli schemi tradizionali della società e della cultura, alle conquiste nel campo del lavoro e dei diritti civili, si accompagnavano e contribuivano forti impulsi alla liberazione di un pensiero critico e deviante e della creatività artistica individuale e collettiva, tenacemente sostenuti da intellettuali e artisti di sinistra. Il teatro, in particolare, come arte comunicativa e relazionale a particolare vocazione civile ed educativa, risentì delle spinte interne ed esterne verso il rinnovamento, sentì l'esigenza di uscire dal chiuso e dalle convenzioni delle istituzioni teatrali e di allontanarsi anche dalla "nuova avanguardia" degli anni Sessanta, per conquistarsi un ruolo significativo e trainante nella società e nella cultura che andavano rinnovandosi. Da aggregazioni spontanee "di base", da collettivi giovanili e da artisti dediti alla sperimentazione si sviluppò via via in quegli anni  un "Nuovo Teatro" (De Marinis, 2000).  Al suo interno estremamente vivace e variegato, possiamo forse citare i due più noti e diffusi filoni di "teatro di ricerca" , che si muovevano su versanti alternativi ma con intenti ugualmente destabilizzanti e che si identificavano con le etichette di "postavanguardia" e "terzo teatro". La prima metteva in atto un'impegnata riflessione estetica sulla contemporaneità, la dimensione metropolitana, gli altri linguaggi artistici, la tecnologia, la scrittura scenica e la performance (Bartolucci, 1968; "La scrittura scenica", (1971-1983), mentre il secondo sviluppava principi di cultura di gruppo basati sull'alterità, la dimensione etica del lavoro teatrale, la centralità del corpo, il training fisico e la drammaturgia dell'attore (Barba, 1976). Accanto a queste realtà più ampiamente riconosciute, nasceva e si sviluppava un più modesto ma agguerrito movimento, nato da una piccola costellazione di attori, scrittori e insegnanti impegnati nella scuola e fiduciosi nel forte valore espressivo ed educativo del teatro e nelle sue potenzialità eversive rispetto ai metodi tradizionali, nozionistici e discriminanti della scuola dell'obbligo. In particolare, dall'incontro di questi uomini e donne di teatro con i militanti di un ben preparato movimento pedagogico progressista, il Movimento di Cooperazione Educativa, M.C.E. nacque un fenomeno pedagogico-artistico, che iniziò a svolgere un ruolo di punta nella corrosione della vecchia didattica passivizzante: la cosiddetta "animazione teatrale", strumento sperimentale per la stimolazione della creatività e la promozione della "libera espressione" di ogni ragazzo.

Non senza iniziali resistenze e opposizione anche punitiva da parte dell'istituzione scolastica, teatranti e insegnanti cominciarono a introdurre nelle classi - soprattutto delle scuole primarie - forme di drammatizzazione ludica ma critica dei contenuti scolastici, fornendo ai bambini e lasciandoli utilizzare liberamente le tecniche elementari del fare teatrale: improvvisazioni mimiche o verbali; invenzione di storie; disegni e modellaggio; costruzioni di oggetti, di burattini e strumenti musicali poveri; creazione di musiche, canzoni, poesie; stampa; fotografia, ecc. (Casini Ropa, 1974). L'idea-guida pedagogica del movimento era che al bambino venissero offerti tutti i possibili mezzi di espressione anche non verbale, come stimolo a un suo intervento creativo sui materiali e a un analogo intervento critico sulla realtà.

In una scuola che privilegiava da sempre il solo linguaggio verbale, orale o scritto, mettendo in tal modo particolarmente in difficoltà i ragazzi provenienti dalle classi operaie, contadine o dal sottoproletariato, le potenzialità di una libera espressione che valorizzasse anche i linguaggi non verbali si proponeva come un forte atto politico di integrazione sociale. Era una posizione pedagogica che conobbe allora una rapida fioritura e che trovava le sue basi in alcune sperimentazioni esemplari precedenti, come quelle del maestro francese Celestin Freinet (Freinet, 1949). negli anni Cinquanta e del sacerdote don Lorenzo Milani con il suo testo/manifesto Lettera a una professoressa del 1967. E il teatro, con la sua forte capacità di coinvolgimento e i suoi strumenti espressivi, poteva offrire a questo movimento un terreno formativo ideale e contemporaneamente a se stesso la possibilità di rivalutarsi come più-che-teatro (il concetto si deve a Fabrizio Cruciani), ossia come luogo ideale di sperimentazione di una nuova coscienza di sé e di una diversa qualità della vita per ogni persona. È interessante ricordare che, a livello di ricerca e di studi superiori, proprio nel 1970/71, fu creato in Italia, all'Università di Bologna, il primo corso di laurea in discipline delle arti, della musica e dello spettacolo (DAMS), un fenomeno di rottura nella tradizione degli studi accademici, fondato sulla valorizzazione dei linguaggi artistici non verbali e, in particolare, sull'abbandono dell'idea umanistica di teatro come letteratura e sullo studio della vita materiale del teatro e della rete di relazioni culturali e sociali che esso intrattiene con la propria epoca.

Il generale entusiasmo pedagogico venato di impulsi utopici dei primi anni Settanta produsse un'abbondante serie di studi e pubblicazioni, facendo nascere giovani e battagliere case editrici dedicate, tutte espressioni di varie sfumature della sinistra (Scabia, Casini Ropa, 1978). Gli scritti pubblicati contribuirono a un vasto cambiamento di mentalità rispetto all'educazione scolastica e promossero un processo di apertura a nuove metodologie d'insegnamento e a pratiche sociali di inclusione (come l'istituzione del tempo pieno e di attività, spesso a carattere artistico, integrative del curriculum).

In quanto all'animazione teatrale, dopo il primo moto difensivo di rifiuto delle autorità scolastiche, dalla metà degli anni Settanta l'"eversione" creativa fu via via istituzionalizzata e ricondotta nell'alveo più o meno curricolare delle attività integrative, spesso svalorizzandone la qualità con l'istituzione di brevi corsi di formazione per animatori impartiti a giovani insegnanti o teatranti alle prime armi.

Nel 1975, proprio quando l'animazione iniziava a ripiegare verso il teatro o l'istituzionalizzazione, e all'esterno, invece, le tensioni politiche provocavano lacerazioni irrimediabili ed estremismi fuori controllo, l'Editrice Feltrinelli, ben nota per l'orientamento a sinistra, decise di pubblicare la traduzione italiana del libro in lingua tedesca di Asja Lacis Revolutionär im Beruf, i cui contenuti ben si attagliavano alle vicende culturali italiane del momento. Mi fu offerto di tradurlo e di completarlo con un mio corposo saggio, esito degli studi che stavo conducendo in quel momento sul teatro di agitprop nella repubblica di Weimar. Fabrizio Cruciani, innovativo storiografo del teatro e mio docente al DAMS di Bologna, scrisse una prefazione in cui discuteva, attraverso le memorie della Lacis e il suo approccio a figure cardine del teatro e della cultura del novecento, come Meyerchol'd, Brecht, Piscator e Benjamin, il senso e la funzione del teatro nella società e il concetto stesso di "teatro politico", visto in una restituita dimensione dialettica e contraddittoria. Il testo, così costruito, trovava una sorta di maggior equilibrio tra la parte biografica e quella saggistica e stimolava un tipo di lettura comparata e speculare.

Uscito nel maggio del 1976 e subito inserito anche tra le letture universitarie, Professione: rivoluzionaria (Lacis, 1976) ebbe una notevole diffusione, soprattutto in ambito pedagogico-teatrale e in quello degli studi sulla comunicazione politica ed esercitò una non trascurabile influenza nel terreno particolarmente ricettivo del teatro, dell'educazione e della politica culturale.

Il primo elemento generale di efficacia del volume fu quello di offrire radici e precedenti storici politicamente affidabili e consonanti, a pensieri e pratiche di recentissima origine nel nostro paese e che ancora mancavano di storicizzazione o di validazione culturale. Nel libro di Asja Lacis era possibile infatti cogliere molteplici utili e qualificanti riferimenti a manifestazioni diverse e pregresse di quell'impegno sociale allora variamente e calorosamente profuso.

Il movimento di animazione teatrale, la cui parabola stava per giungere a conclusione, trovò nell'esperienza con i besprisorniki  di Orel un rinvigorente esempio di attività teatrale con ragazzi a rischio, che confermava a pieno il valore educativo del suo lavoro e lo spingeva oltre la scuola, in ambiti sociali ancora più difficili e disagiati. La critica all'educazione unilaterale borghese, la valorizzazione del gioco e dell'osservazione nel processo formativo, il deprezzamento del risultato in confronto         al processo, perfino le modalità operative con lo strumento dell'improvvisazione e la parata spontanea finale rispondevano perfettamente alle  idee e alle prassi degli animatori, e li fecero sentire degni eredi di un passato rivoluzionario.

Il "Manifesto" di Benjamin, poi, fu davvero una scoperta eccezionale. Il testo era già stato tradotto in italiano nel 1969 da Elvio Fachinelli, allora giovane psicanalista fortemente impegnato in politica e che si dedicava a progetti di pedagogia antiautoritaria, e pubblicato sulla rivista da lui diretta, "Quaderni Piacentini" (38, 1979). La rivista tuttavia era fortemente orientata e diffusa solo in una cerchia intellettuale limitata e il Manifesto non era arrivato a una conoscenza più allargata. Il volume della Lacis ottenne di riproporlo e farlo conoscere ben più diffusamente, soprattutto in campo teatrale e pedagogico e di fornire un'autorevole materiale di riflessione e di discussione intorno alle problematiche dell'animazione e della valenza educativa del teatro. Tra i teatranti, che propendevano ormai per il rientro nell'ambito del teatro professionale, alimentò la diatriba allora in corso sulle modalità di coinvolgimento dei ragazzi nella creazione teatrale, che si esplicitava nel dilemma: teatro per, con o dei ragazzi? La posizione Benjamin/Lacis confermò quella dei più radicali difensori della libera espressione decretando i ragazzi veri protagonisti delle loro creazioni e rafforzò in molti insegnanti la convinzione che il lavoro di gruppo in un ambiente pedagogico globale, come quello creato dalle potenzialità di coinvolgimento del teatro, fosse condizione ideale o quantomeno sperimentabile, per una formazione aperta e democratica. Il misterioso "segnale segreto dell'avvenire" che chiude il Manifesto, divenne una delle citazioni preferite in molti convegni e discussioni pedagogiche avanzate. C'è da notare comunque, che da quel denso periodo sperimentale e da quelle incisive autoanalisi, dopo la rigenerante esperienza nella scuola nacque dagli artisti rientrati nell'istituzione un fertilissimo nuovo teatro per ragazzi, la cui portata di innovazione drammaturgica e scenica entrava felicemente in competizione con quella del teatro per adulti.

In termini più allargati, le implicazioni estetico-teatrali e politico-sociali del fare teatro che erano alla base della biografia della Lacis sfuggivano ai confini dell'istituzione teatro per addentrarsi in territori dilatati. Le sue molteplici e interessanti esperienze all'interno della cultura e del teatro tedesco degli anni Venti, a contatto con le maggiori e più scomode personalità artistiche del momento e con la realtà anomala del teatro proletario, davano incentivo allo sfondamento dei confini tradizionali del teatro, favorendo l'instaurarsi di una sua visione molteplice e incoraggiando l'apertura anche verso il vissuto dei singoli e della collettività. Si parlò sempre meno di "Teatro" e sempre più di "teatri".

Le vicende del teatro rivoluzionario tedesco, poi - allora praticamente sconosciuto in Italia - ampliate dal saggio introduttivo, oltre a costituire una fonte di conoscenza inedita, costruirono un ponte ideale con il dibattito politico del momento. Contribuirono infatti a rivitalizzare contemporaneamente la forza di un pensiero utopico intorno al teatro e alla società e il desiderio di partecipazione diretta con gli strumenti dell'arte nel confronto sociale e culturale. Veniva così in luce, inoltre, una problematica contraddittoria e aperta che poneva l'uso del teatro come giustificazione per il suo esistere in quanto forma espressiva, che cercava cioè di qualificare e sperimentare il teatro prima come comunicazione e poi come arte.  Nello stesso anno del testo della Lacis fu ripubblicato Il teatro politico di Erwin Piscator (Piscator, 1976) con una nuova introduzione di Massimo Castri, regista assai impegnato in una ridefinizione della funzione politica del teatro attraverso una rilettura registica dei testi. Il libro della Lacis portava in primo piano l'ambiguità del teatro politico, che si rivelava nel confronto tra due concezioni: da un lato, teatro politico come teatro che parla di politica a una società non omogenea servendosi dei canali di cui essa dispone; dall'altro, teatro politico come rispecchiamento del "rapporto organico" di spettacolo e pubblico omogenei, in cui la forma teatrale è subordinata al comunicare e può quindi vivere sia come momento utopico comunitario, sia come semplice, estremistico uso degli strumenti espressivi teatrali per la lotta politica.

Non può essere dimenticato anche un ultimo movimento sul quale Professione: rivoluzionaria esercitò qualche fascino, ossia quello della battaglia sociale e politica delle donne. Il neo-femminismo italiano (Meta, 2012), che negli ultimi anni Sessanta aveva mirato soprattutto, ma con amare delusioni anche all'interno dell'azione politica condivisa, alla parità dei sessi, a metà dei Settanta aveva ormai cambiato direzione, rivendicando invece le differenze e l'autonomia decisionale e di pensiero. I collettivi femminili ebbero allora un ruolo importante nelle già citate conquiste sociali dell'epoca. Tuttavia le figure guida cui il movimento faceva riferimento erano soprattutto di estrazione anglosassone e il loro sostrato politico-culturale era spesso distante dalla formazione politica (e in molti casi decisamente partitica) nella quale le femministe italiane erano cresciute. La vicenda biografica di Asja Lacis, vissuta e operante nell'Unione Sovietica le cui rigidità erano ben note, intelligente e creativa, stimata da menti notevoli della sua epoca, confinata per anni per la sua libertà di pensiero e infine saggia conduttrice di un teatro povero destinato alla popolazione dei kolchoz, poteva davvero assumere in quel contesto un valore esemplare.

Ancora oggi è pienamente attiva nella città di Ravenna un'associazione tutta al femminile dedicata ad Asja Lacis. Fondata nel 1996 (www.asialacis.it), si dedica a progetti nel campo dell'espressione teatrale, promuove attività culturali di interesse sociale, ricreativo ed educativo e crea in proprio spettacoli soprattutto nell'ambito di un interessante progetto su "Teatro e Autobiografia".

Dopo l'ondata di popolarità suscitata immediatamente dopo l'apparizione del volume, raramente Asja Lacis è stata ricordata in testi italiani, se non per quanto concerne alcuni studi posteriori sull'animazione teatrale e sul teatro agitprop tedesco (Casini Ropa, 1988)[1]. Ma l'efficacia eclatante del suo testo nella temperie culturale e politica del teatro degli anni Settanta è viva ancora oggi nella memoria di tutti coloro che l'hanno vissuta.

 

 

 

Barba, E. Manifesto del terzo teatro (Belgrado 1976), in Solitudine, mestiere, rivolta Milano: Ubulibri, 1985.

 

Bartolucci, G. (1968), La scrittura scenica, Roma: Lerici.

 

Casini Ropa, E. (1974), L'animazione teatrale e la rivista "Cooperazione Educativa", in "Biblioteca Teatrale", n.10/11, dicembre 1974.

 

Casini Ropa, E. (1988), La danza e l'agitprop. I teatri-non-teatrali nella cultura tedesca del primo Novecento, Bologna: il Mulino.

 

"Cooperazione Educativa" (1955- 2015).

 

De Marinis, M. (2000), Il nuovo teatro 1947-1970, Milano: Bompiani.

 

Freinet, E. (1949), Naissance d'une Pédagogie Populaire, Cannes: Ecole Moderne Française.

 

Lacis, A. (1976), Professione: rivoluzionaria. Con un saggio di E. Casini Ropa, Milano: Feltrinelli.

 

"La scrittura scenica-Teatroltre" (1971-1983).

 

Meta, C. (2012), Neo-femminismo e legislazione del lavoro negli anni Settanta, Ariccia: Aracne.

 

Montanelli, I. & e Cervi, M. (1991) L'Italia degli anni di piombo, Milano: Rizzoli.

 

Piscator, E. (1976), Il teatro politico, Torino Einaudi.

 

"Quaderni piacentini", n. 38, luglio 1969.

 

Scabia, G., Casini Ropa, E. (1978), L'animazione teatrale, Rimini-Firenze Guaraldi.

 

Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa (1967), Firenze: Libreria editrice fiorentina, 1976.