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UNITÀ TEMATICA N. 1
IL CORPO DANZANTE

come strumento di coscienza di sé nel mondo

Autrice

Eugenia Casini Ropa

Prefazione all’edizione italiana de:
L’ARTE DEL MOVIMENTO
di Rudolf Laban

da Rudolf Laban, L’arte del movimento, Edizione curata da E. Casini Ropa e S. Salvagno,  Ephemeria Editrice, Macerata 1999.

 

Inviato il 9/06/2022




 

Rudolf Laban non è stato il primo né il solo a vedere nell’azione teatrale e nella danza un’“intensificazione della vita” di ogni giorno, un modo di vivere la propria presenza nel mondo con un’acuita consapevolezza di sé e dei processi vitali che regolano l’esistenza umana. Ma è stato uno dei primi e dei pochi artisti ricercatori - e fuor di dubbio il primo e forse il solo del campo specifico della danza - che, nel porre il movimento al centro della riflessione sull’arte del teatro, si sia spinto tanto a fondo nell’analisi e nella sperimentazione. Ma quello teatrale è solo il privilegiato, esemplare perché amplificante, degli ambiti a cui la sua indagine si è dedicata: in realtà, i principi e i meccanismi individuati ed esplorati, così come i processi per la loro più adeguata attivazione, rivendicano un carattere di universalità e risultano applicabili ad ogni manifestazione utilitaria, ludica o simbolica della dinamica umana.

Se il movimento è la manifestazione intrinseca della vita nel mondo - e questo è il postulato imprescindibile di Laban, si tratti di vita minerale, vegetale o animale - di esso vanno ricercati i parametri fondanti e costituzionali attraverso i quali risalire alle sue innumerevoli manifestazioni umane, per giungere a comprenderne e a padroneggiarne i processi generativi, che coincidono con l’essenza stessa della vita. Nell’uomo, in particolare, esiste e si rivela una stretta corrispondenza tra azioni motorie e impulsi interiori che le determinano, impulsi derivanti da bisogni non soltanto o quasi esclusiva mente materiali come negli animali, ma anche spirituali e morali (“umani” e “umanitari”). Dominare il movimento significa allora per l’essere umano innanzitutto, essere padrone della propria energia vitale, a un tempo fisica e mentale, muscolare ed emozionale. Con il dominio del movimento è possibile armonizzare gli impulsi interiori incongrui attraverso le loro manifestazioni esteriori, dirigere in senso positivo per l’individuo l’energia vitale psicologica, eliminare gli eccessi e/o le carenze, equilibrare e calibrare, insomma, il comportamento espressivo/motorio per una migliore vita individuale e di relazione.

Questo versante allargato e generalizzato dello studio del movimento, che in questo testo appare prevalentemente come introduttivo e sotteso alla trattazione analitica dei fattori motori e alla loro applicazione specializzata nell’arte dell’attore-danzatore, ha dato in realtà prove e frutti duraturi in molti campi. Laban stesso, e i suoi allievi ed epigoni poi, hanno ampiamente sviluppato e utilizzato le ricerche di base in ambito educativo e terapeutico, elaborando metodi o, meglio ancora, attivando territori pedagogici “eucinetici”, come quelli della danza educativa e della danza-movimento terapia, in continua evoluzione ed espansione teorico-sperimentale ai giorni nostri. Lo studio labaniano applicativo più specifico, invece, quello all’industria per il miglioramento delle condizioni di vita e lavoro degli operai, ha avuto in realtà fino ad oggi una assai limitata diffusione pratica. Pur se è risultato strettamente determinante per l’elaborazione di una parte sostanziale della teoria di Laban: quella intorno allo “sforzo” (Effort) ossia alla determinazione, misurazione e regolazione volontaria della qualità e quantità dell’energia nel movimento.

Per ciò che riguarda invece più direttamente la ricerca teatrale, Laban aderisce pienamente alla visione unitaria dell’essere umano già affermata da Delsarte (corpo-anima-intelletto indissolubilmente interagenti) e rafforza la supremazia del gesto/movimento come il medium più diretto e rivelatore delle motivazioni interiori dell’individuo e delle sue azioni. Ogni individuo differisce dagli altri, costituzionalmente, per struttura fisica, carattere, qualità mentali e, transitoriamente, per stato d’animo e disposizione corporea e psichica: ogni azione motoria è improntata da ed è rivelatrice di questi fattori innati o acquisiti, permanenti o transeunti. Fondando inizialmente il suo studio, come Delsarte, sull'osservazione empirica dei fenomeni motori, Laban va oltre la loro classificazione descrittiva e l’individuazione di leggi statiche, dinamiche e semiotiche generali. Il suo intento è anatomizzare l’atto motorio per coglierne i tratti costitutivi pertinenti fino a giungere a mettere a nudo e registrare il meccanismo occulto che lega la loro forma alla significazione, il loro concreto manifestarsi alla loro capacità di trasmetterela propria motivazione. Per farlo, si crea strumenti di analisi e schemi di riferimento più penetranti di quelli delsartiani, più vicini a criteri scientifici maggiormente consoni al suo tempo e tuttavia non limitanti né costrittivi, aperti alla continua rielaborazione applicativa.

Come altri grandi ricercatori di inizio secolo - primi fra tutti Stanislavskij e Mejerchol’d - Laban cerca i principi dell’azione scenica come azione reale e pienamente organica, esaltata dalla consapevolezza del processo che la genera. Come Stanislavskij, la sua visione è psicofisica e non può prescindere alla base dall’analisi delle motivazioni interiori; come Mejerchol’d il movimento è primario ed è la materia prima del lavoro scenico di qualunque performer. Ma Laban abbraccia in un’unica visione tanto l’idea naturalistica, mimetica, dell’azione teatrale, rappresentata per lui dall’arte drammatica e dal mimo, quanto quella astratta, simbolica, stilizzata più propria della, danza. Il segreto di questa possibile conciliazione risiede proprio nella qualità metacinetica del movimento, che possiede di per sé e comunque gli elementi dinamici della propria significazione ed è in grado di trasmetterli cinestesicamente.

L'individuazione di azioni primarie, fondamentali nelle manifestazioni motorie umane e ricavate dalla gestualità e dalla qualità dello sforzo nel più semplice lavoro manuale, gli permette di definire criteri classificatori di base di ogni tipo di azione realistica o astratta e perfino di individuare e disegnare i caratteri umani attraverso l’uso privilegiato di alcune di queste azioni abituali e di loro aggregazioni. L'analisi teorica di peso, spazio, tempo, flusso ed energia nell’azione di movimento, poi, tradotta in esercizi concreti di allenamento alla sensibilità e all’abilità motoria fisico/mentale, può venire organicamente incorporata e rende possibile la riproduzione efficace di azioni e caratteri. Azioni reali, perché eseguite da persone reali e frutto di reali processi psicofisici, soltanto più precise e consapevoli di quanto avvenga abitualmente nella vita quotidiana, dove molto è lasciato alla casualità e alla comodità d’uso.

La serie di esercizi che Laban propone, non sono però rivolti solo all’attore-mimo-danzatore o mirati solo a produrre abilità specialistiche, ma sono affrontabili da chiunque desideri ottenere una migliore consapevolezza del proprio corpo e una qualità motoria maggiormente funzionale e incisiva, un miglior accordo vitale tra i propri impulsi interiori e le proprie azioni, tra sentire ed agire. La finalità è, per tutti coloro che ne sentono il bisogno, imparare a pensare-in-movimento ossia tradurre cinestesicamente le sinestetiche, a fare e lasciare che il corpo parli il suo linguaggio di segni dinamici, portatori di propri significati, a leggere e comprendere i messaggi del movimento degli altri, così sulla scena come nella vita.

Laban affronta il suo compito di guida attraverso questo percorso ambizioso e difficile con entusiasmo e cautela allo stesso tempo. Frutto di una vita di studio e di ricerca, il testo fonde la sicurezza e l’autorità di proposizioni teoriche e poetiche a lungo meditate con il carattere sperimentale del laboratorio; più che un trattato è lo specchio di un processo di indagine e di applicazione dei risultati che appare come un organismo vitale ancora in espansione, come un lievito capace di rigenerare e dilatare altre materie organiche. Di questa intrinseca attitudine propagatoria sono sintomi, ad esempio, l’essenzialità, semplicità e praticità lessicale raggiunte da Laban. Il vocabolario di termini comuni, per nulla specialistici, abituali nel linguaggio quotidiano per indicare azioni banali o qualità generiche e che qui vengono particolarmente illuminati e vivificati nel loro significato dinamico, mentre rivela la sua origine rassicurante dalla concretezza dell’esperienza e della pratica prolungata, lascia aperta la porta al suo facile uso in molti territori diversi da quello teatrale; in altri termini, sottolinea l’universalità dei parametri labaniani e la loro fecondità. Come tutti i veri, grandi maestri, Laban trasmette un'eredità, viva, sollecitante, produttiva, applicabile e trasponibile, che ha dato e darà frutti disparati.

Ciò che oggi, in questo testo, appare invece più contingente è la concezione e l’esemplificazione che propone del mimo. Il mimo, per Laban, è il luogo antico e classico della mimesi assoluta, reale ancor più che realistica, dove le azioni umane vengono specularmente riprodotte e mostrano nel modo più limpido la “lotta per valori materiali e ideali che determinano, rivelazione che è il fine ultimo, dell’arte teatrale. Nel mimo, dunque, pare non essere contemplata quell’idea di astrazione che viene qui attribuita solo alla danza e che, ad esempio, Decroux andava contemporaneamente sviluppando nel suo lavoro sul mimo corporeo; e ciò malgrado le notevoli affinità di alcuni loro principi, come l’analisi delle fasi dell’azione e del movimento, il controllo dell’energia, l’uso dell'equilibrio, il fondarsi sui movimenti del lavoro. (Ben diversa è invece la visione di Decroux della danza, che non riconosce al suo movimento, come invece fa Laban, statuto di azione.) Nella riunificazione profonda delle arti teatrali che Laban attua sulla base comune del movimento espressivo, i “generi” vengono comunque salvaguardati nella loro fenomenologia pressoché tradizionale. L'idea labaniana forte nel suo periodo tedesco, quella del “Tanz-Ton-Wort”, il dramma di parola, musica e danza che modificava a favore della danza l’ascendente wagneriano del “Wort-Ton-Drama”, non pare più esplicitamente perseguito. Più che di sintesi delle arti teatrali, si tratta qui di riconoscerne l’unità genetica, lasciando libero corso alle loro manifestazioni peculiari. Nelle tracce di mimo e negli esempi di mimo-drammi presentati non si riscontrano motivi di effettiva innovazione tematica o compositiva, ma solo l’accentuazione dell’interesse per le azioni e i movimenti dei singoli e dei gruppi. Fa eccezione il secondo mimodramma, “La danza, del sette, veli”, la cui assoluta modernità di concezione riscatta la struttura pantomimico-ballettistica degli altri. Il flusso di pensiero che guida i movimenti dell’interprete ci rimanda non solo al sotto-testo stanislavskiano, ma ancor di più, per la qualità straniata delle relazioni corporeo/mentali che instaura, all’attuale concetto barbiano di “sottopartitura” del movimento (e Laban usa esplicitamente, nel capitolo introduttivo, il termine body-mind tipico dell’antropologia teatrale). Non a caso, l’esecuzione di questo mimodramma si risolve sostanzialmente in danza, la più duttile delle tipologie teatrali, perché non vincolata all’azione mimetica.

Solo la danza, infatti, amplia davvero nel testo i propri orizzonti come genere, assumendo quasi insensibilmente, col trascorrere delle pagine, tutte quelle caratteristiche di autonomia artistica, dinamicità, individualità espressività, autosignificazione, poeticità e simbolicità su cui hanno potuto fondarsi non solo la sua concezione moderna ed espressionista, ma anche le sue ben più recenti visioni astratte e, paradossalmente, perfino quelle post-moderne.

Quest'opera di Laban, datata in origine 1950 (pur se qui presentata nella sua più recente edizione, la quarta, ricevuta da Lisa Ullmann nel 1987) e concepita attraverso i decenni precedenti, appare in Italia con cinquant'anni di ritardo, ma senza aver perduto quasi nulla della sua eccezionale utilità e fertilità. In un paese in cui la danza, a cui sono mancati nel Novecento veri maestri nazionali, si va riscoprendo come arte e cultura proprio in quest’ultimo scorcio di secolo, e in cui il teatro, dopo lo scossone “gestuale” e “corporeo” degli ultimi anni settanta, va velocemente perdendo dinamicità,  Laban può costituire un riferimento essenziale per gli artisti. Riscoprire il movimento nella sua accezione di strumento primario dell’attore-danzatore, origine e materia dell'intera sua arte creativa, analizzarlo, comprenderlo ed esercitarlo fino a padroneggiarlo, per riprodurlo non come finzione scenica o pura tecnica virtuosistica ma come azione reale e volontaria, è per ogni performer un compito necessario che può trovare qui le sue metodiche di base. Allo stesso modo, possono essere rintracciate qui quelle modalità semantiche, grammaticali e sintattiche del “linguaggio del movimento”, che permettono agli attori-danzatori, ai maestri, al coreografi e ai registi di costruire in modi teatralmente efficaci e comunicativi le loro partiture dinamiche, siano esse mimetiche, metaforiche, simboliche o astratte. Inoltre, elemento niente affatto trascurabile ed anzi centrale nella visione labaniana, viene indicata la possibilità di annotare 1 movimenti esperiti o creati nella particolare simbologia grafica dello sforzo e/o nella scrittura polifunzionale della cinetografia (Labanotation).

In conclusione, L’arte del movimento è un volume fondamentale per l’artista di teatro e altrettanto può esserlo per lo studioso e per tutti coloro che fanno del movimento un importante strumento di autovalutazione personale o della propria attività professionale di insegnanti, formatori o terapeuti.

La padronanza del movimento è infatti un traguardo raggiungibile almeno in parte anche nella vita di ogni giorno, dove porta benessere e sicurezza tanto nei confronti di se stessi quanto degli altri e dell’ambiente.