Anna Maria Ortese in “Corpo Celeste” domanda: «Credete davvero che la vita umana sia sempre e solo trionfo sull’altro? Che per essere contenti della propria vita bisogna aver posato il piede sul capo dell’altro?». Questo tipo di trionfi e di contentezze rimangono per me un mistero assoluto, insondabile. Non è ingenuità, non le capisco davvero. Tutta la mia attenzione, il mio amore, la mia commozione, la mia gratitudine a coloro che dove altri spezzano provano a riparare, a quelli che passano la vita ad intrecciare fili, a tenere insieme, nodo su nodo, la tela delle vicinanze, la trama delle connessioni"
Nella tragedia del blocco dei porti messa in scena nei mesi passati dall’ex Ministro degli Interni è balzato agli occhi del mondo il ruolo di primo piano svolto da alcune donne. Come Capitane di bordo, quali formalmente erano, hanno contrastato i divieti inumani resi legge dall’allora maggioranza di governo sovranista istigatore e profittatore di una xenofobia razzista crescente.
In quei mesi lividi, malgrado il sole accecante, a far rispettare la legge del mare con l’obbligo di portare in salvo i naufraghi abbiamo conosciuto per esempio: Ani Montes Mier capomissione della nave ong Open Arms, Carola Rackete capitana della Sea Watc, Alessandra Sciurba portavoce di Mediterranea. Per loro, ha suonato a vuoto l’agitarsi di manette. Una forza tutta femminile, autonoma ha sfidato e vinto un potere vile, usato contro persone in estremo bisogno di aiuto e tracotante perché illuso della forza del ricatto. Forza femminile, non per una presunta funzione salvifica o superiorità morale delle donne, ma per la volontà di queste Capitane di perseguire un altro ordine del discorso, quello che metteva a nudo l’essenziale umano ancor prima del fondamentale rispetto del diritto internazionale del mare.
E’ stata una potente rottura simbolica ad opera di donne che ha salvato i migranti e messo i paletti a chi si si ostentava irrefrenabile davanti a tutto.
Non a caso, Ida Dominijanni ha suggerito la similitudine tra la fase politica attuale e l'era che portò alla sconfitta del governo Berlusconi quando la presa di parola contro di lui di alcune donne e il movimento che ne conseguì ne dimostrò la caducità anticipando i processi economico-politici che lo fecero poi precipitare.
Tempi diversi tra loro che tuttavia ci sollecitano, perlomeno a chiedersi, come e quanto il dissenso, i movimenti di opposizione abbiamo contribuito a scalfire il muscolare Governo giallo-verde, smascherandone i pericoli e le ambiguità ancor prima del canto cigno al karaoke del Papete.
Insomma, non c’è stata unicamente manovra politica nel cambio di Governo.
C’è una controcorrente che agisce sotto le luci della ribalta della scena politica mediatica, della tattica partitica in Parlamento, della sua tracciabilità nei gradimenti elettorali e che confonde nell’estesa e multiforme area del non voto.
Una controcorrente nutrita anche dalla denuncia di Greta Thumberg che ha messo in moto la valanga del protagonismo delle giovanissime generazioni a futuro minacciato.
Nella discussione provocata da questa giovanissima, al netto dell’onda indegna di offese e delle strumentalità politiche, voglio riprendere la posizione che Rossana Rossanda ha espresso riguardo al rapporto con la sinistra.
RR ha manifestato il suo dissapore per l’accusa pronunciata da Greta che non ha distinto le responsabilità di questa eredità distruttiva né riconosciuto la mole di sapere e di lotte pregresse concludendo che Greta oggi è “più un simbolo dei giovani, che della sinistra”.
E’vero, sinistra e giovani sono da tempo segnati da una separazione. Sarebbe miope non vedere oggi l’occasione di un virtuoso avvicinamento. E’quasi banale affermarlo, l’esperienza insegna però quanto sia impegnativo e non indolore propiziarlo concretamente misurandosi in modo credibile ed empatico senza strumentalità e nel rispetto delle autonomie. Si tratta di uno straordinario movimento giovanile che, mosso dalla preoccupazione del cambiamento climatico, esprime una potenzialità critica dell’esistente che in qualche modo si è sedimentata dietro le quinte in modo multiforme fornendo il terreno fertile alla voce di Greta Thumberg che altrimenti non avrebbe riempito le piazze così velocemente e ripetutamente intimorendo i profittatori economici e politici del negazionismo.
E a questa sedimentazione, pur nei limiti e nelle inadeguatezze, hanno contribuito i precedenti movimenti ambientalisti e anche, tra contraddizioni, la sinistra.
Il carattere straordinario vale anche per il movimento di donne di cui sono diventate protagoniste tante giovani con la loro efficace opposizione al disegno Pillon della fiorito nel cuore della maggioranza Lega/M5S, che ha portato allo scoperto ciò che vogliono fare della libertà delle donne i sovran-populisti europei e di oltreoceano: strame. Un passo falso.
Ci ricordiamo la manifestazione di Verona? E ancor prima tutte quelle dell’otto marzo, ritornato di lotta. Basta sfogliare un pò di foto di questi eventi, per chi non vi avesse partecipato, e constatare la forza di quella marea di giovani donne in “discontinua continuità” con il nostra amato femminismo.
E’ uno dei tasselli di una corrente che segna da tempo e ripetutamente la scena globale dai luoghi più cruenti, ove è messa in discussione vita e libertà come fanno le combattenti curde; a quelli delle diverse democrazie Spagna, Polonia, Cile, Argentina, gli Usa ove è stata scossa l’industria hollywoodiana dell’immaginario (il #MeToo) e sono stati aperti inediti varchi contro Trump con le giovani elette del Partito Democratico USA.
Da sempre il tratto peculiare del movimento delle donne è quell’andare e venire; essere ora in evidenza, ora sotterraneo, comunque presente quando occorre.
C’è un legame tra il non “vedere” questo movimenti con il suo andamento carsico, e il non riconoscere valore alle donne come soggettività politica autonoma. E questo è segno non solo di un distacco dalla realtà, ma uno spreco di spirito per una politica di cambiamento.
Da tempo i sensori dei partiti vecchi e nascenti sono disinteressati verso ciò che si muove nel movimento femminista e tra le donne, al massimo sono in grado di tradurlo nel rituale conteggio di quote, valevole solo per certi livelli, visto il monosessismo imperante ai vertici politici e istituzionali con i suoi tratti narcisi, cinici, machisti.
E questo allontana sempre di più le tante donne (e non solo) che non si arruolano a supporter del capetto di turno, rifuggono dal circolo vizioso della politica che spartisce qualche posto, ma cambia poco e niente come va il mondo.
Voglio ricordare che i momenti più proficui del rapporto tra donne, politica dei partiti, istituzioni sono quelli che sono stati spinti e innervati da autonomia, desiderio, relazione tra donne.
Non vedo altro che possa motivare un qualche interesse delle donne a calcare la scena politica ufficiale che, d’altro canto, ne risulterebbe riordinata secondo priorità, visioni, modalità differenti.
E’ avvenuto, per esempio negli anni Settanta, con la vicenda aborto, autodeterminazione delle donne quando il movimento spostò la sinistra storica a partire dal PCI. Esempio quello di un conflitto che produsse una virtuosa corrispondenza tra movimenti e politica con la regia delle donne.
Cito questo, perché il riconoscimento della titolarità delle donne nella procreazione è da sempre la questione cruciale della libertà femminile, non a caso oggi è nuovamente sotto attacco del sovranismo mondiale con le politiche attuate in diversi Stati, compreso il nostro, per rendere inaccessibile l’aborto e criminalizzare le scelte delle donne in tema di riproduzione e sessualità.
Insomma, movimento per l’accoglienza e i diritti umani, movimento femminista, movimento contro l’emergenza climatica insieme, sono il segno di una trasformazione radicale della politica a livello globale. Sulle piazze dei luoghi più diversi del mondo è comparsa una generazione giovanissima e con un evidente protagonismo femminile che sta producendo forme di resistenza e sperimentazione di pratiche politiche inedite.
Una risorsa a cui attingere per chi, la sinistra, intenda contribuire ad una nuova fase politica che realizzi un cambio culturale, sottraendo alla destra la sua influenza razzista, autoritaria e socialmente darwiniana e non solo impedendone la presa del governo del paese.
E quando parlo di Sinistra mi riferisco al campo variegato di militanza ed di elettorato delle formazioni ambientaliste, del Pd, delle varie sinistre, del M5S, delle/gli apolidi, del mondo dell’associazionismo, dei sindacati e del volontariato, delle figure impegnate sul piano scientifico e culturale, dell’informazione.
La sinistra variamente ramificata è chiamata cambiare sollecitando un agire collettivo fuori dalle logiche di sopravvivenza, animata da curiosità e volontà di scacciare quelle coazioni a ripetere che la dividono da decenni tra omologazione e minoritarismo. E che l’hanno rovinata.
Una sinistra sfiancata prima ancora che nelle idee, nella pratica che la identifica: elettoralismo, personalismo, frammentazione maldicente, settarismo, subalternità ai modelli mainstream, uso di rendite di posizione.
Ne saremo capaci? Il punto interrogativo è ragionevolmente d’obbligo, come lo è l’impegno a provarci e di cui quest’occasione ne è esempio.
Ho voluto mettere a fuoco le faglie che hanno aperto correnti di pensiero, di mobilitazione sociale per il presente ed il futuro diverso.
Sono contraddizioni su cui fare leva per far emergere la pluralità dei conflitti e degli interessi in gioco, oggi cancellati dalla finzione del richiamo al “popolo” inteso come entità unificata dall’alto su manichee e illusorie contrapposizioni: dentro/fuori l’establishment; forgiate su purezze nazionalistiche e identitarie; inneggianti ad una sovranità debordante dagli equilibri stabiliti dalla Costituzione tra poteri differenti e separati.
Una sovranità e di cui proprio le lotte femminili ne hanno criticato la strutturazione basata sul dominio dell’uomo sulla donna ricordandoci che le vite, nella realtà, non sono tutte uguali nei poteri di decisione, partecipazione, salute, maternità, lavori, redditi, pensioni, diritti, etc….
Le forme di oppressione si intrecciano accostando realtà abituati a considerare separatamente: il dominio sulle vicende più intime, il razzismo, l’emergenza climatica con lo sfruttamento che è alla base dell’accumulazione capitalistica.
Alla base c’è l’urgenza di una riconsiderazione dell’umano, della convivenza tra esseri viventi e il pianeta e la costruzione di relazioni libere affrancate da ogni forma di oppressione attraverso la cura del vivere e dell’ambiente.
E’ il senso che pervade l’attuale movimento delle donne che non si ferma ai diritti delle donne.
Sarebbe il caso di guardarci dentro e prendere sul serio il dibattito e la ricerca che lo attraversa almeno su due punti.
- femminismo e dal movimento delle donne in generale, si deve riprendere l’arte della tessitura di un “noi”, come capacità di fare rete tra pluralità interdipendenti e reciprocamente riconosciute. Sperimentare un nuovo paradigma della politica definito: la politica dei nessi. Mai come ora è fecondo la delineazione di un orizzonte aperto e ampio come sperimentazione di relazione tra molteplicità, avvertite che, conflitti e lotta politica, che non vengono azzerati, trovano il proprio limite nella convinzione che “nessuno basta a se stesso” e che il narcisismo personale o di piccola patria è distruttivo di forza perché mentre fidelizza alcune/i, esclude le/i tanti. Su queste pratiche si deve celebrare una cesura e contribuire a inaugurare una nuova fase a sinistra senza aspettare le convenienze di nuove leggi elettorali. Mi rendo conto che è un’altra direzione rispetto a chi oggi vede la risoluzione dei problemi nella costruzione di un classico Partito della sinistra che manca o a chi scommette sulla egemonizzazione di uno di quelli esistenti. E’ la comprensibile reazione ai nefasti della scorciatoia, ovunque praticata, della liquidità dei partiti manipolati personalisticamente dall’alto.
- Non vi può essere progetto politico di trasformazione radicale della società senza usare la bussola politica dell’affermazione della libertà femminile nelle sua dimensione esistenziale, materiale, simbolica. E’ il perno su cui alzare l’asticella di un nuova civiltà, della qualità della vita di donne e uomini, della convivenza umana a cui aspirare. E questo ha conseguenze radicali su una questione fondamentale per la sinistra: il lavoro. Mai la sinistra ha fatto seriamente i conti sulle trasformazioni prodotte dal desiderio/necessità delle donne di lavorare. Sono state trasformazioni impetuose, significative come quelle prodotte dall’introduzione dell’intelligenza artificiale nei processi produttivi e nella vita o a quelle sollecitate dalla impellente questione ambientale. Non a caso la ridefinizione del lavoro come leva di cambiamento sociale e della propria vita è il centro della riflessione del movimento delle donne. Non è un caso che da tre anni sia stato indetto uno sciopero globale come nuova pratica di lotta per denunciare la sottovalutazione dei lavori femminili: quello retribuito e contato nelle statistiche, e quello gratuito e disperso nelle pieghe della vita. L’uno e l’altro cruciali per mandare avanti la macchina produttiva e riproduttiva, come svela per sottrazione lo slogan “una giornata senza di noi”. Due direttrici sfidano il modo di intendere il lavoro della sinistra storica e meritano di essere nominate: a) quali contenuti, modalità, tempo e orario, quale posto assume nelle diverse fasi del ciclo della vita. C’è una multidimensionalità che cambia tutto il modo di intendere oggi il valore lavoro, va oltre le rivendicazioni sindacali tradizionali in senso stretto e su cui le donne dei sindacati hanno iniziato un impegno importante: dalle conseguenze sulla salute, alla molestie e violenze sessuali; dalla difficoltà di gestire tempi di lavoro salariato con i tempi del lavoro riproduttivo e di cura dell’umano allo sfruttamento più bieco; dalla precarietà esistenziale alle pratiche del ricatto in tempi di caduta demografica. b. Quale rapporto con gli altri diritti sociali così come li abbiamo conquistati (e anche persi): diritto alla salute e al benessere psico fisico; istruzione e formazione; pensioni e reddito. L’accesso ad essi non può più avvenire legato, subordinato alla condizione lavorativa.
Sono considerazioni sparse e spunti appena abbozzati, raccolti tra tante sensazioni che si intrecciano in questi procedere a tentoni: forte indignazione per come va il mondo, volontà di non perdere la speranza agganciandomi a ciò che si muove controcorrente, la passione infinita per la libertà delle donne.