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UNITÀ TEMATICA N. 19
TEATRO
DI INTERAZIONE SOCIALE

Autrice

Eugenia Casini Ropa

L'ANIMAZIONE TEATRALE
I fatti e i problemi

Introduzione in G. Scabia, E. Casini Ropa, L’animazione teatrale, “Le guide Guaraldi”, Guaraldi Editore,  Rimini-Firenze 1978, pp. 25-40.

 

Inviato il 26/11/2021




Si avverte oggi la necessità di fare il punto sull'animazione teatrale, o meglio sulle forme di intervento pedagogico-culturale in cui si è contraddittoriamente sviluppata e sui problemi che il teatro alternativo ha portato e porta avanti nel liberarsi dal « genere » teatro. E questo significa ripensare in prospettiva storica le origini e gli esiti dell'animazione, esiti spesso lontani o in contraddizione rispetto ai moduli originari. Solo cosl è forse possibile recuperare nella sua integrità e nei suoi valori un agire fondato su e alimentato da una istanza di rottura delle strutture in cui nasce, traducibile esclusivamente in termini dinamici; un agire che non può essere congelato, che deve trasformarsi per vivere, che deve lavorare per poter lavorare, crearsi per poter creare. Nel momento infatti in cui le istituzioni scuola e teatro sono state in qualche modo forzate e dilatate dall'animazione, questa ha mutato di valore e parea sua volta essersi dilatata, trasformandosi in atteggiamento culturale applicabile nelle forme più diverse alle più diverse situazioni di vita e di cultura. Le istituzioni sociali, accettandola, le hanno tolto quell'aura di significazione e giustificazione che l'eversione sembra di per se stessa comportare, ma non hanno dato esiti alle esigenze che la fondavano. E il discorso torna ad essere di pedagogia e di teatro; e di rifondazione del proprio agire e di tensioni da innescare e da usare.

 

Quando nel 1968-69 alcuni uomini di teatro, insoddisfatti del ruolo giocato all'interno di una istituzione in crisi di forme e di valori e alla ricerca di un'autentica necessità del proprio lavoro, si risolvono a sperimentare al di fuori del teatro stesso istanze capaci di rifondarlo, trovano non a caso nella scuola la pianta più adatta ad accogliere fruttuosamente questo innesto. L'istituzione scolastica vegetava da decenni senza mutamenti sostanziali, mezzo di trasmissione passivo e passivizzante di una cultura la cui funzione principale consisteva ormai nell'autoconservazione. All'interno di questa struttura sclerotizzata non mancavano tuttavia insegnanti che, isolatamente o in gruppi organizzati di lavoro, tenevano in vita ricerche e sperimentazioni vivaci di forme didattiche volte a liberare il ragazzo dalla passività e a modellare la scuola sulla sua dimensione. Tra i più attivi e rigorosi il Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), fondato a metà degli anni Cinquanta e analogo ad altre associazioni sorte in tutta Europa, seguace delle tecniche didattiche e pedagogiche di Celestin Freinet. Maestro della provincia francese, eroe della resistenza e comunista militante, Freinet fonda il suo metodo· sull'introduzione nell'insegnamento di « tecniche di vita » automotivanti, ossia rispondenti ai bisogni e agli interessi più profondi dell'individuo che attraverso di esse indaga sperimentalmente la realtà (il testo libero e la tipografia hanno avuto diffusione particolarmente rapida ed ampia).

Ricerche approfondite impegnavano tra l'altro i membri del MCE anche nel campo delle tecniche espressive che, liberamente usate dal bambino, potevano costituire un utile strumento nel processo conoscitivo ed evolutivo. Maestri come Mario Lodi o Fiorenzo Alfieri - solo due nomi fra tanti meno conosciuti o ignorati - andavano inventando da tempo giorno per giorno un modo nuovo di fare scuola basato sulla ricerca e la espressione libera, senza che l'istituzione scolastica si accorgesse di loro. L'esplosione della crisi sessantottesca spinge infine gli insegnanti più coscienti e politicizzati a mettere in discussione il proprio ruolo tradizionalmente autoritario e quello della scuola che su di esso fonda la sua immobile esistenza e ad aprirsi con-determinatezza alle ipotesi innovative che altri campi possono offrire.

Dall'incontro di teatro e scuola come istituzioni culturali in crisi nasce il fenomeno che comunemente, e genericamente, indichiamo col nome di animazione teatrale.

Di questo fertile incontro la vicenda Passatore-MCE è la più nota ed esemplare.

Silvio Destefanis e Franco Passatore lasciano nel 1968 la stanca routine del teatro commerciale per cercare tra bambini delle scuole un pubblico nuovo, con precisi e omogenei bisogni da soddisfare, nella speranza di trovare in questo rapporto diretto (è tendenza dominante nella avanguardia contemporanea cercare nuove radici all'interno  di gruppi non più indifferenziati per i quali il teatro viene ad essere la originale, e forse utopica, forma espressivo-comunicativa) una giustificazione al proprio continuare a fare teatro. E nella scuola avviene l'incontro con gli insegnanti del MCE e con il loro vivo interesse per tutte le tecniche atte a favorire la libera espressione dei ragazzi, che andava nel frattempo configurandosi come strumento primario di stimolo alla creatività.

In una ricerca indirizzata a trasformare il bambino da soggetto passivo a soggetto attivo del processo pedagogico, le teorie sulla creatività che stavano avendo in quegli anni larga divulgazione assumevano il ruolo cli concetto guida. La creatività veniva ridefinita come attitudine presente in qualsiasi soggetto, capacità di dare risposte nuove a vecchi problemi usando materiali consueti in modo imprevisto ed inedito, rivalutazione e incoraggiamento di quel « pensiero divergente » finora costantemente represso o emarginato da una scuola impegnata a salvaguardare valori culturali mummificati ma intangibili. Stimolando la creatività individuale e di gruppo pareva dunque possibile contribuire a formare individui coscienti e attivi, critici e duttili, capaci forse di mutare il volto di una società alienata dalla produttività esasperata e dalle gerarchie imprescindibili dei ruoli.

Le tecniche di derivazione teatrale che Passatore e Destefanis erano in grado di offrire alla libera espressione del bambino si fondono con quelle già sperimentate dal MCE nella scuola integrandole; il teatro si dilata fino ad esplodere nei suoi frammenti costitutivi, nelle sue tecniche di base che si fanno strumenti elementari di comunicazione e di interazione; la scuola pare trovare la forza di spezzare il percorso obbligato della cultura somministrata in pillole e fonda un nuovo rapporto, più sociale che pedagogico, in cui bambino e adulto lavorano insieme all'elaborazione di una loro nuova «cultura».

Nell'animazione teatrale-libera espressione viene offerta ai bambini una serie di tecniche espressive ( solo in parte come si è detto di origine teatrale) insieme ad una quantità di stimoli ad usarle in modo creativo. Privilegiato è il lavoro collettivo che le tecniche, quasi tutte con caratteristiche socializzanti, favoriscono o richiedono, e anche l'espressione individuale viene ad essere inserita in una prospettiva di gruppo che la colora di istanze sociali. Dipingendo e improvvisando, inventando oggetti e canzoni, discutendo e scrivendo, intervistando e fotografando, il bambino dovrebbe acquistare coscienza di sé e delle proprie possibilità creative ed espressive, dell'ambiente che lo circonda e della società in cui vive con tutte le sue contraddizioni, del suo rapporto con gli altri bambini e con gli adulti e del ruolo che essi rivestono, per giungere a una consapevolezza che gli consenta di rimettere tutto questo in discussione e cercare risposte alternative.

A dare spessore ideologico a questa prassi di lavoro teatrale nella scuola contribuisce in maniera determinante la traduzione (pubblicata nel 1969) del Programma per un teatro proletario di bambini di Walter Benjamin. Scritto nel 1927-28 e modellato sulle istanze del grande movimento organizzato del proletario tedesco dell'epoca, il Programma era stato edito soltanto allora anche in Germania in circostanze avventurose. Benjamin vi traduceva in teoria le esperienze condotte da Asja Lacis, regista e intellettuale russa a cui Io legava una profonda amicizia, negli anni immediatamente seguenti la rivoluzione sovietica con gruppi di ragazzi orfani e sbandati. Il territorio del teatro è prescelto come ambito globalizzante e privilegiato della educazione di classe del bambino proletario, in cui si realizzano forme di un lavoro collettivo capace cli liberare le tensioni pedagogiche ed etiche da esso stesso prodotte, Dall'agire teatrale del bambino si sprigiona così il «segnale segreto dell'avvenire», realmente rivoluzionario», indizio ed auspicio di una società socialista.

Si è presa finora ad esempio la vicenda Passatore-MCE perché tra le più assiduamente documentate ed emblematica dell'incontro tra le due realtà che producono l'animazione. Ma negli stessi anni, tra la fine dei Sessanta e l'inizio dei Settanta, in modo autonomo e separato si andavano. svolgendo esperienze dello stesso segno e altrettanto fondamentali.

Giuliano Scabia, drammaturgo e regista, cercava nei quartieri operai di Torino sconvolti dalle lotte sindacali del'68 una alternativa alle operazioni spesso demagogiche del decentramento teatrale, inventando con adulti e ragazzi un teatro frutto della loro esperienza di ogni giorno. Maturava poi da questi interventi l'idea di «laboratorio aperto » - fucina ad un tempo di ricerca sul reale e di recupero del fantastico - sperimentata in seguito nella scuola media di Sissa

come modo nuovo di fare scuola e portato per le scuole di Abruzzo dal « Teatro vagante» come riscrittura utopica drammaturgica e sociale. Traduceva parallelamente le esperienze vissute in scritti di intensa suggestione, vere dichiarazioni di poetica teatrale e autonome realtà drammaturgiche.

Remo Rostagno, insegnante, dall'interno della scuola sperimentava con i ragazzi di Beinasco un modo nuovo di fare ricerca sul proprio ambiente e sui propri problemi che era maturazione profonda delle facoltà logiche e critiche e che si traduceva in un momento « teatrale » di comunicazione all'esterno dei risultati ottenuti.

Loredana Perissinotto, proveniente dal teatro, dopo l'esperienza vissuta insieme a Scabia nei quartieri torinesi fissava il suo impegno nella ricerca di un teatro dei ragazzi che fosse scrittura collettiva di un'analisi delle contraddizioni sociali.

Franco Sanfilippo usava nella scuola lo strumento pedagogico del teatro stimolando i ragazzi alla elaborazione in forma drammatica di avventure fantastiche, ma con legami profondi alla vita quotidiana, che fornivano materiale di efficace freschezza al teatro per ragazzi.

Sono soltanto i più noti tra i nomi che costellano il panorama del nascente teatro dei ragazzi che viene contrapponendosi alla pratica del teatro per ragazzi[1], che in Italia del resto non aveva tradizioni culturali ed era spesso soltanto espediente di comodo, e di poca spesa, di compagnie secondarie in cerca di sovvenzioni. E quanto numerosi sono gli « animatori », altrettanto numerose le connotazioni che si accumulano sul termine animazione teatrale conferendogli sempre maggiore elasticità ed ambiguità semantica. Ma al di là delle differenziazioni che la prassi sembra comportare esiste tuttavia una serie di elementi problematici costitutivi dell'animazione teatrale che valgono ad evidenziare chiaramente le istanze e funzioni unitarie del fenomeno.

La figura dell'animatore, quasi sempre «esperto» proveniente dall'esterno della scuola per dar vita ad un momento privilegiato in cui la comunità dei ragazzi può dare libero sfogo alle proprie esigenze creative ed espressive, si propone come problema di primo piano. Eliminando l'autoritarismo e il conseguente timore del giudizio, l'animatore tende a realizzare l'abolizione sostanziale dei ruoli adulto-bambino e si offre con totale disponibilità alle esigenze comunicative del gruppo. È la proposta di una dimensione nuova per la funzione educativa, di una nuova figura di educatore che fonda il suo intervento pedagogico sui bisogni e gli interessi reali e profondi del ragazzo desunti dall'osservazione e guidati all'estrinsecazione attraverso l'offerta di materiali e tecniche per l'espressività. L'eccezionalità del momento liberatorio ma fugace stimolato dall'animatore con finalità dimostrative, dovrà coerentemente essere trasformata nella quotidianità di una scuola vissuta in modo diverso per sfuggire al pericolo dello sterile scatenamento di uno spontaneismo fine a se stesso. Sarà compito dell'insegnante (e l'esistere sin dall'inizio degli insegnanti-animatori suffraga questa tesi) farsi animatore della propria classe instaurando un rapporto educativo che prefiguri la partecipazione del ragazzo, reso consapevole e padrone dei propri mezzi creativi ed espressivi, all'elaborazione della propria « cultura ».

Il tempo e lo spazio dell'attività espressiva (finora definita « artistica ») vengono di conseguenza a non essere più ritagliati e nettamente separati da quelli didattici (la recita di fine d'anno nel teatrino o nella palestra trasformata della scuola) ma diventano quelli stessi dello studio e del lavoro, interni al « quotidiano », nella prospettiva di una pedagogia che privilegia Io sviluppo della creatività.

A tale trasformazione sono sottesi due dei principi culturali fondamentali su cui l'animazione teatrale si fonda: il ritiro della « delega » all'espressione e la svalutazione del « prodotto » artistico.

Riqualificando la creatività personale e di gruppo si restituisce all'individuo la delega alla creazione e all'espressione data a suo tempo all'artista, eliminando nel contempo ogni pertinenza dei valori « estetici >> nella valutazione del prodotto della espressione. Si privilegia il momento del «fare», il lavoro progettuale-operativo come momento di formazione collettiva, mentre al «prodotto » rimane soltanto il valore del comunicare il lavoro svolto dal gruppo, per cui diviene casuale, facoltativo o addirittura superfluo.

 L'interesse si punta piuttosto in questo primo periodo sul repertorio di «tecniche » espressive e comunicative di cui l'animazione fa uso e che dilatano in misura imprevista il senso dell'aggettivo «teatrale». Dalla drammatizzazione (che spazia dalla libera improvvisazione alla rappresentazione organizzata di testi precedentemente elaborati dai ragazzi per rimanere a volte semplice recupero di forme di teatro amatoriale) all'ideazione, costruzione e uso di burattini pupazzi maschere che mediano e favoriscono psicologicamente la comunicazione del bambino con l'esterno; dalla pittura  e il disegno presi spesso a spunto di partenza, perché tecniche note e familiari, verso l'uso di altri moduli espressivi; al modellaggio, il collage, la scultura con l'utilizzazione dei materiali più vari e inconsueti, alla costruzione di grandi strutture organizzate (luoghi immaginari, quartieri, città) che richiedono un forte impegno collettivo; dall'uso del linguaggio parlato in tutte le sue forme ormai codificate dalle comunicazioni di massa (il linguaggio giornalistico dei notiziari, delle interviste, delle radiocronache sportive e di attualità e il linguaggio pubblicitario), alla sua versione scritta fissata attraverso la stampa secondo le tecniche più svariate; dall'uso creativo della musica e del canto con l'invenzione di fantasiosi strumenti musicali « poveri » e di canti liberi, all'utilizzazione dei più moderni mezzi tecnici di riproduzione del suono e dell'immagine come macchine fotografiche, magnetofoni, cineprese e videotape. Costante appare la volontà di fornire al ragazzo la conoscenza del maggior numero possibile di mezzi attraverso cui esprimersi con il duplice scopo di esautorare il linguaggio scritto e parlato dalla sua istituzionalizzata funzione di canale privilegiato della trasmissione culturale che lo rende privilegio di classe e di recuperare la globalità del processo conoscitivo e pedagogico e la sostanziale unità della persona umana.

Il termine animazione teatrale in realtà si diffonde e si allarga fino ad essere usato per esperienze che, se analoghe a volte nella forma a quelle prese in esame, se ne differenziano tuttavia notevolmente per i portati ideologici. È il caso delle iniziative di tipo filodrammatico promosse ad esempio da Giuliano Parenti o dai seguaci della ormai secolare tradizione del teatro salesiano dei giovani, in cui di nuovo si offre al ragazzo soltanto una maggiore autonomia nella produzione teatrale (ma il teatro rimane quello di sempre, saldamente ancorato alla tradizione, e la scuola si vivacizza, ma non muta i suoi valori).

Si è voluto in seguito, per incasellare in qualche modo le diverse esperienze in una griglia di comodo uso, adottare la tripartizione che nel 1967 George Béjan, a capo della Maison de la culture di Grenoble, aveva fatto dell'animazione teatrale allora attuata in Francia: animazione classica, ovvero animazione al teatro cosl come esso è, sensibilizzazione di massa al teatro istituzionale; animazione di ricerca,  ovvero animazione dell'esigenza e della richiesta da parte del pubblico di un teatro che soddisfi realmente i suoi desideri e i suoi bisogni; animazione creatrice, ovvero animazione delle risorse creative degli individui e dei gruppi per l'elaborazione di una creazione teatrale collettiva. Se questo schema ha il pregio di evidenziare la coesistenza nel nostro tempo di fenomeni. apparentemente contraddittori ma non alternativi anche in campo teatrale, cancella però troppa leggerezza, inquadrando l'animazione teatrale «all'italiana» nella terza categoria e riducendola a metodo e modello, la forte valenza eversiva che l'animazione «storica» (è ormai possibile definirla cosl) ha espresso neiconfronti delle istituzioni da cui si è generata. E infatti non per caso questa triplice rassicurante ripartizione, nata all'interno dell'istituzione francese, è stata accolta e proposta in Italia proprio nel momento in cui le istituzioni si riappropriavano dell'animazione per ricondurla nel loro ambito pianificato.

Dopo il primo periodo in cui prevalse l'elemento sorpresa e l'animazione teatrale ancora semiclandestina mise in luce e contribuì a diffondere la crisi dei principi intangibili su cui teatro e scuola si reggevano (professionismo artistico, testo letterario, dicotomia attore-spettatore, commercializzazione del prodotto per il teatro; autoritarismo, trasmissione gerarchica della cultura, discriminazione intellettuale e sociale per la scuola), le istituzioni - il teatro, più agile e decentrato, per primo - recuperarono con rapidità il terreno perduto. Il ministero della Pubblica Istruzione, gli assessorati all'Istruzione e alla Cultura, i maggiori Teatri Stabili, la Biennale di Venezia, l'ARCI assumono animatori, promuovono a ritmo sostenuto convegni, rassegne, corsi di animazione per insegnanti, inseriscono l'animazione nei programmi di decentramento, nel doposcuola e nel tempo pieno, la inquadrano nei programmi scolastici e nei bilanci di gestione.

Spinto in parte dall’ esigenza di sperimentare la propria ipotesi pedagogica di crescita culturale di gruppo al di fuori dell'ambito chiuso della scuola, in parte dal bisogno di sfuggire alla crescente strumentalizzazione istituzionale che tendeva a ridurre l'animazione a un supporto gratificante per allievi e insegnanti delle materie scolastiche tradizionali, un notevole settore di operatori cerca spazi nuovi nel sociale, nel quartiere, nel territorio, dapprima solo con i ragazzi e poi, con perplessità e incertezze iniziali, ma via via con sicurezza crescente, anche con gli adulti. E in questo passaggio viene perdendo i suoi caratteri più specificamente pedagogici e teatrali e assumendone altri più ampiamente culturali e antropologici, esprimendo la tendenza a farsi indirizzo di ricerca culturale, atteggiamento pragmatico nell'esercizio della propria professionalità (e nei campi più diversi) e prospettiva nuova del ruolo dell'intellettuale nella società.

La vicenda del Teatro-Scuola del Teatro di Roma (che con il Comune e lo Stabile di Torino è uno dei più importanti centri per l’animazione teatrale) è esemplare di una simile linea evolutiva. Sotto la direzione di Giuseppe Bartolucci infatti i collettivi di animazione del Teatro-Scuola partiti dal lavoro interno all'istituzione scolastica sono arrivati ormai ad un totale inserimento nelle strutture culturali di quartiere e si configurano oggi più globalmente come operatori culturali di cui il mezzo teatrale non è che uno dei tanti strumenti (significativo è il prossimo scioglimento del Teatro-Scuola e la confluenza delle attività di animazione nell'organizzazione del Comune).

Le indicazioni del resto erano già venute da tempo da Giuliano Scabia che, lasciata la scuola per l'università, dall'università ha aperto la sua ricerca al territorio con interventi di carattere antropologico-culturale che individuano direzioni di lavoro ancora da verificare sistematicamente.

Ma l'animazione continua la sua vita ancora e soprattutto nella scuola. Aumentando progressivamente la domanda da parte della scuola dell'obbligo, gli animatori sia esterni (sempre più spesso reclutati nell'ambito della crescente disoccupazione intellettuale giovanile) che interni (insegnanti-animatori) si moltiplicano con rapidità. La loro preparazione è però frequentemente affrettata e approssimativa, frutto di « corsi » di pochi giorni o di volenterosa quanto pericolosa improvvisazione, per cui essi si limitano ad applicare diligentemente le istruzioni apprese dai vari manuali in commercio o ad usare il lavoro coi bambini come palestra di esperienza personale senza alcuna vera attenzione alle esigenze particolari dei gruppi di ragazzi coi quali operano. Sono questi i forse inevitabili portati negativi dell'espansione rapida dell'animazione e della sua istituzionalizzazione che, con il già ricordato dissolversi della specificità teatrale, contribuiscono oggi a far sì che alcuni «capi storici» - da Passatore alla Perissinotto - e molti gruppi più o meno giovani, attuino un impensato ritorno al teatro per ragazzi. Pare riaffermarsi infatti, nella prospettiva del recupero di una perduta identità teatrale di tipo professionale, il valore del « prodotto » che si affianca, senza negarlo, al lavoro di animazione.

Esistono tuttavia nella scuola altri momenti di ricerca e d'uso del dettato dell'animazione teatrale.

Acquisiti ormai le tecniche e gli assunti pedagogici introdotti dall'animazione molti insegnanti li hanno trasferiti nella propria didattica promuovendone un sensibile mutamento che si esprime nella rivalutazione del gioco come esperienza conoscitiva, nell'adozione della ricerca collettiva come fondamento dell’ educazione individuale e di gruppo, nel recupero dell'uso del corpo come modo di espressione e comunicazione complementare a quello del linguaggio, e così via. Alcuni di essi poi, decisi a non accettare la cristallizzazione in metodo dei risultati delle proprie esperienze e dei propri studi, proseguono nella ricerca attraverso il varco aperto dall'animazione in una prospettiva di « educazione permanente » di se stessi e dei ragazzi capace di sfuggire al congelamento in modello. Ricordiamo il Gruppo romano del MCE che ha impiantato nel suo laboratorio un centro pilota di ricerca permanente che fa tesoro delle precedenti acquisizioni in campo espressivo di membri dell'esperienza di Giorgio Testa, Fabio Guindani e Nora Giacobini e l'attività di Remo Rostagno che a Collegno anima e coordina ricerche sulla prevenzione e il recupero dei disadattati in una prospettiva di lavoro che accomuna i ragazzi delle scuole e i ricoverati dell'ospedale psichiatrico.

Attualmente esistono centri di animazione teatrale in tutte le maggiori città (al Nord specialmente) e un numero imprecisabile di gruppi e di isolati che agiscono su tutto il territorio italiano; l'animazione è una realtà multiforme ma concretamente presente in molti ambiti della vita comunitaria. La tentazione di azzardare un bilancio è forte.

L'animazione teatrale è davvero « morta » con la sua istituzionalizzazione dando ragione alla critica più radicale che la vedeva fenomeno congeniale  e funzionale al sistema? O vive ancora ma trasformata in metodo didattico o in atteggiamento culturale? O ha saputo creare zone di esistenza autonoma?

E che cosa ha cambiato, che tracce ha lasciato nel teatro e nella scuola?

Non pare giusto dare risposte che riducano l'animazione a un fenomeno valutabile per le sue conseguenze. I suoi portati sono d'altronde molto più di ordine antropologico che teoretico o sociologico ed è quindi assai meno pertinente chiedersi che cosa essa abbia modificato nel teatro e nella scuola come categorie culturali, di quanto non lo sia eventualmente chiedersi che cosa abbia cambiato nell'insegnante, nell'attore, nello spettatore. Ciò non significa tentare di eludere temi concreti di riflessione ma, evitando i bilanci che mortificano e le definizioni che uccidono, recuperarli nelle istanze e nelle tensioni.

In che misura l'animazione teatrale ha contribuito a trasformare nella scuola l'atteggiamento pedagogico in atteggiamento sociale? a portare il bambino, la sua persona e la sua esperienza, al centro del processo educativo? a combattere autoritarismo e discriminazione? a configurare la comunità scolastica come produttrice di cultura ( e cultura essa stessa)?

In che misura l'animazione teatrale ha contribuito a dilatare il territorio del teatro al di là del suo ambito istituzionale fino a comprendere frontiere e fenomeni fino ad allora emarginati? a rivelare la tautologia della funzione istituzionale del teatro? a fare del teatro un momento di comunicazione non alienata, che si riscontra nel brulicare delle molteplici forme di vita del nuovo teatro dei giovani?

E, più generalmente, in che misura l'animazione teatrale ha contribuito a creare e a diffondere una nuova dimensione antropologica dell'arte e della cultura? a mettere in discussione l'istituzione della delega - statuto della separatezza delle attività intellettuali - il valore del prodotto e la razionale efficienza che nega spazio al vissuto e al personale?

 

Gli scritti

Come fenomeno che privilegia il momento dell'«agire» come accadimento globalizzante, l'animazione teatrale ebbe indubbiamente difficoltà a tradurre le sue esperienze isolate e irripetibili in parole e scritti. Esistevano difficoltà oggettive, come la novità del fenomeno che sfuggiva alle categorie culturali esistenti e l'oggetto stesso della relazione, che tradotto sulla carta perdeva l'originaria tensione programmatica, e difficoltà soggettive consistenti in un certo « settarismo» degli animatori, che consentiva alle notizie una circolazione assai ristretta e governata dai rapporti personali. (Fa eccezione Giuliano Scabia che, da letterato-animatore, ha saputo narrare con efficacia determinante le proprie esperienze).

Nei primi tempi perciò l'animazione venne documentata e discussa in maniera organica e continuativa soltanto dalla rivista del MCE «Cooperazione Educativa», edita da La Nuova Italia.

La Biennale di Venezia ha il merito di essere stata la prima istituzione culturale ad accogliere, nell'ambito del suo Festival del Teatro per Ragazzi, e a rendere pubbliche fin dal 1969 le esperienze di animazione teatrale; sulla sua spinta riviste teatrali e pedagogiche (citiamo per tutte « Sipario» e « Ricerche pedagogiche ») dedicano ben presto inserti e numeri speciali al fenomeno nascente del teatro dei ragazzi. È però soltanto del '72 la fioritura improvvisa di un considerevole numero di volumi, fascicoli e articoli intorno all'animazione che non si arresterà più fino ad oggi, dilatandosi e sciogliendosi in rivoli e ramificazioni così come è avvenuto del fenomeno stesso.

È da notare come dal panorama editoriale sulla problematica dell'animazione siano assenti le grandi case editrici (a parte interventi occasionali e sporadici come quelli di Feltrinelli nel 1974 e di Einaudi nel 1976, ambedue dedicati a Scabia) e, coerentemente, rivestano il ruolo determinante gli editori che privilegiano un preciso discorso ideologico, Guaraldi per primo nella collana Le frontiere dell'educazione e, in misura minore, la Emme Edizioni (Il puntoemme)

ed altri, insieme alle case editrici specializzate in pedagogia e didattica, La Nuova Italia in testa.

Molte sono le riviste che si occupano o si sono più o meno frequentemente occupate di animazione teatrale. Sul versante teatrale « La scrittura scenica » si dedica dal 1972 con intensità crescente, alla documentazione e alla discussione del fenomeno con particolare attenzione alla situazione romana; « Biblioteca teatrale » ha pubblicato alcuni saggi teorici; « Sipario», dopo il già citato numero speciale sul Teatro dei ragazzi del 1970, ha accolto occasionalmente documenti e notizie, come notizie e documenti ha sporadicamente pubblicato ogni altra rivista teatrale; la giovane «Scena» dà voce ai problemi più attuali; « Quarta parete » ha dedicato il suo primo numero a una panoramica del fenomeno. Sul versante della scuola oltre alla ricordata « Cooperazione Educativa » hanno dato spazio all'animazione « I problemi della pedagogia», « Ricerche pedagogiche», «Riforma della scuola », ma in ogni altra rivista, con un incremento notevole negli ultimi anni per l'interessamento dei nuovi organi collegiali della scuola, è possibile trovare articoli sull'argomento. I « Quaderni di Corea» e « L'erba voglio» hanno offerto spesso contributi alla discussione.

Numerosissime sono poi le pubblicazioni ciclostilate o stampate in proprio di istituzioni culturali, associazioni pedagogiche e politiche, gruppi di animazione e scuole pilota, alcune delle quali, in particolare gli Atti di Convegni, le dichiarazioni programmatiche e le documentazioni di corsi, rivestono un grande interesse teorico e pratico. Tra i centri di maggior produzione sono stati e sono il MCE, il Centro Studi e Documentazione del Teatro Stabile di Torino, la Biennale di Venezia, il Teatro-Scuola del Teatro di Roma, l'ARCI-UISP e il CRT (Centro di Ricerche per il Teatro) di Milano, e molti altri in ogni parte d'Italia. Attualmente il Centro Teatrale Bresciano (CTB), recentemente istituitosi in Teatro Stabile, sta organizzando una biblioteca-laboratorio in cui raccogliere, oltre a tutti gli stampati delle varie organizzazioni il cui reperimento è di solito difficile,  anche tutte le documentazioni prodotte in videotape e in filmati.

 

Il panorama fin qui tracciato si rispecchia concretamente neI Saggio bibliografico e nella Bibliografia generale che seguono. Si è voluto tener conto esclusivamente degli scritti che più strettamente pertengono all'animazione teatrale intesa sì come fenomeno estremamente vario e molteplice, ma cui è pur sempre necessario tracciare degli inevitabili confini programmatici e teorici. Esiste pertanto una fascia di pubblicazioni non trascurabile per numero e per diffusione, che rimane al di là dei limiti segnati: citiamo per tutti i molti saggi editi fin dagli anni Sessanta da La Scuola di Brescia sul gioco drammatico e la drammatizzazione, la tradizione del teatro educativo dei ragazzi divulgata dalla rivista salesiana « Teatro dei giovani» e i tanti scritti sul teatro strettamente per ragazzi.

Esiste inoltre un altro tipo di limitazione che è indispensabile porsi nel tracciare in termini specifici la bibliografia intorno all'animazione teatrale, Le tradizionali strutture verticali della cultura vengono continuamente penetrate e intersecate dall'espandersi in senso orizzontale dell'animazione; ad ogni incrocio ci si trova di fronte a campi dì studio nell'ambito di quelle discipline umane che dell'ani mazione sono supplementari o complementari. Per evitare un allargamento a macchia d'olio dell'indagine che, nei limiti concessici, sfocherebbe il problema centrale e risulterebbe inevitabilmente riduttivo per quelli collaterali, non indagheremo argomenti come quelli della sociodinamica di gruppo, della creatività, della psicologia dell'età evolutiva, dell'antropologia culturale e così via, che pure sono di fondamentale supporto a uno studio approfondito sull'animazione. Soltanto pochissimi testi riguardanti queste discipline sono inseriti nella Bibliografia generale, ma solo perché sono i più citati nei saggi sull'animazione e risultano a volte indispensabile sussidio teorico alla loro comprensione.

 

 

In. G. Scabia, E. Casini Ropa, L’animazione teatrale, “Le guide Guaraldi”, Guaraldi Editore,  Rimini-Firenze 1978, pp. 25-40.

 

[1]  Per alcuni anni si è protratta la discussione e la polemica tra gli esperti dell'animazione intorno al teatro per, dei e con i ragazzi, ossia alle varie gradazioni che l'intervento diretto dei ragazzi poteva o doveva assumere nell'azione teatrale. Oggi, abbandonate le contrapposizioni nette e individuata proprio per merito dell’animazione una nuova funzione culturale del teatro per i bambini, ci si sta orientando ad una fusione operativa del teatro dei e per i ragazzi.