Spesso ci chiediamo dove la sinistra abbia sbagliato
o quanto meno quando abbia perso i contatti con la realtà.
Ma forse dovremmo chiederci perchè la destra
sia arrivata prima a capire e a interpretare
quello che stava succedendo.
Di seguito
PREFAZIONE Gianfranco Nappi
PREMESSA Valentino Filippetti
Da dove viene la sconfitta del movimento operaio
PREFAZIONE
Gianfranco Nappi
Debbo un ringraziamento a Valentino Filippetti.
In primo luogo per il quadro che emerge da questa “raccolta di materiali” che attraversano un tempo lungo, e dalla metà degli anni novanta del secolo scorso ad oggi, e attraversano anche, esistenzialmente, il cammino stesso del progressivo fallimento di tutte le diverse risposte che dalla fine dell’89 sono state date alla crisi della sinistra.
La cosa che emerge intanto è la voglia del curatore-autore di non fermarsi alla ricerca, di andare sempre avanti, nei modi e nelle forme in cui le circostanze e i processi hanno consentito di farlo; di provare a non smettere di cercare.
Ecco , Valentino è un “cercatore permanente".
E qui c’è il secondo tratto di questa sua esperienze: ovunque collocato, in qualunque partito o movimento attraversato, Valentino ha provato sempre a far incontrate le ragioni della sinistra e del suo farsi con le contraddizioni più forti e nuove apre nel cammino della società e del suo sviluppo: non l’assunzione del “nuovo” come terreno di subalternità ma come, invece, ineludibile e prioritaria sfida per qualunque pensiero voglia continuare a dirsi “critico”, che non faccia risalire all’89 una sorta di fine della storia e di impossibilità per nuove e grandi narrazioni e, dunque, all’introiezione della realtà data come immodificabile con il suo capitalismo contemporaneo (finanziario; o delle piattaforme, o cognitivo; o della sorveglianza; o a buon mercato... per come lo si voglia definire), diventato “ragione del mondo” per dirla come due acuti studiosi francesi.
Mi viene subito qui da dire, guardando a due delle più grandi sfide aperte in questo tumultuoso e incerto tempo nostro, pandemia e cambiamenti climatici: come ti ci misuri senza il coraggio di una grande e nuova visione di insieme? Senza Nutrire l tuo agire di un nuovo senso?
È vero esattamente il contrario di quel che si dice oggi e che si è detto come segno prevalente della deriva della sinistra: e cioè, se vuoi attraversare questo tempo da attore e non da spettatore passivo, è di un nuovo orizzonte di senso che hai bisogno.
A una nuova visione critica, capace di nutrirsi anche di nuove forme del proprio agire sociale e politico capaci di rompere ogni centralismo burocratico e di assumere come costitutivo proprio il valore straordinario delle differenze, delle diversità, sono dischiuse oggi possibilità, sembra un paradosso, che mai prima d’ora si presentavano come possibili.
Nella sua traiettoria di sviluppo il “capitalismo della rete” ha “dovuto” mettere in contatto individui ed esperienze, su scala globale: questo era necessario per assumere, tendenzialmente, tutte le vite in un meccanismo di estrazione di prima inimmaginabili, ha dovuto sollecitare l’intelligenza e la cultura di ogni singolo individuo e deve pagare scotto che individui posti in relazione tra di loro maturino nuovi bisogni e nuove esigenze di socialità.
Immaginare un individuo cooperante (Per dirla come il saggio di Valentino e Alessandro Genovesi), o l’affermarsi di un lavoro operoso (sempre qui Sergio Bellucci).
Qui c’è la contraddizione che in uno degli ultimi contributi di Valentino viene descritta come in modo netto: <<Il paradosso fondamentale dei nostri tempi è proprio la forza dirompente della modernità - il capitalismo - sta diventando la forza che trattiene>>.
Classico terreno marxiano di analisi questo: lo sviluppo delle forze produttive ha aggiunto un punto tale che negli attuali assetti dei rapporti di produzione, esse non riescono più ad espandersi e, per farlo, si richiede e che appunto quei rapporti di produzione vengano messi in discussione.
Le possibilità di affrontare e risolvere problemi antichi dell’umanità; di mettere a frutto le innovazioni e la inusitata capacità di calcolo per costruire società più giuste; per programmare e pianificare le scelte della società in modo partecipato e oculato; per assicurare universalmente la salute; per immaginare una idea dello sviluppo che smetta di divorare il Pianeta e la sua vita ecco, queste possibilità non sono mai state tanto ampie quanto oggi.
Ma per affermarsi richiedono appunto che si forzino limiti e vincoli attuali della gabbia mercantile.
E del resto, a ben vedere, sia sul piano di tante esperienze di movimento come su quello dell’organizzazione della vita sociale, come nel campo dell’auto produzione o del consumo critico così come in quello volontariato e dell’esperienza del “dono” o in quello dei nuclei di studio, di approfondimento, di diffusione di saperi e conoscenze interconnessi, le esperienze sottratte al dominio mercantile sono tante e in crescita.
Ma mentre matura tutto questo poi non ritrova una sinistra capace di agire su questa grande contraddizione, di far diventare una nuova visione pratica quotidiana capace di costruire nuovi livelli di senso comune e di protagonismo diffuso della società.
Il tema è globale ovviamente, come globale è la sfida.
Ma senza costruire risposte nuove a questa contraddizione politica e sociale al tempo stesso, è immaginabile certo che nella crisi attuale del capitalismo, dal suo punto limite raggiunto, si esca con esiti generalmente regressivi.
E anche qui da Valentino viene una domanda centrale, urgente oggi più di ieri, in un altro degli articoli recenti qui ripubblicati: “ciò che manca è l’organizzazione di una risposta politica adeguata che vada a toccare il punto più alto dello sviluppo della nostra società”.”
Qui si aprirebbe tutto un altro discorso, parte non di questo lavoro e di sicuro non di questa introduzione.
E qui siamo al nostro de te fabula narratur e ho qui un ultimo motivo per ringrazziare Valentino.
Questo lavoro di “raccolta di materiali” mi ha spinto a ripercorrere quell’itinerario politico e umano che lui ci popone e che in larga misura, almeno fino al 2000, ho condiviso.
Non è che avessimo visto giusto su tutto o avessimo elaborato soluzioni organiche ai problemi sul tappeto.
Certo è che avevamo lavorato su una delle frontiere più avanzante per ogni ipotesi di politica di trasformazione, avevamo individuato per questa via alcuni nodi di fondo che imponevano/consentivano uno scarto, una rottura di analisi e di scelte per cogliere i cambiamenti e per far vivere una tensione critica innovata.
Abbiamo provato a coltivare una abitudine oltrechè ad elaborare proposte - di analisi, programmatiche o legislative - con una densità che davvero impressiona.
L’attitudine è quella di non rinunciare a osare e cercare un punto di vista autonomo e critico.
Forse dalla crisi della sinistra, in tutte le varianti politiche organizzate che essa è venuta assumendo, si potrà uscire prima e meglio proprio se si saprà coltivare attitudini simili.
E questo è un dato della nostra esperienza che rimane.
PREMESSA
Da dove viene la sconfitta del movimento operaio
Valentino Filippetti
Spesso ci chiediamo dove la sinistra abbia sbagliato o quanto meno abbia perso i contatti con la realtà.
Ma forse dovremmo chiederci perchè la destra sia arrivata prima a capire e a interpretare quello che stava succedendo.
Ovvero la questione della conoscenza, della classe dirigente, delle esperienze.
Nella mia navigazione ci sono stati alcuni incontri con persone e pubblicazioni che hanno contributo a maturare una visione della società e dell’impegno politico profondamente diversi da quelli vissuti in gioventù. Sicuramente l’esperienza più proficua è stata con il gruppo che si formò attorno al Dipartimento comunicazione di Rifondazione comunista del quale facevano parte Gianfranco Nappi, Roberto Di Matteo, Michele Mezza (Con i quali la collaborazione continuò nei Comunisti unitari in MediaEvo e Network). La prima citazione riguarda i lavori dell’Ufficio di Ricerca Scientifica e di Sviluppo del Governo degli Stati Uniti d’America diretto da Vannuvar Bush che operò a metà degli anni Quaranta del secolo scorso.
A mio avviso li si gettarono le basi che hanno permesso a gli Americani di vincere la sfida che si stava profilando alla fine della seconda guerra mondiale, con il nuovo protagonismo della scena mondiale: l’Unione Sovietica.
Questo gruppo di intellettuali e tecnici capì che si doveva trovare una soluzione alla forza del movimento operaio. Una forza che contava perchè era parte fondamentale della produzione industriale di stampo taylorista e grazie al movimento socialista era diventata potenza.
Quaranta anni di studi e ricerche che hanno creato le premesse per rendere inoffensivo politicamente il ruolo dei lavoratori della grande industria.
Qui pubblichiamo una lettera di Vannuvar al presidente Roosvelt che segnala l’avvio di questo lavoro.
L’epilogo di questa vicenda cela racconta un’intervista di Michele Mezza a Nikolaj Ivanovič Ryžkov, Primo Ministro dell’URSS dal 1985 al 1987.Ryžkov racconta che Andropov appena nominato Segretario Generale PCUS riunisce nel 1982 un gruppo di giovani dirigenti sovietici (Ryžkov, Licaciev, Aliev, Agambengyan e Gorbaciov) e gli racconta che nel 1975 aveva fatto un rapporto a Breznev dicendo che in America “aveva preso avvio un nuovo modello di sviluppo economico basato su una forte automazione delle attività cognitive, grazie alla diffusione del computer individuale”. Andropov guardando il calendario fece notare che erano passati 7 anni e che quindi la battaglia era persa. Si trattava di trasformare la sconfitta in una ritirata strategica.
Come sappiamo non fu una ritirata ma un vero e proprio rompete le righe.
La rottura dei vecchi equilibri unita alla forza delle nuove tecnologie ci ha dato un mondo “globalizzato” dove è cresciuto a dismisura il peso e l’influenza di pochi gruppi economici e di potere che hanno abbandonato qualsiasi cautela e riserva pur di ottenere quello che volevano, fino ad organizzare colpi di stato e alimentare guerre in tutto il pianeta.
Questo processo ha avuto un’accelerazione enorme dalla rivoluzione informatica e digitale.
Abbiamo conosciuto così la globalizzazione, animata e sostenuta dall’idea che tutti potevano fare tutto: viaggiare, arricchirsi, dominare la natura e alterare la vita stessa.
La sinistra in gran parte è stata risucchiata in questo gorgo o ha risposto con un armamentario ideologico e pratiche politiche ormai superate.
Le poche occasioni in cui si sono squarciate le nubi come con il convegno di Rinascita del 1962 sulle Nuove Tendenze del Capitalismo, o dalle esplosioni del 1977 o al G8 di Genova sono state censurate o represse.
Altro incontro importante è quello con Christian Marazzi un economista che con il suo AL POSTO DEI CALZINI è tra i primi a metà degli anni Settanta a cogliere il cambiamento profondo in atto.
Con Sergio Bellucci ho scoperto la portata del digitale e soprattutto come è cambiato il lavoro nella situazione attuale. Il suo concetto di LAVORO IMPLICITO ha introdotto un approccio completamente diverso creando le premesse per uscire dalle secche in cui è arenato il movimento sindacale.
E per finire un intervento di Luca Cangeni che immagina un nuovo blocco politico militare come emerge dal documento Asymetric Competiton: A Strategy for China & Tecnology Actionable Insights for American Leadership.
Questi “incontri” sono avvenuti mentre mi sono trovato a lavorare in diversi partiti di sinistra o centro sinistra, da Rifondazione comunista ai Comunisti Unitari, dai Democratici di Sinistra al Pd e per finire a Patria e Costituzione.
Pubblico documenti e incontri a cui ho partecipato direttamente e che per me hanno rappresentato un serie di occasioni mancate.
Non si può dire che nessuno avesse capito cosa stava accadendo, come cambiava la società e la politica. Le due vicende più eclatanti sono state l’abbandono di Bertinotti e del Manifesto del progetto di tv digitale e satellitare per realizzare il quale fu costituita la società Compagnia Multimediale spa e la liquidazione dell’associazione Tematica e Telematica dei Ds NETWORK che nei contenuti e nel modo di funzionare anticipava di venti anni il fenomeno Cinque Stelle.
Proprio oggi che siamo a un tornante decisivo dove avanza una TRANSIZIONE e il vecchio potere è messo in discussione, ma senza che si delinei il nuovo ponte di comando, può essere utile ripercorrere queste esperienze.