Per inquadrare la questione che affrontiamo oggi è necessario indagare un doppio mutamento: quello intervenuto nei tempi di vita di uomini e donne e quello che ha caratterizzato lo sviluppo urbano. Questi mutamenti non camminano in modo parallelo ma si intrecciano continuamente. Oggi le città non sono più circoscritte da confini definiti, la loro organizzazione coinvolge spazi più larghi.
Questa nuova organizzazione del territorio si è manifestata in Toscana con la diffusione della piccola e media impresa che ha determinato un uso frazionato e disperso del territorio inducendo un'alta mobilità, al contrario di ciò che avvenne con le localizzazioni delle grandi imprese (anni cinquanta, sessanta) che invece spostarono e concentrarono nelle aree urbane interi settori della popolazione. Si parla infatti di ‘sistemi urbani giornalieri”, intendendo riferirsi con ciò a quel tracciato definito dai movimenti che si svolgono tra località urbane, tra luoghi di lavoro differenti dai luoghi diresidenza. La vita quotidiana di tanti cittadini, residenza, occupazione, ricreazione, acquisti, si materializza cosi in uno spazio urbano dilatato einterdipendente vissuto per lo più come luogo degli spostamenti. La conseguenza è uno sradicamento sociale e una grave spersonalizzazione dell’ambiente urbano. Questo rappresenta, al tempo stesso, una perdita e una profonda contraddizione giacché donne e uomini da sempre cercano di creare nelle città uno spazio per la propria vita. Un’opera che ha depositato in esse una civiltà enorme rendendole il luogo per eccellenza di radicamento, di costruzione di rapporti personali durevoli (vicinato, dimensione sociale di quartiere, rete commerciale di zona come luogo di interscambi umani...), della memonia collettiva e di identificazione personale.
Questa concezione che assume la città come complesso spazio di relazioni è quella che meglio comisponde all'esperienza di vita delle donne. Essa è caratterizzata da un profondo mutamento: più donne lavorano. Si sono rotti gli steccati tradizionali dei ruoli sociali e dell’occupazione degli spazi urbani. Il destino domestico, vissuto in solitudine, tra le mura di casa, in isolati quartieri periferici non è più il destino di tante donne. La metà degli abitanti delle città non vive più l'alternativa “o lavoro produttivo o lavoro di cura” ma ricerca, contemporaneamente, più spazi vitali: la casa, il luogo dilavoro, i servizi educativi, i luoghi dello spettacolo e quelli della comunicazione, i luoghi decisionali, gli spazi del verde. Questa ricca esperienza di vita confligge con un modello di organizzazione del tempo, costruito sull’esigenza preminente dello sviluppo industriale che continua ad ordinare il funzionamento sociale ed economico delle nostre città ed a determinare le scelte urbanistiche. Pensiamo a quella impostazione che ha definito le città eminentemente come territorio economico, luogo dello scambio mercantile, e a quelle soluzioni che hanno diviso il territorio urbano in zone cosiddette monofunzionali: direzionali, residenze, produzione, servizi. Oggi quel modello temporale che ha stabilito la predominanza deltempo produttivo degli uomini, su quello della cura, delegato alle donne e che ha teso a sincronizzare la vita quotidiana in un unica fascia oraria giornaliera, non funziona più. Così come non regge più, sul piano dei modelli spaziali, il criterio della separazione delle funzioni per selezionare e distribuire le attività urbane. Lo dimostra il fatto che i cittadini e le cittadine sono gravati dal compito di adattare i propri bisogni ai tempi d’uso delle attrezzature scolastiche e ricreative, ai mitmi delle attività lavorative e del funzionamento dei servizi basato su modelli rigidi e uniformi. Il tutto inoltre appesantito dalla congestione e dall’inefficienza della mobilità per una irrazionale distribuzione delle funzioni. Proprio questo cì dimostra il particolare interesse che assume la chiave del tempo, una risorsa preziosa da usare con cura. Le modalità del suo utilizzo, nel senso dei vincoli da superare e delle opportunità da offrire sono un contenuto della pianificazione territoriale. Anche qui si deve avere in mente un doppio mutamento.
Il primo teso a velocizzare cioè a superare lo spreco di tempo determinato dalla congestione e dalle incongruenti localizzazioni di funzioni. Questa divisione di funzioni, le une dalle altre, causa un eccesso di mobilità e un appesantimento della vita quotidiana per le difficili combinazioni di tempidiversi a cui sono costretti i cittadini.
Il secondo teso a favorire una riappropriazione del tempo lento non aggredito da un tempo sociale frenetico. Riflettiamo sul fatto che nelle città si è ridotto enormemente la possibilità di camminare che ha lasciato il passo al semplice spostamento da un luogo ad un altro, per lo più meccanizzato.
La chiave del tempo evidenzia un contenuto della pianificazione più complesso che va oltre la questione delle dimensioni quantitative e che chiama in causa una cultura della trasformazione.
Due sono le finalità di questo processo. La prima è quella dell’aumento delle condizioni di vivibilità dello spazio urbano che si ottiene favorendo la crescita di pari opportunità, di processi di identificazione, di socialità, di valorizzazione delle libertà e delle autonomie degli abitanti; la seconda è quella della salvaguardia ambientale ottenibile con atti che selezionino, dispongano, operino, prioritariamente, la manutenzione e la riqualificazionedei contesti urbani. Tale Impostazione mette al primo posto l’obiettivo della cura di ciò che esiste e limita e condiziona a forti motivazioni le possibili espansioni.
Se questi sono i criteri su cui orientare la qualità dello sviluppo dobbiamo essere molto severi sui risultati sin qui ottenuti: si può e si deve fare molto di più affinché la programmazione termtoriale segua questa impostazione.
Rispettare i servizi minimi di legge non garantisce di per sé la reale qualità di queste opportunità. Talvolta sono mal distribuiti, non fruibili da fasce diu tenza soprattutto da quella parte meno indipendente: i bambini. Spesso il verde rimane una previsione cartacea o perché non realizzato o perché ubicato in posizione critica, inaccessibile, così come molti servizi pubblici vengono situati in zone meno pregiate secondo la logica della rendita fondiana. Risultano così, pur nel rispetto degli standard di legge, fasce di popolazione costrette allo stress degli spostamenti: residenza, scuola, verde, attrezzature sportive (pensiamo a madri e bambini) o escluse per inaccessibilità totale (anziani).
In questa luce si comprende meglio il valore della Legge Regionale N. 5, “Norme sul governo del territorio”, emanata dalla Regione Toscana e la sua recente revisione attraverso la Legge Regionale N. 96 del Novembre 1995.
Essa è particolarmente apprezzata perché riorganizza il quadro normativo e snellisce procedure, ieri faticose e lunghe, definisce per ogni istituzione (Regione, Provincie, Comuni) precise competenze e assegna responsabilità non sulla base di un ordine gerarchico, ma secondo un rapporto di collaborazione al processo di pianificazione. La legge definisce nuovi strumenti di pianificazione: il Piano di Indirizzo Territoriale della Regione(PIT) e il Piano Territoriale di Coordinamento delle Provincie (PTC). Per quanto riguarda il livello comunale è di particolare interesse l’articolazione in due parti: una che indica i contenuti di carattere strategico e le regole invarianti da rispettare nelle trasformazioni del territorio, il Piano Strutturale e un’altra, più di dettaglio, che regola l’utilizzazione della proprietà immobiliare, il Regolamento Urbanistico. Un ulteriore strumento di azionedei Comuni è il Programma Integrato di Intervento: il programma delle scelte territoriali da attuare durante un mandato amministrativo con il concorso di tutte le risorse disponibili.
Ma vi è un altro valore che qualifica questa legge che è quello della scelta di assumere un’impostazione delle trasformazioni del territorio più rispettose dell’ambiente e garanti dell’accessibilità e della fruibilità così da permettere l’autodeterminazione dei tempi di vita individuali. La legge infatti riunifica urbanistica e tutela, sviluppo e ambiente, governo del territorio e politiche dei tempi.
Ciò vuol dire che gli strumenti urbanistici devono tenere conto di unequilibrio tra tempo e spazio. Questa materia, già presente nella ricerca urbanistica ed in alcune esperienze del governo locale, viene introdotta così per la puma volta nella legislazione.
La Regione Toscana ha così imboccato una strada nuova: quella che considera la politica dei tempi non più come intervento settoriale ma come un contenuto che informa di sé l’azione complessiva del governo e che diventa uno degli aspetti più qualificanti della stagione delle riforme di cui i governi locali sono protagonisti. Questo passaggio è stato possibile perché le donne hanno elaborato un ripensamento strategico sulla propria esperienza di vita composta di più tempi: di lavoro, di cura, delle relazioni, della formazione. Si è così prodotta un’elaborazione che è alla base di due proposte di legge nazionali e che ha permesso il varo di molte leggi regionali tra cui, una delle prime, quella toscana, L.R. N. 62/92. E° grazie anche a questo insieme di iniziative che si introdotto l’art.32 della Legge 142 che conferisce ai sindaci la competenza di coordinare gli orari delle città, delle attività commerciali e dei servizi. Se guardiamo anche alle cronache politiche di questi giorni possiamo avere la riprova di quanto la questione del tempo sia un tema cruciale. Penso alla discussione sulla riduzione dell’orario di lavoro.
Per dare più forza alla scelta del passaggio da politiche settoriali a politiche generali ritengo che sia opportuno definire un quadro di indirizzi e diprocedure mirate a dare una evoluzione coerente alla concezione di un nuovo raccordo tra tempi e spazi. La bozza delle proposta di legge che potete esaminare in cartella e che si propone di:
- favorire l'appropriazione delle città da parte dei suoi abitanti, uomini edonne, riaffermando 1 dintti dei bambini e delle bambine ad una città vivibileanche nella valorizzazione delle differenze culturali e degli stili di vita e nelrispetto delle diverse etnie.
- completare la legge regionale urbanistica puntualizzando come tra 1contenuti del PIT devono essere visibili agli enti locali parametri diriferimento atti ad armonizzare le scelte localizzative con i piani diregolazione degli orari.
- affermare la contestualità e complementarità tra il Piano Strutturale delcomune e uno specifico Piano di indirizzo in tema di orari. La proposta dilegge compie la scelta di adottare il Piano Regolatore degli Orari (PRO) nelrispetto delle competenze dei sindaci sulla base dell’art.36 della Legge N.140 secondo il principio di sussidiarietà, che definisce il ruolo dellaRegione come supporto finalizzato a far circolare e riflettere le esperienzesecondo modalità di concertazione.
Consigliera Regionale Marisa Nicchi