INTRODUZIONE
§ 1. CARATTERISTICHE DI UNA PSICOLOGIA DELLE VISIONI DEL MONDO
Cos'è una visione del mondo? è qualcosa di totale e universale a un tempo. Parlando ad esempio del sapere, visione del mondo non può dirsi un ramo del sapere considerato singolarmente, bensì il sapere come totalità, come cosmo. Per altro la visione del mondo non si esaurisce in un sapere, e importa anche una valutazione, una plasmazione di vita, un destino, una viva e intima sperimentazione di un ordinamento gerarchico dei valori. Esprimendo sotto altra forma questi due concetti possiamo dire che le visioni del mondo sono idee, manifestazioni supreme ed espressioni totali dell'uomo, sia dal punto di vista del soggetto, in quanto esperienze, forze, sentire, sia dal punto di vista dell'oggetto, in quanto mondi che sono stati plasmati in forma oggettiva e concreta.
L'occuparsi del tutto è detto filosofia. In questo senso anche il nostro libro potrebbe chiamarsi filosofico. Abbiamo preferito chiamarlo «Psicologia delle visioni del mondo». Senza voler disputare sui nomi, è bene confortare il senso della nostra definizione con alcuni argomenti, dato che la posizione della psicologia è oggi ancora incerta e provvisoria.
Col termine di filosofia si è sempre intesa la conoscenza nella sua totalità. Ogni conoscenza è filosofica, in quanto è legata al tutto da innumerevoli fili. Per le sfere scientifiche il divorzio effettivo dalla totalità significa fa morte. Alla conoscenza sottentrano una tecnica e un mestiere meccanizzati, e alla cultura dello spirito, il cui indirizzo conoscitivo è sempre universale, anche nello studio di un settore specifico, si sostituiscono il possesso e l'esercizio di strumenti a cui non servirà essere perfetti.
Ciò si è verificato da parecchio tempo. Ma poiché la separazione avveniva da ambedue le parti, i filosofi si occuparono delle sfere concrete della conoscenza tanto poco quanto gli specializzati si occupavano della totalità della conoscenza, di modo che gli uni e gli altri persero il concetto di ciò che un tempo era filosofia. Così è forse caratteristico del mondo moderno che i migliori filosofi non siano sempre i «Filosofi», ma sebbene dei solitari e rari scienziati. Se miglior filosofo può dirsi colui che è a un tempo sommamente universale e concreto - senza essere un puro enciclopedico - e che più largamente accoglie comprende esprime e configura lo spirito del proprio tempo, così forse oggi il filosofo migliore è uno scienziato, che tiene per così dire i piedi in un settore della scienza, e in pratica indaga, senza mai perder di vista il concreto, tutti i lati del rapporto con la conoscenza in generale, e sta in uno scambio continuo con la realtà, così come essa gli è presente nella sua concretezza. E potrebbe darsi che, secondo questo antichissimo significato di filosofia, meritino più che ogni altro il nome di filosofo un economista, un filologo, uno storico, un matematico[1].
La considerazione dell'universale (che peraltro si esercita praticamente in tutte le sfere della scienza, perché soltanto a questo patto la conoscenza è viva) si è perfezionata in scienze particolarmente denominate sviluppandosi con più o meno chiarezza. Tali scienze si chiamano oggi coti significato particolare scienze filosofiche, quando addirittura non si arrivi a chiamarle filosofia. Esse sono finora con limiti più o meno precisi: logica, sociologia e psicologia. La logica è la considerazione universale di tutte le scienze e gli oggetti in rapporto al carattere della loro validità. La sociologia e la psicologia sono l'esame e la considerazione universale dell'uomo e delle sue creazioni.
Ma la filosofia è sempre stata assai più che una considerazione dell'universale; ha suscitato impulsi, costruito scale di valori, ha dato alla vita umana un senso ed un fine, ha procurato all'uomo il mondo in cui sentirsi al sicuro e in una parola la visione del mondo.
La considerazione dell'universale non è ancora una visione del mondo: a essa bisogna che si aggiungano gli impulsi, che toccano l'uomo nella sua totalità e dalla sua totalità scaturiscono. I filosofi non furono per nulla dei quieti e irresponsabili osservatori, ma degli animatori che al mondo diedero forma. Tale filosofia, che noi chiamiamo profetica, è sostanzialmente diversa da un'astratta considerazione dell'universale, in quanto ci dà una visione del mondo, ci indica un senso e un significato, e costruisce scale di valori che han forza di norme. Solo a tale filosofia spetta il nome di filosofia, se questo nome deve conservare il suo timbro nobile e possente. Ma il nome è oggi invalso per designare la considerazione dell'universale, e proprio oggi non abbiamo alcun esempio di filosofia profetica, eccettuato qualche fiacco tentativo di restaurazione romantica. Così si chiama oggi filosofia quella che con più precisione dovrebbe chiamarsi logica, storia della filosofia, psicologia. La considerazione delle visioni del mondo, in quanto considerazione, non è filosofia vera, ma logica o sociologia o psicologia.
Chi chiede impulsi, chi vuole che gli si dica che cosa è giusto; che cosa conta, perché si vive, come si deve vivere, che cosa si deve fare, chi infine vorrebbe conoscere il senso e la ragione del mondo, si rivolgerebbe invano alla considerazione dell'universale, anche se essa si cinge oggi del nome di filosofia. La considerazione dell'universale tratta sì degli impulsi, e di come gli uomini trovano il senso della loro vita, e che cosa essi giudicano giusto, quali esigenze sentono imprescindibili. Ma esso non prende posizione, esso non vuole - come fa invece la filosofia profetica - diffondere alcunché, e a chi chiede il senso della vita dà sassi invece di pane, e respinge in se stesso chiunque voglia aderire, subordinarsi, diventar discepolo. Questi può solo apprendere, nel migliore dei casi, un metodo. Ma ciò che conta deve trovarlo da sé mediante esperienze originali. Uno studio siffatto io lo denomino psicologia, in contrapposizione alla filosofia profetica. La sociologia si ribella all'idea di essere filosofia, e così pure la psicologia. Ma non perché esse stimino poco la filosofia, anzi proprio perché la stimano altamente, e perché desiderano evitare confusioni, e perché vogliono fare con precisione nella loro sfera quanto è loro possibile, e vogliono farlo senza riguardi, ma temono di pretendere più in alto. Per questa ragione non si conciliano perfettamente col nome di filosofo. Filosofo è il filosofo profetico, al cui indirizzo gli altri possono attenersi, altrimenti si ha uno psicologo, un sociologo, un logico, che si limitano all'osservazione, e conoscono soltanto qualche cosa di relativo.
Oggi sono diffusi parecchi e multiformi surrogati della filosofia. C'è chi fabbrica metafisiche, chi di metafisiche edificazioni fa l'intenditore, chi fonda conventicole e crea vincoli di scuola, chi fonda circoli teosofici e spiritistici, e chi con un atto di violenza tutta cosciente aderisce alle chiese esistenti. Tali posizioni (che preciseremo in seguito come manifestazioni dello spirito nichilista) corrono sempre un grave pericolo a cagione della loro artificiosità e inautenticità. L'uomo infatti che vive con salde e autentiche fondamenta in una visione del mondo o in una chiesa, guarda con indifferenza e compassione all'atteggiamento che si estrinseca nell'esame dell'universale, esame che non può toccarlo, né disturbarlo o minacciarlo, anche quando riguarda lui stesso, laddove quei romantici e nichilisti reagiscono con l'odio all'osservazione di colui che non prende posizione. Essi preferiscono un nemico. Quella spietata indagine della realtà e della verità minaccia le condizioni necessarie alla loro esistenza. Essi debbono combatterla con tutti i mezzi, col ridicolo, con insinuazioni, con tutte le possibili classificazioni degli psicologhi (come «illuminista», «eclettico», ecc.) e ripudiando in blocco tale metodo, come figlio del male e del disamore.
All'atteggiamento psicologico si rimprovera spesso di tenere ogni cosa per nient'altro che un'illusione, di essere irriverente. C'è un atteggiamento psicologico che pretende all'assoluto di una visione del mondo, e che noi siamo ben lungi dal propugnare. C'è ancora una maniera sfacciata di fare psicologia, in cui l'atteggiamento psicologico è usato al fine di procurarsi potenza personale e provare un sentimento di superiorità. Cose tutte con cui noi non abbiamo nulla da spartire. Per converso l'atteggiamento psicologico può rendere più vivo il problema se dietro questioni che per comune giudizio si considerano pacifiche, sciocche, anguste e così via non si celi proprio nulla di vero e di sostanziale. Questo problema la psicologia in quanto tale non lo pone più, poiché essa vuol solo vedere con chiarezza ciò che esiste o è esistito. Tuttavia tali considerazioni possono trovar luogo qui: tutti gli atteggiamenti nei riguardi del mondo, tutte le immagini del mondo, le aspirazioni, i pensieri sorti nel cervello dell'uomo non possono essere dichiarati assolutamente nulli. Essi sono stati un giorno una forza, e risorgono per lo più in modi tipici. Non possiamo disfarcene come di un labirinto di illusioni, e pronunciare così un giudizio di nullità. Essi sono stati un giorno espressione necessaria di anime umane, e invece di domandare quale sia la loro verità oggettiva e metafisica potremo domandare quale sia la realtà psichica della loro azione. Più ci occupiamo delle visioni del mondo e dei loro contenuti e maggiore è il numero di analogie che notiamo fra le forme che si ripresentano. Che le anime cadano, che abbandonino la loro patria, che siano straniere su questa terra, che gli atti precedenti di esistenze trascorse seguitino a operare in quanto karma, determinando la nostra vita presente, che esistano dei dèmoni, che ci sia una storia umana di ordito soprasensibile, un processo unico e pieno di pericoli, tutti questi pensieri possono essere falsi, assurdi, illusori, ma è certo che l'anima umana ha una struttura che si esprime in tali pensieri. Essa sente ed agita qualcosa dentro di sé in un modo, che quella oggettivazione fu ed è riconosciuta espressione adeguata, rivelazione evidente e naturale. Ne erano fonte esperienze soggettive, che in quanto tali sono in ogni caso reali.
Si suole chiamare psicologismo il tentativo di disfarsi di un problema esponendo le sue implicazioni psicologiche; un fatto ha o non ha valore, ed è indifferente come sia sorto. è anche psicologismo giustificare, mediante il procedimento accennato, un fatto solo perché reale. L'uno e l'altro atteggiamento sono ben lontani da noi, in tanto in quanto ci limitiamo all'osservazione psicologica. L'uno e l'altro sono però possibili, e lo psicologismo può tanto apparire come una censura e una condanna, quanto come un riconoscimento ammirativo di tutto. A noi basta vedere e sapere che cosa psichicamente era vero ed è tuttora possibile.
Per di più noi sappiamo cos'è il razionale, e sappiamo che tutto il nostro studio delle visioni del mondo, studio che intendiamo in senso universale, è un'azione razionale. Possiamo perciò, consapevolmente, non lasciarci distruggere quali uomini dal nostro agire razionale, come accadrebbe se assolutizzassimo codesto studio ed erroneamente pensassimo di possedere per suo tramite la vita, quando è vero che soltanto una particolare specie di vita si esprime nel razionale. In verità noi non sappiamo mai quali forze, dentro di noi, si servono del razionale come di un mezzo; l'«interesse», le «idee», l’«essenziale» sono punti di vista razionali della scelta ed elaborazioni formali della nostra materia che rischiano sempre di permettere l'accesso nel campo della conoscenza a forze sconosciute. Inoltre non sappiamo mai quale invisibile visione del mondo ci muove per ultima, e siamo sempre pronti e disposti a rendere di nuovo coscienti quelle forze e ad elevarle nella cerchia delle nostre certezze; ma il processo di riconoscimento di tali forze motrici si dilunga all'infinito in una riflessione sempre più vasta.
Comprensione razionale non è azione. Le cose che noi prendiamo a esaminare appartengono per natura alle forze più potenti dell'anima. Esaminandole, noi intendiamo porci momentaneamente a distanza, in una zona inerte, al di là di ogni sfera. Stiamo fuori a bella posta, in luogo donde non partecipiamo o partecipiamo solo indirettamente all'agire e all'esperienza dell'agire.
Il puro sapere derivante da una considerazione razionale può esercitare influenze al di là della conoscenza, in quanto o libera o intralcia o rende prudenti, e può, all'occasione, servire all'eliminazione della inautentica vita larvale; ma non può in nessun caso estinguere o creare vita. Tutte le possibilità del vivente restano libere.
Reagendo noi in quanto uomini ad ogni fenomeno psichico, spirituale, intelligibile, quale noi lo vediamo, con l'accento dei nostri valori, è inevitabile che quanto è per esempio immobile e pietrificato venga negato, finché ci limitiamo a considerarlo, dai nostri istinti di vita. Per quanto procuriamo di evitare ogni giudizio di valore, non potremo però impedire che questi consuonino, inespressi, con quei fenomeni. Noi vogliamo però tenerci sospesi e dedicarci soltanto alla osservazione.
Abbiamo caratterizzato quella che a parer nostro è l'essenza di una psicologia delle visioni del mondo contrapponendola alla filosofia profetica. Ora è da dimostrare come dall'interesse psicologico si può arrivare a codesta psicologia delle visioni del mondo. Chi è consapevole del fatto che la psicologia, attualmente, non costituisce un tutto, e non esercita per altro la psicologia come un semplice mestiere (bensì perché vorrebbe sapere che cosa è l'uomo), giunge alla conclusione che il lavoro proficuo (il quale in ultima analisi sarà un lavoro casistico) non è possibile senza un chiaro orizzonte che gli dimostri un tutto nelle sue linee fondamentali, tutto che potrà essere corretto e rimesso in questione a ogni nuova ricerca casistica, ma che incita a sua volta a ricerche casistiche. Con questa convinzione io cerco da anni di procurarmi una tale visione. L'effettuazione di un tale compito può essere impossibile, altri possono nello stesso tempo sforzarsi alla stessa meta, ognuno può soltanto fornire dei frammenti; ma specie chi esercita la psicologia per la psicologia difficilmente potrà fare a meno di indagare e accertare nella più larga misura ciò che finora vediamo, ciò che ci è chiaro, ciò che ha attinto la forma concettuale.
Dei lavori che mirano a riunire in sistema le conoscenze psicologiche, e a guardarle come un tutto, io oso presentare un primo frammento in questa esposizione. Esso ha il suo senso in quanto parte, ma -io spero- ne ha uno anche preso in se stesso.
Procedendo verso limiti estremi, si può trovare un'agevolazione alla intelligenza del tutto psicologica in due campi distinti. In primo luogo nella metodologia o psicologia generale, nei principii, nelle categorie, e in generale nei metodi della nostra conoscenza psicologica, secondariamente nella psicologia delle visioni del mondo, agli orizzonti estremi, nelle forze supreme, in una parola ai limiti entro i quali si svolge finora al nostro sguardo la vita psichica. La psicologia generale sarebbe, in quanto sistema dei concetti e dei metodi, l'unico possibile sistema della psicologia. Invece ogni conoscenza concreta avrebbe sempre carattere monografico con esposizione di molte sistematiche, e non sarebbe mai così auspicabile come un sistema definitivo. La psicologia delle visioni del mondo è una misurazione dei limiti della nostra vita psichica, nella misura in cui questa è accessibile al nostro intelletto. Dai limiti, probabilmente, piove un influsso su tutto il psichico ed è presumibile che ogni cosa sia in qualche modo decisiva per la visione del mondo di un uomo. Nella trattazione particolare di una psicologia delle visioni del mondo non è necessario esporre tutta quanta la psicologia. Basta muoversi, astraendo artificialmente, in prossimità dei limiti. Invece di muoverci nell'ambito della vita psichica comprensibile concreta, intricata come un infinito gomitolo di fili intersecantisi fra loro noi cerchiamo per così dire dei gangli ai quali siano legati i fili e l'intero gomitolo; ed affatichiamo quasi a tirare questi gangli e a dipanare sempre più il gomitolo, fermando al tempo stesso un numero sempre maggiore di gangli.
Nella psicologia generale un sistema dei concetti psicologici ha un senso solo in quanto è un tutto relativo. Lo stesso avviene per la psicologia delle visioni del mondo. Una psicologia delle visioni del mondo non significa una ricerca lineare e costante da parte del singolo (essa è tale soltanto nei limiti della casistica, che qui non si vuole), ma è piuttosto il tracciato del territorio che possediamo concettualmente in quel momento. Se pensiamo un progresso, esso dovrebbe andare da uno a un altro tentativo di abbracciare il tutto. Naturalmente il lavoro casistico può sottintendere in sé quel tutto anche senza ridarlo in una espressione sistematica. Questa specie di casistica è la più valida.
è inevitabile che una pubblicazione si presti a conclusioni sull'insieme delle aspirazioni dell'autore a seconda del suo contenuto casuale. è sciocco voler dire tutto in una sola volta; e lo sforzo di separare il più possibile le regioni impedisce che si renda qui avvertibile alcunché della corrente terminologia scolastica e della psicologia causale, sia biologica che sperimentale. Tuttavia non vorrei favorire in nessun modo, con la mia esposizione, l'idea che la psicologia debba cangiarsi in un discorso sulle visioni del mondo; questo saggio è soltanto una misurazione di un limite, una parte, e non per carità tutta la psicologia, e invero solo una parte della «psicologia comprensiva».
§ 2. FONTI DI UNA PSICOLOGIA DELLE VISIONI DEL MONDO
Ciò che propriamente ci induce a porre il problema è l’esperienza che avviene in forza del movimento della nostra visione del mondo. Tale esperienza noi facciamo nelle conseguenze del nostro agire e pensare; nel conflitto con la realtà, che negli avvenimenti reali ci si dimostra quasi sempre in qualche modo diversa da come l'avevamo immaginata; nel confluire spirituale con personalità alle quali ci accostiamo, e dalle quali siamo respinti o accolti in un rapporto rigidamente statico; non certo mediante un pensiero freddo e di tipo puramente scientifico, che si limita all'osservazione, bensì mediante un pensiero vivo; e vedendo la realtà secondo l'angolo visuale che sappiamo nostro, e in cui siamo presenti con la nostra viva vita. Noi rileviamo in noi stessi, nei nostri rapporti con gli uomini e col mondo, una serie di contraddizioni, poiché il nostro primamente invisibile essere, desiderare e tendere, è diverso da quello che abbiamo voluto consapevolmente. La maturazione della nostra visione del mondo è un perpetuo processo di movimento, fino a che vige. Quando poi possediamo, saldi e cristallini, mondo e realtà e mete, o non abbiamo fatto ancora nessuna esperienza delle possibilità di maturare una visione del mondo, oppure siamo calcificati in un guscio e non ne facciamo più.
Sia nell'uno che nell'altro caso nulla più è fonte di meraviglia: c'è soltanto un ricusare o un riconoscere, nessun offrire o accogliere; non ci son più problemi, il mondo è saldamente diviso in bene e male, in vero e falso, in giusto ed ingiusto; tutto è cristallino, tutto è questione di diritto o di potenza. Nessun interesse può sussistere per una psicologia delle visioni del mondo, ma semmai per una psicologia delle illusioni, degli errori, e soltanto per una psicologia degli altri uomini, estranei o nemici. Invece nell'esperienza viva noi lasciamo che il nostro proprio io si dilati e dissolva, e poi di nuovo si ritragga in sé. è una vita pulsante di dilatazioni e di contrazioni, di offerte di se stesso e di autoconservazione, di amore e di solitudine, di concordanze e di lotta, di certezze e di contraddizioni e di fusioni, di crolli e di riedificazioni. Tali esperienze costituiscono le pietre angolari per ogni saggio di psicologia delle visioni del mondo.
La fonte che è la nostra esperienza immediata si amplia se giriamo in ricerca pel mondo, senza proporci fin dall'inizio di collezionare il materiale per una psicologia delle visioni del mondo. Noi non ammucchiamo il materiale singolo come fa lo specializzato, sistematicamente e seguendo una regola. Ci procuriamo una visione immergendoci in ogni situazione, in ogni piega dell'esistenza effettiva, vivendo in ogni elemento del mondo dell'esistenza (per esempio, nella nostra qualità di persone che svolgiamo opera di conoscenza, potremmo interessarci successivamente di tutte le scienze). Qui ogni uomo raduna come che sia nuove e personali esperienze, di cui non può riferire semplicemente come di un fatto determinato, o come di un caso. A tali esperienze, presenti in ognuno ma lacunose, e quasi sempre non percepite o indistinte, può appellarsi chiunque parli di psicologia delle visioni del mondo[2]. Sarebbe inutile e troppo complicato ridare tali esperienze nelle forme concrete della descrizione singola, e del resto sarebbe impossibile ad effettuarsi. Infatti le personali esperienze dell'anima umana non stanno a nostra disposizione come l'oggetto dell'anatomista o gli animali del fisiologo. Il singolo psicologo apprende casi fortunati di esperienze specifiche, che egli può in quanto tale adoperare, ma non mai comunicare. Il materiale che è, in quanto tale, comprensibile, utilizzabile, dimostrabile, è forse soltanto il materiale storico. I morti possiamo utilizzarli come casi; i vivi ce lo permettono soltanto in casi anodini, e di secondaria importanza per la psicologia delle visioni del mondo.
Le due specie dell'esperienza personale sono inoltre distinte a tal punto, che presso il singolo uomo l'una prevale spesso sorprendentemente sull'altra. Esistono uomini con una amplissima visione delle sfere e delle forme dell'esperimentare e dell'intendere umano, i quali per altro non sentono alcun bisogno di vivere il personale e profondo moto della propria visione del mondo. E d'altra parte esistono uomini i quali, mentre guardano profondamente e dolorosamente nelle loro sostanziali esperienze umane, non si preoccupano poi di sviluppare nessuna ampia visione di tutte quante le possibilità. La vita in comune con altri uomini ci porta ad assimilarci ciò che originariamente ci era estraneo. Noi ci plasmiamo attraverso queste esperienze nell'altro. Non possediamo - è vero - il conquistato come un profondo elemento del nostro essere, come ciò che abbiamo appreso affatto originariamente con pericolo e responsabilità personale, ma lo scorgiamo in forma perspicua ed evidente. Per i materiali necessari alla veduta psicologica è più ricca questa seconda fonte, per le forze che in generale ci portano alla veduta psicologica e per i principi che consciamente o inconsciamente ci guidano è decisiva la prima fonte.
Le fonti suddette ci permettono di comunicare soltanto astrazioni ricavate dalle esperienze, ma non le esperienze stesse nella loro individuale concretezza. Esse sono inoltre relativamente povere ed unilaterali; per quanto vive immediate e decisive siano per il mondo della nostra visione psicologica. Il nostro vivere nel movimento della contraddizione, il casuale esperimentare e osservare immergendoci in situazioni e sfere diverse sono sì per noi le più immediate e importanti fonti per una intelligenza psicologica, ma solo l'insieme delle personalità spiccate e delle loro opere può procurarci l'ampiezza d'orizzonti e la pienezza necessarie per una illustrazione, e quelle personalità e quelle opere non ci sono date direttamente, bensì solo indirettamente, nel materiale storico. A questo materiale si rivolge lo psicologo per trovare la sua materia. I viaggi nel passato gli porgono, se anche non esperimentato direttamente, e più o meno mediato, più o meno compreso e interpretato, un mondo di inesauribile ricchezza. Non per desiderio di questa ricchezza egli si addentra in quelle forme, né gustandone epicureisticamente lo spirito, ma guidato dall'idea dell'uomo e, per noi, dall'idea di un cosmo delle visioni del mondo. Egli non ha bisogno, in questo campo, di creare del materiale nuovo, ma tutto il materiale diviene per lui un oggetto di genere particolare. Egli attinge a un mare inesauribile, non per abbracciare con lo sguardo questo mare in quanto tale, come fa lo storico, ma per trovarvi dei casi. Il materiale suo specifico sono la casistica biografica di singoli uomini e in secondo luogo le configurazioni di interi gruppi d'uomini e epoche.
Paragoniamo l'atteggiamento del filosofo, dello storico e dello psicologo rispetto alle visioni del mondo che si manifestano nel materiale del passato. Il filosofo profetico tratta delle visioni del mondo criticamente, polemizzando o consentendo, con lo scopo di mettere innanzi la visione del mondo che a lui pare giusta: sia che rifiuti in blocco le altre visioni del mondo o che le aggreghi come «momenti» del suo sistema, come risolte e abolite. Lo storico della filosofia e dello spirito presenta le visioni del mondo nei loro contenuti, nelle loro condizioni temporali e culturali, nel loro nesso reale e cronologico, nella loro correlazione con le personalità dei filosofi, nelle loro particolari, irrepetibili qualità. Lo psicologo somiglia allo storico là dove questi si dedica alla intelligenza psicologica e caratterologica della filosofia e dei filosofi; ma somiglia al filosofo, per ciò che il suo fine non è la intelligenza storica in quanto tale, la intelligenza storica dell'intera filosofia, bensì una visione sistematica dell'uomo quale si esprimeva nelle sue visioni di mondo. Lo psicologo vede nel materiale storico una miniera di casi illustrativi, il passato è per lui ciò che per uno psicopatologo è la clinica; egli cerca di ricavarne i casi che gli sembrano a lui adatti, nel che può avere più o meno fortuna. Egli lascia da canto ciò che forse ha una grande importanza storica; e anche forse ciò che pare decisivo per la conoscenza reale di una determinata filosofia. Un suo caso può anche per avventura essere significante in una di quelle correlazioni: ciò è indifferente ai suoi fini psicologici. La filosofia stessa non è per lui che l'espressione più differenziata e autocosciente di visioni molto più estese e meno differenziate, di visioni incoscienti ma effettive.
Nella psicologia delle visioni del mondo la psicologia si trova come sempre fra i due poli della esposizione astratta e sistematica e della esposizione casistica. Come nella psichiatria esistono, quali forme della comunicazione scientifica, una psicopatologia generale e una clinica casistica, e come ambedue riposano l'una sull'altra, così può esistere una psicologia sistematica o, se si vuole, generale (e si tenta di darla nel presente libro), e una psicologia casistica delle visioni del mondo, della quale circa un capitolo sarebbe quello sul carattere dei filosofi. Quand'anche la forma dell'esposizione generale sia sviluppata per affermazioni, e soltanto illustrata a mo' d'esempio qua e là con dei casi, e non derivi quindi dai fatti, essa ha però di mira i fatti come la forma casistica, e vuole comprendere i fatti, ma in forma generale. Ogni psicologia procede dal caso al tipo, dal singolo al generale. Il compito scientifico è risolto soddisfacentemente solo quando l'uno e l'altro si integrano a vicenda, quando il generale viene indicato di nuovo nella casistica concreta.
Destano primi il nostro interesse gli uomini singoli, per lo più quelli dell'epoca moderna e di alcuni secoli dell'antichità, quindi le epoche il cui aspetto complessivo ci dà in grande una visione, la quale è analoga a quelle ricavate dal singolo. Del grande tessuto delle possibilità l'uomo singolo coglie quasi sempre pochi rari fili. Egli è limitato nella scelta dal tempo e dall'ambiente in cui vive. Ma l'immagine dell'uomo in generale, e del cosmo delle sue visioni del mondo, non la dà l'uomo singolo né una singola epoca, bensì soltanto la totalità della storia umana. Anche supponendo - cosa abbastanza sterile - che in tutte le epoche storiche siano potenzialmente presenti nell'uomo le medesime disposizioni di carattere e di forze, e di loro espressione nelle visioni del mondo, è certo per altro che la manifestazione concreta, l'unica che ci stia a cuore, non ci mostra mai che forme sviluppate, marcate, distinte.
Riguardando le epoche della storia umana quali manifestazioni delle possibilità dell'anima umana ci accorgiamo di quanto segue: lo spirito di un'epoca - il quale è naturalmente un'astrazione, poiché il tempo contiene anche molte altre cose - è un fattore positivo fra gli uomini sostanzialmente partecipi, e la qualità di questo spirito ogni epoca la contiene a un tempo nell'inautentico, nell'unilaterale, nel monco, nel piatto, nel fanatico. Ogni spirito appare poliedrico e ricco di significati a seconda dei caratteri che lo accolgono in sé, e vario di significati anche a seconda della sua origine e dei suoi effetti. Effetti positivi e distruttivi, desiderati e indesiderati, si combinano sempre fra foro: nel grande complesso dell'evoluzione ciò si dimostra in forma ancora più drastica che nella biografia singola. Il punto di partenza per la nostra opera di comprensione deve essere sempre l'aspirazione a vedere in un primo momento dappertutto il positivo, a penetrarlo, a farlo nostro. Le epoche che col loro solo nome ci significano un tipo spirituale sono l'Illuminismo, l'Umanesimo, il Romanticismo. Ivi sono da distinguere, a seconda della accezione, le visioni del mondo storiche, empiriche e individuali dal tipo spirituale generale, psicologico. (Così ad esempio Romanticismo, Illuminismo, Impressionismo hanno un significato temporale e storico, e uno generale e psicologico).
Per l'utilizzazione a scopi psicologici del materiale storico si richiede una conoscenza dell'orizzonte storico generale. La natura dell'argomento ci porta a saltare coi nostri esempi, quando li facciamo, da un punto all'altro della storia, e a prendere il materiale concreto là dove esso casualmente ci si fa incontro e dove ci appare in forma più distinta ai fini di una conoscenza psicologica.
Naturalmente, ai fini particolari di una psicologia delle visioni del mondo si utilizzeranno spesso e con profitto i lavori storici, le fonti secondarie. Sarebbe impresa ridicola e disperata voler rifare da soli il lavoro gigantesco che è stato fatto fin qui. Sono ad esempio ricche di problemi riguardanti la psicologia delle visioni del mondo:
La storia della Filosofia: Hegel, Erdmann, Windelband; i lavori biografici: per es. Dilthey, Schleiermacher, Justi, Winckelmann; la storia del pensiero di singole epoche: molti saggi di Dilthey, le opere di Burckhardt, di Friedlaender, di Eicken.
In fine esamineremo se e dove sia stata elaborata una psicologia sistematica delle visioni del mondo. Io conosco solo un grandioso tentativo: la Fenomenologia dello Spirito di Hegel. Ma quest'opera ha pretese assai più grandi che non una semplice psicologia delle visioni del mondo. Essa sviluppa le forme dello spirito fino al sapere assoluto ed è già in se stessa espressione di una visione del mondo. Nel particolare è molto arrendevole e istruttiva per inostri scopi di semplici osservatori, ma nell'insieme non è per noi un modello, bensì piuttosto un oggetto. Ce ne serviamo nei problemi singoli, come cava in cui attingere un prezioso materiale costruttivo.
Ma stabiliamo anzitutto ciò che ci è possibile fare, in antitesi a questa mirabile opera: nell'insieme noi offriamo piuttosto un catalogo, in cui sussistono - è vero - molteplici connessioni, un'omogeneità e un'interna sistematica, ma in cui il sistema non è il fatto principale. Hegel ha costruito un edificio sistematico compiuto e unitario, un sistema chiuso. Il nostro sistema vige soltanto in una molteplicità di schemi intersecantisi fra loro. Hegel, che vuole conoscere il tutto, obbiettivizza; noi, che vogliamo soltanto vedere e comprendere l'uomo e quel ch'è possibile nell'uomo, subbiettivizziamo. Hegel finisce nel sapere assoluto, noi cominciamo e restiamo nella nostra sfera, in una assoluta ignoranza dell'essenziale. Hegel possiede un metodo; noi non ne abbiamo alcuno che prevalga sugli altri, e ci serviamo ora di questo ora di quello.
Sul lavoro che abbiamo detto esercitava un'influenza Hegel; ma gli insegnamenti decisivi per una psicologia delle visioni del mondo ci provengono dalle seguenti personalità:
1 - Kant, per la sua dottrina delle idee, è il creatore del pensiero che una psicologia delle visioni del mondo non può non sottintendere. Il quid, che vige come tutto o come esistenza, e che viene indicato con parole quali idea, o spirito, o vita, o sostanza, che è indimostrato o indimostrabile, e che si ride di ogni formulazione, poiché ogni formulazione deve di necessità essere nuovamente annullata, che è dunque non già un presupposto razionale, o un principio logico, ma sibbene un pensiero infinitamente mosso e insieme qualcosa di più che un pensiero, quel quid è il fondamento ed il fine in cui sono calate e comprese le formulazioni razionali di questo libro. Perciò tali formulazioni non sono autosufficienti e concluse in se stesse, ma dipendono in qualche modo da un fattore extralogico.
2 - Kierkegaard e Nietzsche, che per l'osservatore superficiale sono gli estremi opposti (l'uno, ad esempio, è Cristo, l'altro è l'Anticristo), hanno vissuto in una originalissima esperienza la problematica dell'esistenza, e rappresentato in tal modo, in opere impareggiabili, le possibilità dell'uomo, che conviene riconoscerli per i più grandi psicologhi delle visioni del mondo che siano mai esistiti. Ricchi dell'infinito orizzonte storico quale lo avevano rivelato Hegel e la scienza storica tedesca, ambedue vissero in intima opposizione alla tentazione di acquietarsi nella considerazione di quell'orizzonte: a essi sta a cuore la vita dell'individualità presente, l'«esistenza». Essi mettono alla prova in una illimitata autoriflessione ogni posizione conquistata lottando nel loro intimo, e afferrano e comprendono la problematica dell'io, la dialettica di ogni concreta esistenza soggettiva. Così è naturale che diventi per loro un problema la questione della autenticità della vita e della concreta esistenza psichica, e un fatto ovvio il movimento intensissimo, l'inquietudine dell'esistenza psichica concreta. Ambedue, nel loro movimento interiore, sono romantici, ambedue sono però appassionatamente antiromantici, poi che gli aspetti concreti di quello che fu chiamato romanticismo furono quasi sempre deviazioni frivole, artificiose, epicureistiche, oppure servili e pedisseque. Ambedue furono, anche nella forma letteraria della loro produzione, avversari del sistema: e i loro pensieri hanno la forma dell'aforisma e del saggio.
Quel che in Kierkegaard e Nietzsche scaturisce con la veemenza propria di una esperienza immediata e di una religiosa serietà, si è sviluppato contemporaneamente durante il diciannovesimo secolo come riflessione letteraria sugli uomini e sulle cose umane. Tale riflessione trova il suo primo fondamento nel romanticismo, questa proclamazione di indipendenza della pura spiritualità; attinge poi alla filosofia tedesca, segnatamente da Hegel (oltre che da Schelling: del quale Madame de Stael ebbe a dire che la comprensione della filosofia schellinghiana permetteva a un uomo di essere acuto e concettoso per tutto il resto della sua vita); e finalmente subisce il forte influsso di Nietzsche (non di Kierkegaard, che aveva scritto in danese, e il cui influsso comincia ad estendersi solo nello scorcio del secolo). Essa scorre attraverso il diciannovesimo secolo in Germania come una vasta corrente di indagine acuta e concettosa. Osservazione e valutazione difettano ivi di salde mete, di una forza sostanziale genuina; fortemente psicologizzanti, si mescolano per lo più con la metafisica e con qualunque altra cosa possibile. Le personalità sono sostanzialmente estranee le une alle altre, per quanto unite siano in questo termine di mediazione. Ma ad esse bisogna render grazie se si è conservato un fermento spirituale, poiché esse stimolano e fanno sentire un bisogno di problemi, e rendono incerta e pongono indirettamente alla prova tutta la vita dello spirito.
Mercè loro l'uomo versa come un acido su se stesso, il quale o lo dissolve in una concettosità inconcludente, oppure lo conduce alla consapevolezza, al rinvigorimento, alla affermazione della propria sia pur minima «esistenza».
3 - I lavori politici e sociologo-religiosi di Max Weber contengono una sorta di analisi psicologica delle visioni del mondo, che è nuova rispetto alle precedenti in virtù della conciliazione, apparsa fino allora impossibile, che l’autore fa delle concrete ricerche storiche con un pensiero sistematico. La forza e la capacità di oggettivazione sistematica; che qui finalmente si esprime per frammenti invece di irrigidirsi e mortificarsi in un sistema, è legata a una veemenza piena di vita, la stessa che ci colpisce in Kierkegaard e Nietzsche. La separazione, ch'era già stata formulata altre volte, ma ch'egli per primo vivificò e animò, fra l'osservazione scientifica e la valutazione sgorgante da una visione del mondo, potrebbe tentarsi anche nel presente saggio.
Il nostro vuol essere un saggio sistematico e non casistico. Esso è una costruzione di tipi, che talvolta si illustrano per mezzo di esempi, ma non si dimostrano; poiché hanno l'evidenza di intime perspicuità. Quello che ora diciamo vale per tutto il materiale a cui metteremo mano: non cerchiamo qui forme consuete, comuni, per il fatto solo che sono consuete e comuni. Quelle che cerchiamo sono le forme specifiche, per quanto rare e fuor del comune esse siano.
Il nostro campo non è costituito da ciò che possiamo scorgere studiando ad esempio cento uomini dcl nostro ambiente, bensì dal materiale che ci si presenta in ciò che di peculiare veniamo percependo nell'esperienza storica e nell'intima e viva esperienza del presente, anche se quel materiale è irripetibile, e può vedersi e costruirsi soltanto tipicamente. L'obiezione del solito empirico sensuale, che ciò che qui vien descritto egli non lo nota in se stesso, né lo nota in concreto nella storia; e che tutte queste sono costruzioni e fantasie; tale obiezione non può preoccuparci, poiché egli presuppone qualcosa che noi non vogliamo. Per quanto esponiamo in questo libro non si dà alcuna dimostrazione, come per le tesi e le affermazioni concrete, ma soltanto l'evidenza della visione. Tale visione non è mai cosa assolutamente universale e ovvia come la percezione sensoriale. Nella nostra esposizione verità ed esattezza significano perspicuità e limpidezza. Non si danno dimostrazioni. Qualcosa è falso perciò che resta oscuro e indistinto o che tale era già in nuce. La questione della verità e dell'esattezza diventa attuale - nel senso del dimostrare e del confutare, delle istanze per e contro - soltanto quando i tipi delle varie visioni del mondo vengono studiati empiricamente nel singolo caso concreto. Confrontato al caso singolo ogni tipo è falso, ed è piuttosto un regolo che conviene parzialmente, con certe limitazioni. Anche le personalità storiche nominate occasionalmente devono essere esempi illustrativi piuttosto che prove, e noi le concepiamo unilateralmente, secondo il punto di vista del momento, non in se stesse ma come casi. Se esse fossero concepite erroneamente per ciò che riguarda la loro realtà empirica, il fatto sarebbe spiacevole, ma scarsamente importante nella connessione che qui si ha in mente. La loro caratterizzazione avviene con un solo scopo, il che dà in ogni caso origine a sproporzioni e a esagerazioni, che noi intenzionalmente non evitiamo. Il caso singolo in quanto tale non ha in questo libro alcuna importanza.
Un tentativo siffatto è rischioso. Si obietterà che da questa enorme massa di materiale possono generarsi soltanto vedute parziali e caotiche; che nell'applicazione al caso concreto tutti i tipi risultano troppo grossolani e sommari; che le distinzioni sono sofistiche, e che attraverso di esse non si arriva a cogliere l'individuo concreto. Si opinerà dubbiosamente che per una osservazione sistematica esistono in genere troppo esigue fondamenta, e che questa riuscirà necessariamente invadente e superficiale. Si dubiterà che il singolo possa acquistare, a questo fine, delle esperienze e delle conoscenze sia pure approssimativamente sufficienti.
Tali e altre obiezioni non vanno sottovalutate. A mia giustificazione io posso dire soltanto:
1 - Intorno alla psicologia delle visioni del mondo si sono acquisite tante nozioni particolari, che il solo darne comunicazione in una forma ordinata può essere utile.
2 - Ogni epoca ha il bisogno e il diritto di far vivo e nuovo per sé quel che il passato ha posseduto in sé in forma diversa; di fare ancora una volta quel che si è fatto tante volte. Sarebbe ridicolo voler porre qualcosa a fianco della fenomenologia hegeliana, sia pure solo per paragonarglielo. Ma questa fenomenologia, così come è, non soddisfa il nostro bisogno di orientarci teoreticamente sulle visioni del mondo.
§ 3. CONCETTI SISTEMATICI FONDAMENTALI
Di fronte allo smisurato sono necessari dei concetti sistematici; e noi vogliamo in certo senso parlare di ogni cosa, non tralasciare niente, poiché di ogni cosa andiamo cercando i limiti.
Il procedimento esteriore, se si vuole pervenire a una psicologia delle visioni del mondo, è, come nelle altre regioni della psicologia comprensiva, suppergiù il seguente: radunare la materia: osservazioni, reminiscenze, visioni, notazioni, tutto ciò che ci proviene dalle fonti da noi descritte poco innanzi della psicologia delle visioni del mondo. Il che porterebbe all'infinito. Dopo qualche tempo si cerca di ordinare in qualche modo tutto ciò che il nostro istinto ha sentito di importante nel caso particolare. Si collega ciò che pur essendo stato espresso in vocaboli e sfere differenti è tuttavia identico. Il materiale si stende ai nostri occhi come una schiera confusa. Noi sentiamo dove è possibile trovare le omogeneità e le parentele, e dove le relazioni in un senso qualsiasi. Così piccoli gruppi legati da una sistematica interiore si coordinano senza che ancora si sappia bene come. Essi stanno l'uno accanto all'altro in un semplice elenco. Il procedimento si ripete, ma alla fine non ci resta mai altro che un catalogo meramente enumeratore, in cui tuttavia viene progressivamente crescendo, allo sguardo che indaga e stabilisce i nessi, il numero delle formazioni organiche particolari. Ci guida così la convinzione di muoverci in qualche modo verso un sistema naturale, in cui il cosmo delle visioni del mondo ci si farà perspicuo: sentiamo una certa idea. Ma possediamo soltanto schemi. Ci guardiamo istintivamente dall'erigere a sistema unico e dominante uno qualsiasi di tali schemi; avvertiamo che così facendo violenteremmo e storceremmo ogni cosa, e assassineremmo spiritualmente noi stessi e tutti gli altri che il nostro sistema volessero per caso accettare. Cerchiamo, al contrario, di neutralizzare uno schema con l'altro; cerchiamo - è vero - di creare schemi, ma acciocché fa loro sovrabbondanza ci tenga sospesi e oscillanti. Perciò, ad onta di ogni sforzo sistematico, non giungiamo mai a una fine, e invece di un sistema reale non possediamo mai, in fondo, che un catalogo, invece di un sistema che tutto coordini e diriga non possediamo che una serie di schemi relativi, che si sovrappongono e si escludono a vicenda. In possesso di questo ordinamento momentaneo e sommario, di questo scheletro, raccogliamo ora più larga materia negli studi biografici e storici, e nella viva osservazione del presente. Tale materia è inesauribile. Molte cose, che non ci interessano, le lasciamo passare. Ma riteniamo, chiedendoci che posto gli spetti, ciò che in qualche modo ci colpisce per la sua essenzialità. Così si genera una azione di reciproco influsso fra le nostre ossature sistematiche e i nuovi materiali: il nuovo viene allora o assunto e identificato entro le forme esistenti, ed è in tal caso un elemento di arricchimento; o viene chiaramente e distintamente riconosciuto come nuovo, e in tal caso si comprende che non si può inserirlo in nessuna casella prestabilita, e allora l'ossatura si amplia, altrimenti la si rifà di bel nuovo da cima a fondo.
A chi domandi che scopo abbia l'intero ordinamento, quale sia il suo senso, e secondo quali criteri venga ordinato, possiamo per il momento rispondere che l'abbandonarci incondizionatamente alle materie particolari ci consente di trovare un punto di vista che le ordini tutte. Noi crediamo che nei nostri istinti ci guidino delle idee, e che il nostro interesse non sia in ultima analisi puramente soggettivo e arbitrario. Di ciò non possiamo dare alcuna motivazione, e tanto meno una prova. Se nell'ordinamento c'è un'idea, questa resta però affatto imprecisa fino a che il tutto non abbia raggiunto un grado di compiutezza comunicabile. Si possono bene usare dei nomi, dire ad esempio che l'idea aspira a un cosmo delle visioni del mondo, che intende a una visione totalitaria libera da preoccupazioni valutatrici, e simili. Ma, senza un'attuazione e un compimento, ciò resta privo di significato.
Lavorando per un certo tempo con limiti così vaghi come abbiamo detto nell'intento di dare un ordinamento sistematico ai contenuti delle nostre visioni, si scoprono alcune leggi che sono peculiari di ogni sistematica. Leggi che a conoscerle consapevolmente ci rivelano la forza, ma anche la limitatezza di ogni ordinamento sistematico. Tali leggi sono:
I - Ogni sistematica opera rettilinearmente, si presenta sempre come una serie semplice e tutt'al più si conclude a cerchio su una unica linea. La cosa invece non è quasi mai così. La cosa è polidimensionale, e la si ordina di continuo secondo una sola dimensione; è problematica e ha molti centri, e la si ordina sviluppando magari più serie unidimensionali da un unico centro; è concreta e infinita, e nel darle forma sistematica la si fa astratta e finita. Ci si trae d'impiccio ponendo accanto alle singole parti delle serie accessorie, delle nuove dimensioni, o anche ponendo più centri in reciproca correlazione e sviluppando da ciascuno di essi una raggera di serie. Ma in fondo si rimane sempre più o meno legati a schemi spaziali, mentre la cosa è forse incommensurabile a un sistema pur complessissimo di parti, dimensioni, caselle. Il nostro ordinamento è un atto di violenza e insieme, forse, un limite a tale violenza.
2 - Nel lavoro di ordinamento ci muove dapprima la tendenza a metter lì semplicemente le forme perspicue e le connessioni scorte e a raggrupparle poi in modo da fornire un catalogo. Più tardi prevale in noi la tendenza che, come nella psiche tutto è in relazione, così anche i limiti delle situazioni umane, le posizioni da cui l'uomo vede il mondo, le forze siano alcunché di unitario, che si è, diciamo così, frantumato in mille colori e sale sempre alla luce in forme antitetiche. Nel lavoro di ordinamento le forme ci appaiono quasi come tanti scomparti, tante possibilità in cui l'uomo si addentra e non si addentra, e dal singolo uomo si aspetta sempre che egli si dichiari per l'una e non per l'altra direzione. Ma poi ogni uomo ci appare come l'infinito stesso, al quale appartengono o nel quale sono rappresentate potenzialmente tutte le forme. Così tutti i tipi che descriveremo ordinatamente non sono possibilità ultime, per le quali il singolo si decide, ma posizioni in cui egli può trovarsi, e che trascende con la totalità della sua vita, quando si consideri questa come l'insieme dei suoi possibili sviluppi biografici.
Ogni uomo penetra quasi attraverso l'intero cosmo delle visioni del mondo, ma il suo essere suole risplendere di più forte luce in punti singoli di codesto cosmo, e in altri è appena visibile. Quanto più ci signoreggia l'idea sistematica, tanto più siamo disposti alla unità, e tanto più l'uomo diventa la totalità inconoscibile che perviene alla realtà fenomenica in una moltitudine di figure, allo stesso modo che da un centro si dipartono una schiera di raggi. Non ci riesce tuttavia di rapportare compiutamente tutti i fenomeni a quel centro (il sistema sarebbe in tal caso perfetto, e il mondo verrebbe conosciuto nell'anima umana) e bene o male ci areniamo - sempre - di nuovo in antitesi, fra meri elenchi catalogatori. è sterile parlare di unità, impossibile dimostrarla, altrettanto impossibile confutarla. L'unità è una idea la cui realizzazione in un ordinamento sistematico non può non essere, in tanto in quanto la si sente criticamente, una costruzione ondeggiante fra il sistema e il catalogo. Chi crea un ordinamento è consapevole di non fare soltanto un catalogo del tutto superficiale, sibbene di muoversi intorno alla cosa. In tale ordinamento, che invero diventa erroneo ogni volta che vuole essere definitivo, si cela però qualcosa che non può non essere in relazione con la cosa perspicua.
3 - Nel concepimento teoretico sistematico di una cosa occorre inevitabilmente creare schemi. In caso contrario non si va al di là dell'aforisma, si è privi di un veicolo utile per la scoperta di rapporti e lacune, e si perde la possibilità di una visione panoramica del tutto al quale si era pervenuti finora. Ma, con parecchi ordinamenti sistematici, è possibile avvicinarsi a qualsiasi oggetto. Ogni sistematica ha in qualche modo ragione, e ognuna ha torto, non appena voglia spacciarsi per l'unica autorizzata. è bene perciò avvicinarsi anche di fatto col più gran numero possibile di punti di vista sistematici alla cosa, e ricavare da lei il più possibile.
Un tutto è concepibile in genere teoreticamente soltanto col sussidio di una sistematica. Ogni particolare acquista la sua determinatezza e la sua perspicuità per ciò che viene confrontato e posto in relazione. Se si ha a che fare coi particolari di un tutto, e una o più rappresentazioni di codesto tutto non ondeggiano -inespresse - sullo sfondo, la trattazione resta confusa, contradittoria e indistinta. La psicologia più di ogni altra scienza è possibile soltanto come totalità, altrimenti si dissolve in un caos indefinito di riflessioni aforistiche. Il compito sta perciò nell'essere continuamente sistematici, badando al tempo stesso che nessun sistema giunga al predominio sugli altri, affinché il più gran numero possibile, o addirittura tutti i pensieri sistematici divengano operanti. Allora l'infinitudine della cosa permane in qualità d'idea, e permane l'ordinamento che si crea nel pensiero vivo; non sussiste più il pericolo che il sistema sottentri, quale schema, alla cosa. Per la contemplazione teoretica ogni sorta di sistema non è che un mezzo, in forza del quale diventano possibili vedute ulteriori, e prima ancora acquistano maggiore determinatezza i contenuti ancora oscuri. Grazie al fattore sistematico le nostre acquisizioni possono essere chiare e distinte: con l'ordinamento sistematico noi percorriamo di volta in volta un sentiero per l'infinito cerchio dell'oggetto e nel migliore dei casi una periferia artificiale.
Esiste in noi la tendenza ad annientare continuamente il sistema mediante la nostra sistematica. Bisogna cercare di possedere ogni costruzione sistematica così come si possiede una tecnica, poiché senza di essa pensare è impossibile, ma per conservare all'osservazione la capacità di visione e la libertà dell'oggettività infinita occorre circoscrivere e relativizzare di bel nuovo detta sistematica. Un punto di vista assurge in un primo tempo a dirigere l'ordinamento, altri quindi lo incrociano e coagulandolo lo aboliscono di nuovo. Ogni sistematica di questo tipo tende a negarsi continuamente. Si cerca di rendere vivi e mobili i punti di vista e di comprendere che si potrebbe procedere anche in tutt'altra maniera. L'idea di un cosmo di struttura unitaria può bene esserci di guida, ma non è realizzabile compiutamente. Ogni edificio troppo compiuto è sospetto. Esso sarà costruzione in senso deteriore, e cioè sopraffazione, composizione secondo pochi principi determinati. Alla mobilità sottentra una rigidezza mortuaria. Per ogni osservatore che venga compiendo il suo lavoro di indagine il problema capitale sarà quindi di essere sempre sistematico e insieme rituffare sempre ogni sistematica nel moto di una corrente, di non scansare la fatica dei sistemi ignorandoli, ma di superarli continuamente, riportandoli, mercè l'assimilazione, entro quel moto.
4 - In ogni esposizione è indispensabile una partizione fondamentale, anche se per l'esame dei particolari singoli potrà rendersi necessario l'impiego di molti altri punti di vista. Crediamo giovevole, quando si voglia conservarsi liberi dal sistema, riguardare siffatta partizione come una delle molte possibili; in secondo luogo, sceglierla il meno possibile fascinosa e il più possibile astratta; infine fare il possibile per non fissarne i limiti anticipatamente, lasciando che dal suo commercio con la cosa essa si sviluppi e si modifichi progressivamente. Nella presente esposizione io desidererei dare a chi legge l'impressione che ogni sistematica permane in movimento, e che nulla esiste di assolutamente definitivo, anche se gli ordinamenti sistematici sono in gran parte indispensabili alla precisione dei concetti.
Immersi in una più vasta corrente, i presenti ordinamenti non sarebbero annullati, come non lo furono i precedenti, ma, piuttosto, sarebbero modificati e disposti altrimenti. In tanto in quanto sussiste in loro una forza ordinatrice e definitoria, noi li conserviamo, anche se vecchissimi la maggior parte. Ma bisogna aver ben chiaro che le forme delle possibili visioni del mondo che qui presentiamo come principali, considerando le altre come gradazioni o passaggi fra esse, non sogliono essere forme principali in ogni circostanza, e che anzi, da un diverso punto di vista, potrebbero forse apparire a loro volta come combinazioni.
Sorge ora il problema, quali siano i punti di vista sistematici possibili in una psicologia delle visioni del mondo. Sappiamo che la base di ogni ordinamento è la distinzione e la divisione. Considerando le visioni del mondo possiamo distinguere zone o regni o sfere o regioni contigue, oppure stadi o gradi di svolgimento, oppure possibilità ordinate gerarchicamente, che oscillano fra i due significati di ordinamento evolutivo e di ordinamento di valori («stadi» o «piani» o «livelli» o «dimensioni») e nelle quali l'uomo si ritrova all'incirca. In tutti questi valori non bisogna mai dimenticare la portata figurativa e spaziale e la conseguente inevitabile loro inadeguatezza, per cui restano sempre dei residui irrisolti.
Sorge quindi il problema, che cosa è che viene ordinato in isfere, gradi, piani, ecc. La formula generale sarebbe che debba trovare ivi una sistemazione la molteplicità dei rapporti fra soggetto e oggetto. Soggetto e oggetto non sono per nulla due punti stabili e definitivi, anzi sono infiniti e impenetrabili nel loro fondo. «L'anima ha territori così profondi, diceva Eraclito, che è impossibile conoscerne compiutamente i confini»; e da Kant in su è pacifico che non vi è mondo oggettivo concreto che ci ponga davanti, come oggetto, la cosa in sé. Ogni mondo può solo concepirsi come prospettiva vista dal soggetto (Teichmüller, Nietzsche), soggetto e oggetto sono quasi l'ombra l'uno dell'altro, e determinati e condizionati l'uno dall'altro. Nella scissione di soggetto e oggetto si può porre - è vero - un elemento assoluto, la realtà spazio-temporale, il senso o il valore, il mondo o l'anima, ecc., ma ciascuna di tali assolutizzazioni trova i suoi avversari in assolutizzazioni opposte e in esse si dissolve. Solo nell'esperienza mistica l'uomo crede di toccare l'assoluto e non ha avversari di fronte, in quanto non afferma alcunché di oggettivo, non si pone di contro la cosa in sé, ma l'ha presente nella indivisa unità di soggetto e oggetto.
Il concetto della molteplicità dei rapporti fra soggetto e oggetto e quello dei molteplici e fluttuanti significati che soggetto e oggetto rivestono sono i concetti fondamentali della nostra ricerca e del nostro ordinamento sistematico. Spieghiamoci più particolareggiatamente.
La totalità dei fatti psichici vien significata con termini quali «corso delle esperienze», «mondo delle esperienze», «vita immediata», «esperienze originarie», ecc. Quel corso abbraccia l'insieme dei fatti psichici nella loro semplice apparenza, ed è la grandezza indeterminatissima di cui, a parlarne, non si sanno che dati generici. Codesto mondo delle esperienze è, nella sua immediatezza, quanto mai concreto, anche se a indicarlo con una tale denominazione è quanto mai vuoto e astratto, Tutto è immanente in esso. Da esso la psicologia ricava, adoperando i punti di vista più disparati, l'elemento determinato, dà ad esso un'architettura, e vi aggiunge l'extraconscio. Il corso delle esperienze genera progressivamente immagini, fenomeni espressivi, contenuti, creazioni. E si muta esso stesso attraverso tali creazioni.
Nel corso delle esperienze è compreso il fenomeno originario, la opposizione del soggetto agli oggetti. La nostra vita trascorre in codesta scissione di soggetto e oggetto. Da essa e solo da essa trae origine la molteplicità che noi scorgiamo. Ma non tutto il vivere si svolge entro la scissione suddetta. Dove non ci fronteggia più nessun oggetto, e manca quindi ogni contenuto, di modo che esprimersi è impossibile, e dove si continua tuttavia a sentire, è il caso di parlare di esperienza mistica nel senso più lato. L'esperienza della scissione di soggetto e oggetto da un canto e l’esperienza mistica dall’altro costituiscono l'oggetto dell'osservazione psicologica, che qui soltanto toccherà i suoi limiti e le sue possibilità ultime.
Ma nel corso dell'osservazione psicologica noi stessi siamo dei soggetti e il nostro oggetto è il rapporto soggetto-oggetto nel suo insieme E anche l'osservazione psicologica, come ogni osservazione (che è un rapporto soggetto-oggetto di una specie particolare), diventa il nostro oggetto, se aspirando ai limiti ultimi da noi raggiungibili noi desideriamo comprendere le visioni del mondo. Ogni volta che pensiamo od enunciamo formule e giudizi, ciò che si è detto su un dato punto di vista vale per quel punto di vista. Non vi è concetto o principio di questo libro di psicologia che possa esser considerato assoluto, nemmeno i nostri concetti supremi e più ardui: il mondo delle esperienze, la scissione di soggetto e oggetto, l'idea, lo spirito, la vita, la sostanza, l'autenticità. IL nostro desiderio sarebbe di uscire dalla nostra soggettività e, balzando oltre noi stessi, trovare quasi un punto archimedèo al difuori di ogni rapporto di soggetto e oggetto, così da farci un oggetto della totalità di questo rapporto. è evidente che, in assoluto, ciò non è possibile, e perciò non è possibile in generale, ma noi possiamo trovare a ciò un compenso dando la più grande mobilità al nostro punto di vista soggettivo. L'insieme di questi punti di vista soggettivi, che si correggono, si limitano, si relativizzano a vicenda di continuo, e dei quali nessuno costituisce la nostra base, ci procurerà il surrogato del punto archimedèo, al quale, rinchiusi sempre per nostra natura in un rapporto soggetto-oggetto di specie particolare, noi non possiamo arrivare dalla nostra prigione. Inevitabile cornice di ogni produzione intellettuale è però una schiera di concetti incontrollati e, dai punti di vista a nostra disposizione, incontrollabili. Con tali concetti ha inizio il lavoro filosofico vero e proprio, che non esiste in questo senso nel nostro libro.
Per quanto nello sperimentare le possibilità di innumerevoli visioni del mondo noi cambiamo il nostro punto di vista, stiamo tuttavia su un terreno relativamente solido se, osservando, formuliamo le nostre esperienze e le realtà per noi evidenti. è sempre assai facile scambiare le nostre osservazioni con la nostra persona di osservatori, e la nostra esperienza di noi stessi col nostro puro e semplice esaminare. Quando ad esempio parliamo del fenomeno mistico, esso è per noi in tanto reale in quanto vi è qualcuno che ne fa esperienza; tale esperienza implica fra l'altro l'assenza della scissione di soggetto e oggetto. Ma mentre colui che vive l'esperienza mistica può arrivare a conquistarsi da solo una formula metafisica e ad affermare decisamente una realtà soprasensibile in cui egli, uscendo da se stesso, ha esistito, noi, dal nostro canto, prendiamo in considerazione soltanto il fatto che egli vive così: vale a dire che per noi il fenomeno mistico, quale esperienza in cui si dissolve la scissione di soggetto e oggetto, è ancora l'esperienza dì un soggetto. Riconoscendo la realtà di quell'esperienza noi non ci pronunciamo su una realtà metafisica. Poiché, rinchiusi come siamo in quella scissione di soggetto e oggetto che è la nostra osservazione, noi non saremmo in grado di vedere a un tempo il fatto metafisico - come un assoluto e come un oggetto che ci fronteggia. Pervertiremmo la psicologia, la quale non ha altra cura, se non conoscere ciò che l'uomo vive e sente e ciò che in genere può essere oggetto; e guasteremmo la autenticità della nostra propria vita, nella quale il fattore metafisico non può esistere sul piano di una cosiffatta osservazione psicologica, di un cosiffatto rapporto con gli altri uomini; bensì solo in quanto viviamo noi stessi, siamo noi stessi dei mistici, e stiamo noi stessi al di fuori di ogni osservazione. Se dunque prendiamo a nostro oggetto il fenomeno mistico, dato che esso esiste appunto solo quale «oggetto», noi non potremmo vederlo che come una realtà soggettiva, come una esperienza di vita, che psicologicamente noi guardiamo come l'esperienza di un soggetto, il quale soggetto però esiste solo per noi, e non per sé stesso nell'atto della sua esperienza. Oppure potremmo prendere ad oggetto il comportamento di un soggetto come il metafisico, quando questi ripensa metafisicamente esperienze mistiche di altri, e coltiva «esperienze»; e qui potremmo descrivere una forma che, secondo la denominazione da noi datale, è inautentica. Non accade mai che noi siamo lo stesso con l'oggetto che consideriamo. Cosa che sembra ovvia, ma che in istudi di questa specie si dimentica assai facilmente. Un altro fraintendimento della formula sopra enunciata, che oggetto del nostro esame sia la molteplicità dei rapporti fra soggetto e oggetto, sarebbe pensare che noi ci interessiamo degli oggetti in quanto tali. E invero di un gran numero di oggetti qui si parla e si accenna, ma tutti ci interessano non per altre ragioni che per il loro rapporto col soggetto. Nell'oggetto noi vediamo la sua qualità di essere oggetto per il soggetto, laddove ogni altra specie di esami e di considerazioni vertono semplicemente sull'oggetto. Così conquistiamo alla osservazione psicologica un oggetto a lei proprio, che in un'ultima analisi potrebbe poi essere concepito nuovamente in rapporto col soggetto in una psicologia dello psicologo. Noi ci domandiamo se stiamo o no osservando gli oggetti in relazione al soggetto, e non già qual è la ragione e la verità degli oggetti che esistono per un soggetto. Ci interessa soltanto ciò che è psicologicamente reale, ciò che è evidente per l'intelletto, ciò che ha principi proprii: anche se si tratti di un'immagine del mondo mitica, dell'illusione di un demente, dell'utopia di un visionario.
Dopo questa digressione sarà bene tornare alla questione dell'ordinamento sistematico. La molteplicità dei rapporti fra soggetto e oggetto è terribilmente vasta. Basterà enumerare alcune coppie di vocaboli che designano detti rapporti per accorgersene immediatamente: anima-mondo, io-oggetto concreto, esperienza-contenuto, personalità-cosa, individuo psicofisico-ambiente spaziale. L'antitesi soggetto-oggetto ha così grande peso nella caratterizzazione delle possibili posizioni, che noi l'adopereremo come punto di vista principale e come veicolo di un procedimento sistematico. Lanciamo per ora uno sguardo generale a quella molteplicità così ricca di significati.
1 - Nel mondo spazio-temporale noi opponiamo i soggetti agli oggetti come gli individui psicofisici al mondo circostante pensato meccanicisticamente. Ci fronteggia ivi un'oggettività che non è necessario sia sperimentata e vissuta, che esiste soltanto per l’osservatore, e seguita ad esistere nel soggetto anche senza che questo ne sia cosciente. Codesta antitesi non ha alcuna parte nel nostro comprendere, salvo ad accentuare (in virtù del suo contrasto) la qualità dei rimanenti rapporti fra soggetto e oggetto, i quali costituiscono l'oggetto della psicologia comprensiva. Se si distinguono esperienza e contenuto, io e oggetto concreto, la separazione può ben essere indicata nel vivere e nello sperimentare di fatto in un'anatomia fenomenologica, ma non è necessario che chi esperimenta e vive quell'oggettività antistante ne prenda coscienza e sappia di lei. Questi vive e sente tutti i possibili oggetti come suoi oggetti, con una immediatezza e una ingenuità irriflessa; senza por mente alla molteplicità delle sfere oggettive e delle sue esperienze soggettive. L'attenzione per quella molteplicità nasce soltanto nella riflessione, quando l'uomo esiste per se stesso, e vede se stesso quale forma, quale un sé o quale una molteplicità di forme del sé. Nascono allora i modi dell'esistere per sé dell'uomo, gli schemi dell'ego. Quest'ultimo prende posizione, come soggetto, verso il suo essere soggetto, e così si rende cosciente in maniera nuova di ciò che sono gli oggetti. Tutto viene ora spogliato della sua immediatezza e ingenuità, e ora finalmente sorge la grande molteplicità dci rapporti fra soggetto e oggetto. Finché il vivere e lo sperimentare sono immediati, l'osservatore può soltanto caratterizzarli per mezzo di concetti, che colui che vive non conosce, e fissare il punto di vista del, soggetto, senza dir niente che faccia parte del sapere del soggetto stesso. Ciò che io nel mio comprendere dico di una posizione caratterizzandola, non è detto che sia conosciuto consapevolmente da chi sta in quella posizione. Quando però il vivere stesso è riflesso, allora anche la caratterizzazione esprime ciò che chi vive sa e intende. E nella resa descrittiva tanto il senso a cui l'osservatore ha dato una formulazione, quanto quello inteso dall'osservatore medesimo, si fondono di frequente. Una severa separazione viene fatta solo là dove essa è particolarmente importante. Tuttavia sono sempre da tenersi separati il punto di vista del soggetto osservante e quello del soggetto osservato. In quanto osserviamo il soggetto seguiamo anche in lui i più grandi spostamenti del punto di vista, ma come osservatori ci teniamo a quel ristretto cerchio di punti di vista i quali permettono all'osservazione di dare una forma razionale alle cose.
2 - Se poniamo di contro, da un lato la totalità dell'oggettivo, e dall'altro il soggetto in generale, l'individuo singolo, concreto, vivrà fra questi due mondi senza riempirne nessuno, ritagliando, diciamo così, frammenti da ciascuno dei due. Noi supponiamo che tutto sia insito in potenza in un uomo, anche se in grado minimo. Il giudizio negativo, che asserisce una mancanza assoluta, non è mai dimostrabile. Ciò che l'individuo vien producendo nel suo sviluppo è condizionato dalle circostanze, dall'epoca, dal gioco delle influenze e dei destini, e va riguardato come un ritaglio, che a noi vien fatto di intendere solo in quanto creiamo, procedendo nel lavoro di ordinamento, una totalità in cui inserirlo. è evidente che a noi non è dato esaurire nessuna individualità, né, con la nostra osservazione, comprenderne compiutamente nessuna. Ma occorre al tempo stesso ricordare che ogni individualità risulta limitata allato all'idea dell'uomo totale e del cosmo delle visioni del mondo, la quale idea ci è di guida nel lavoro di ordinamento che facciamo in questo libro.
3 - Il rapporto soggetto-oggetto, in tanto in quanto esiste in generale, è vissuto in ogni istante come un chiaro e semplice vis-à-vis. Ma dal soggettivo all'oggettivo c'è per così dire un tragitto lungo. Se io vivo ed esperimento la mia immagine del mondo nel mondo immediato, nel cosmo limitato, nell'infinitudine, tale designazione si riferisce ogni volta, per così dire, a una tappa sul cammino che conduce all'oggetto. E se io vivo e agisco secondo gli impulsi del momento, o secondo un'autodisciplina che intende a uno scopo, o nell'idea di una totalità, sono questi, per così dire, tre stadi del cammino che conduce al soggetto.
Così potremmo immaginare figurativamente una linea infinita, che dal soggetto porta all'oggetto, nella quale ogni singolo e determinato rapporto fra soggetto e oggetto sia per così dire fissato su un punto determinato. Come se il rapporto fra soggetto e oggetto, così saldo di per se stesso, possa, in quanto tutto, far dei salti in qua e in là, di modo che ambedue le posizioni si dislocano. Ogni forma di esperienza psichica contiene, nebuloso, un punto di vista. Tocca all'osservatore di determinare col suo limpido intendimento quale sia in ogni singolo caso l'ubicazione, dalla quale si esperimenta, si vede e si agisce, del soggetto e dell'oggetto. Occorre rispondere alla domanda, quale posizione, e rispetto a quale oggetto, pigli il soggetto.
Fermandoci a queste immagini spaziali, potremmo pensare che il cammino per giungere all'oggetto o al soggetto si prolunghi all'infinito. Non si può mai assegnare un termine all'osservazione. Oltre quell'ultimo punto fermo, sarebbe per esempio possibile pensare di continuare lo svolgimento di un pensiero metafisico per via di similitudini: come nella speculazione matematica tutte le grandezze infinite che tendono a separarsi possono ritrovarsi unite nel circolo, così la distanza la più grande del rapporto fra soggetto e oggetto potrebbe annullarsi nell'unità di soggetto e oggetto, la quale starebbe, come esperienza (e come tale essa diventa nuovamente nostro soggetto), al principio e alla fine del processo spirituale. Ma siffatta similitudine è in parte troppo grossolana, in parte storta: tra soggetto e oggetto non c'è una linea, ma un infinito reticolato.
4 - Non una, ma innumerevoli linee intercorrono per così dire dal soggetto all'oggetto (e potremmo ad esempio rappresentarcele come un gran fascio che si sparpaglia in più direzioni, e si riunisce in più punti nell'infinitudine del soggetto e dell'oggetto, o anche come una serie di parallele). Osservando ciò apprendiamo che esiste una molteplicità di mondi oggettivi, e che è possibile indagare le forme di tali mondi oggettivi, svincolate dall'oggetto come tale. Esistono forme oggettive razionali, forme oggettive estetiche, e così via. Come se il cammino che mena dal soggetto all'oggetto si svolga attraverso una serie di reticolati di specie disparata, i quali sono, in quanto tali, fuori del tempo e dello spazio, né soggetto né oggetto, bensì dei creatori di sfere, degli «a priori». Solo là dove esiste la scissione di soggetto e oggetto, possono darsi codeste forme, mentre per tutto ciò che in quella scissione non si trova non si danno per definizione. Da Kant in su le indagini di queste forme oggettive si denominano indagini trascendentali: possono darsi indagini trascendentali del razionale, dell'estetico e così via, ma non, per via d'esempio, del mistico, di cui si danno solo una indagine psicologica o una indagine metafisica (naturalmente può anche darsi una indagine trascendentale delle forme razionali, in cui siano attivi dei giudizi psicologici e metafisici). Ogni forma trascendentale è come tale un vuoto e nudo reticolato, che condiziona tutto ciò che è oggettivo, e non è né psichica né fisica né soggettiva né oggettiva. Ma a seconda che il soggetto guardi attraverso questo o quel reticolato, a seconda egli scorge specie particolari di oggetti e fa, dal punto di vista psicologico, una esperienza specifica. Ogni reticolato è applicabile, privo di limiti qual è, a qualsiasi cosa, e ogni volta gli oggetti ci si dimostrano oggettivi in un modo diverso e particolare. Il corso delle esperienze, in tanto in quanto reca scissioni di soggetto e oggetto, riceve forma da esse, e dipende dai reticolati rigidi e immutabili, che svolgono opera di cristallizzazione, di quelle forme atemporali, increate, imperiture, che hanno validità e vigore in quanto soltanto esse condizionano i loro oggetti come oggetti. Dovunque un soggetto abbia di fronte alcunché di oggettivo, sia nell'allucinazione di chi delira sia nell'illusione e negli infinitesimi brandelli di coscienza dell'alienato, ivi si danno quelle forme. Esse sono l'inerte, non vivo di per sé; sono l'indispensabile, l’elemento che non bisogna mai perdere, nemmeno con la coscienza.
Esse sono il luogo in cui si articola l’esistenza psichica della scissione di soggetto e oggetto, come è il luogo in cui si articola e di cui ha bisogno imprescindibile ogni vita organica l'acqua, che pure per quella vita è indifferente, ed è in se stessa priva di forza. Conducono l'indagine su tali forme la logica e le scienze analoghe.
Ai fini della conoscenza dello spirito umano tale ricerca non è gran che interessante, come non è interessante ai fini della conoscenza della vita un'indagine sull'acqua e le sue proprietà. O forse quelle forme sono da paragonare alla morfologia generale contrapposta alla morfologia empirica, fisiologica. Ma come per la biologia è necessario conoscere le proprietà dell'acqua così per la psicologia occorre conoscere le indagini trascendentali.
5 - I soggetti e gli oggetti e, fra loro, sole a rendere possibile questo rapporto, le forme trascendentali: ecco uno schema che si presta ad accogliere dei contenuti infinitamente molteplici, uno schema in cui il mondo e la sua totalità dovrebbe di necessità rientrare. Tale schema ha alcunché di rigido, di mortuario. Ma perché il movimento vi irrompa, basta domandare com'è che, in questo determinato caso, fra soggetto e oggetto si danno appunto questi e non altri rapporti (per es. quelli estetici), com'è che questi e quelli rientrano nello stesso gruppo (per esempio estetico-artistico e intellettuale-formale) e respingono invece da sé un altro gruppo (per esempio l'entusiastico). Con la nostra risposta noi scavalchiamo tutte le relazioni fra soggetto e oggetto, e drizziamo lo sguardo a ciò che si è soliti chiamare le forze, i principi, le idee, lo spirito. Queste forze sono in quanto tali inconoscibili, perché infinite e non determinabili in forma esauriente in concetti, ma l'omogeneità e la colleganza delle formazioni oggettive all'interno della scissione di soggetto e oggetto vuol essere intanto intesa descritta e tipeggiata in quanto è espressione e manifestazione di tali forze.
Tutto ciò che noi denominiamo forza, principio, idea, spirito, non possiamo dire se risieda solo nel soggetto o solo nell'oggetto. L'idea in senso kantiano è «l'idea in germe» quale forza psicologica, è la meta, posta nell'infinito, a cui si perviene lottando attraverso lo schema dei compiti. Noi parliamo dello spirito di un tipo soggettivo non meno che di quello di una formazione, di un istituto, di un'opera o di un dato oggettivo in generale. Le parole «idea», «spirito», «forza», «principio» sono usate in questo libro in senso soggettivizzante.
Nell'osservazione psicologica queste forze ci appaiono ancorate al soggetto. Noi le vediamo manifestarsi nei movimenti che hanno luogo all'interno della scissione di soggetto e oggetto, nel corso delle esperienze, il quale comprende nel suo giro quella scissione, e nelle esperienze mistiche, vale a dire le esperienze senza scissione di soggetto e oggetto. Noi vediamo come nuove esperienze mistiche sgorghino nel fiume della coscienza dopo che questa si è espressa nella molteplicità della scissione di soggetto e oggetto, e come dalla scissione, poggiando su di essa, nascano nuove forze approfonditrici. Avviene quasi, per esprimerci per mezzo di schemi, un movimento circolare. Da quelle forze scaturiscono specifiche scissioni di soggetto e oggetto, e queste svegliano alla loro volta nuove forze. Quale fenomeno della coscienza si produce spesso, fra le une e le altre, l'esperienza mistica, che a sua volta conduce spesso, se non sempre, alle scissioni di soggetto e oggetto. Generalizzando questo processo psicologico fino a renderlo un processo metafisico, si ha lo schema hegeliano: il rapporto fra il soggetto in generale e il mondo degli oggetti è lo spirito che diviene, il quale spirito è in un primo momento in sé, in un secondo momento si cangia ed è per sé (nasce la scissione di soggetto e oggetto), e infine in un terzo momento ritorna ad essere in sé. Al principio si ha una immediatezza indivisa; senza scissioni, segue poi attraverso la scissione la mediazione, e infine la immediatezza mediata.
La verità e la validità assoluta delle forme trascendentali sono insieme atemporalità e al pari della conoscenza matematica sono relativamente indifferenti per l'esistenza.
Ogni esistenza consiste di un contenuto, è concreta, e così sono concrete e consistono di un contenuto tutte le visioni del mondo che vi corrispondono. Queste non possono mai essere perciò «vere» e «assolute» come le forme atemporali ma, in ogni configurazione dell'esistenza, saranno l’espressione «vera» della vita sostanziale per quel caso determinato, espressione ch'è continuamente superabile e che nella disposizione al limite viene continuamente sperimentata come superabile a dispetto di ogni incondizionatezza. L'uomo è nel tempo e non fuori del tempo, e con la totalità dell'assoluto e dell'esistenza è semplicemente in relazione, ma non è né quella totalità né quell'assoluto. Egli non può ricevere dall'esterno una visione del mondo vera in ogni luogo e in ogni tempo, ma può soltanto esperimentarla nella sua vita in virtù delle idee e dello spirito, nel momento stesso in cui la realizza. Tutto ciò che diventa estrinseco, diventa anche ben presto, col passare del tempo, relativo. I fattori supremi sono le forze e le idee, che a noi tocca e vien fatto di intendere nella loro direzione, ma non già di abbracciare con le nostre facoltà comprensive[3]. Quanto sappiamo e diciamo di esse è perciò esteriore. Esse stesse potrebbero, quali fattori supremi, essere designate come l'assoluto (magari soltanto entro l'ambito dell'osservazione); esse sono la vita stessa, che non può mai a nessun patto diventare estrinseca; esteriore, obiettiva, anche se urge sempre in quella direzione.
Il nostro ultimo punto di vista mostrava il rapporto soggetto-oggetto in movimento. A determinare gli aspetti particolari che il processo di una visione del mondo accoglie in codesto movimento, si ottengono varii stadi di serie di sviluppo. Una serie di sviluppo è il più auspicabile fra gli ordinamenti sistematici, poiché sembra insegnare un'intima e reale connessione. Per questa ragione noi andiamo cercando dovunque tali serie, e facilmente cediamo alla tentazione di scambiare astratte serie concettuali per le serie di sviluppo concrete. La ricerca empirica accerta dapprima una semplice successione, e quindi si domanda fin dove sia possibile trovarvi leggi intime e intelligibili che la governano: e ciò fa sia a proposito degli aspetti storici in cui si atteggia il succedersi delle epoche, vale a dire degli stili, delle forme stereotipe, sia a proposito delle posizioni dell'individuo singolo nella successione temporale.
Tutto ciò che è stato costruito in forma di serie di sviluppo evidenti e necessarie non coincide quasi mai completamente colla realtà, rispetto alla quale quelle norme generali sono schemi puri. Ma una parziale coincidenza ha luogo, segno che quelle costruzioni evidenti non sono del tutto astratte. Comunque, si cade subito in errore, se si scambia per legge viva dello sviluppo umano in generale uno schema di sviluppo. Esistono parecchi schemi, e ognuno ci insegna qualche cosa, ma nessuno, e nemmeno tutti quanti insieme, esauriscono la realtà, che è senza fondo. I filosofi che hanno tentato di comprendere il tutto mercè l'erezione di stadi di sviluppo, sogliono lasciare oscillante il loro significato fra i due poli opposti di un'evidenza aprioristica, una validità atemporale di nessi concettuali puramente ordinatori e di una successione concreta. Tale varietà di significati ha ad esempio il processo dello spirito in Hegel.
Nel nostro saggio noi abbiamo a che fare soltanto coi nessi evidenti, i quali pretendono, per ogni caso empirico particolare, non soltanto di essere validi, bensì anche di essere fecondi quali schemi regolatori, e perciò abbisognano di indagini realistiche in ogni singolo caso concreto. Le serie evidenti che noi istituiamo sono di triplice specie:
1) Processi molteplici di creazione e di distruzione mediante le forze spirituali (v. la 3a parte di questo libro), per esempio i processi nichilistici, il processo demoniaco, ecc. Di essi non conviene qui parlare più diffusamente.
2) Forme generali del processo di trasformazione di una visione del mondo da un centro sostanziale nell'inautentico, nella formalizzazione: a esse dedichiamo un capitolo a parte.
3) Ordinamento dialettico dei concetti. Su di esso facciamo qui una osservazione preliminare. L'indice di questo libro presenta a prima vista parecchie tripartizioni. Queste posano su un ordinamento dialettico che utilizziamo in vari modi, ma a cui non concediamo di regnare unico e solo, poiché esso è per lo meno un elemento prevaricatore, e può occultare la straordinaria molteplicità dei punti di vista e degli ordinamenti singoli. Esaminando le forme di una visione del mondo, prima dal punto di vista del soggetto, poi da quello dell'oggetto, e infine con l'intento di pervenire a ciò che si cela dietro quella scissione, si ha subito una tripartizione secondo lo schema seguente: una coppia antitetica (1a e 2a parte) e l'idea della sintesi (3a parte). Questi rapporti delle tre parti non sono già serie di sviluppo, nel senso che uno sviluppo si inizi con la prima parte, la tesi, e cessi con la sintesi. Si tratta piuttosto di un aggirarsi intorno a un tutto, di modo che l'occhio scorga dapprima le apparenze antitetiche e poi colga il tutto stesso. Si potrebbe dire altrettanto bene che in principio era il tutto, e che da esso si è poi sviluppata l'antitesi delle due prime parti. Si tratta di un puro ordinamento di concetti, sorto su una perspicuità che ne costituisce il nucleo, di modo che l’ordinamento non è del tutto estrinseco, pur non dicendo niente, dapprima, che tocchi da vicino i processi reali. Si tratta della scomposizione di un tutto, di cui noi parliamo in tempi successivi, atteso che non è possibile parlare di più cose in un medesimo tempo. La terza parte è di volta in volta il centro, il tutto, e insieme l'inconcepibile, dal quale sono derivate le forme precedenti, in cui esso si scinde e si concreta. Dall'entusiastico derivano le forme concrete dell'attivo e del contemplativo, e così via. Da una visione filosofica del mondo derivano le singole circoscritte immagini del mondo. Il punto d'appoggio nell'infinito è la causa originaria sia dell'appoggiarsi in involucri circoscritti sia dei movimenti nichilistici. Il tangibile sta sempre nella prima e nella seconda parte, sedi della concreta e visibile molteplicità: la terza parte è l'oscuro. Nelle forme della prima e della seconda parte, che sono limitate, noi viviamo e troviamo punti di aggancio e mete per le volizioni: quelle della terza non sono afferrabili e conquistabili direttamente, ma vivono ed estrinsecano sempre e immediatamente la loro vita, se hanno esistenza concreta, nelle forme precedenti, animandole e riempiendole.
L'ordinamento dialettico è il più mobile di tutti, poiché ordina soltanto concetti. Assolutizzando i puri ordinamenti e tralasciando affatto gli oggetti dell'osservazione, esso non assolutizza nessun particolare processo dello spirito, delle forze e delle posizioni in cui si esprimono le visioni del mondo. Esso non sopraffà le cose con uno schema di sviluppo, bensì consente il dominio da parte delle idee ed è in grado di abbracciare, nel caso particolare, molti, anzi tutti i punti di vista, nel sistema più mobile. Come pura sistematica dei concetti di vita e di esistenza concreta esso non è una sistematica della vita e della esistenza concreta medesime (che sarebbe impossibile, e condurrebbe nel vicolo cieco d'una prevaricazione razionalistica, che estrania gli uomini dall'esistenza), ma permette di considerare il fenomeno della vita da molteplici punti di vista sistematici. è un sistema del sistematico, un sistema che può continuamente mutar forma e dissolversi. Si può soltanto evitar l'errore di credere che l'ordinamento dialettico sia più di quel che è, non si può far coincidere l'ordinamento dialettico e i nessi reali delle cose, anche se essi si toccano in singoli punti.
I QUATTRO PROCESSI DI TRASFORMAZIONE
DELLE VARIE VISIONI DEL MONDO
Se intraprendiamo l'indagine delle possibilità, insite nell'esistenza umana, di maturare visioni del mondo, il nostro sguardo percorre osservando una strada che di volta in volta ci rivela parecchie forme, in tal modo che intorno a un nucleo centrale evidente si raggruppano altre possibilità affini a quel centro, ma impoverite. Denominiamo visione del mondo «sostanziale» il centro del momento: intorno a quella sostanza si stratificano le «forme degenerate». Dei concetti basilari, è forse questo quello più facilmente accessibile, in ogni caso quello che più si presta a essere frainteso dell'intero nostro saggio. Non è da svilupparsi in un metodo chiaro, apprendibile e razionale, bensì è solamente un segnale della direzione da dare alla nostra osservazione. Non è una semplice nozione da applicare in ogni caso particolare, bensì è uno stimolo a una nuova opera di visione. Esso rimane sempre in qualche modo oscuro ed ambiguo. Perciò è possibile designarlo soltanto come direzione, e non come formula determinata in concetti chiari. Noi vorremmo mettere in chiaro che:
La sostanza, detta anche spesso «l'essenziale», non è un concetto, sibbene un'idea. La sostanza non si dimostra, né la sua presenza si asserisce e si nega con una prova reattiva univoca. Essa non è mai assolutamente presente, né mai assolutamente negabile. Essa è per il momento un «concetto limite», oltre il quale è forse, in una zona ancora più profonda, per cui si richiede una visione ulteriore, il sostanziale. Volendo caratterizzare il sostanziale, bisogna dire ch'esso è l'unitario in contrapposizione allo sparpagliato e ai molteplice; il tutto di contro a ciò che si è scisso in antitesi; l'infinito o ciò che con tutti i suoi versi si riferisce a se stesso, in contrapposizione all'indefinito, al caotico; il pieno di contro al vuoto o alla parte; il perspicuo e il concreto per eccellenza in contrapposizione al formale e all'astratto; il profondo in contrapposizione al superficiale; l'operante, ciò che modella e che forma, in contrapposizione al momentaneo, all'instabile, all'effimero; l'elemento ultimo, che esiste di per sé, in contrapposizione al derivato, che esiste per un altro. Tutte codeste denominazioni lasciano il significato del sostanziale oscillante fra un'essenzialità metafisica; un puro accento di valore, e una perspicuità plastica. Solo in quanto si riesca a limitare l'applicazione dell'idea di sostanza all'essenziale, al meramente perspicuo, e che va posto in tutta evidenza davanti agli occhi, può riuscire il tentativo di considerare dal punto di vista psicologico le visioni del mondo.
I nostri giudizi diventerebbero metafisici se noi ritenessimo di conoscere la sostanza in se stessa, la sostanza unica, assoluta. Ma in sede di psicologia noi parliamo di sostanza sempre in senso relativo: diciamo sostanziale in paragone a ciò ch'è meno sostanziale. Tutte le forme sostanziali che uno può addurre non sono la sostanza in se stessa ma ciò che, relativamente, è più sostanziale, per la pienezza della sua evidenza, della sua forza, della sua virtù di operare nel tempo, della sua sintesi dei contrarii. Il fatto stesso che ci sia dato descrivere, non già la sostanza in se stessa, bensì parecchie forme sostanziali, indica che possediamo da un lato la «sostanza» quale idea di un nucleo centrale, pregnante, di un tutto, e dall'altro la adoperiamo quale schema per i limiti di volta in volta raggiunti dalla nostra visione, e dalle formulazioni in cui essa si esprime.
Il sostanziale viene detto anche lo spirito o la «vita»: questa stessa è a sua volta un fatto inconcepibile. Da una profondità insolcabile essa si frange per così dire in forme molteplici, che noi denominiamo sostanziali, le quali alla loro volta non sono afferrabili direttamente e possono solo essere rinchiuse nel giro di formule speciali paradossali. Anche di questa specie di «essenziale», che ancora è così lontana dall'essenza metafisica, noi parliamo per via di parafrasi. La nostra comprensione intellettuale diventa tanto più chiara, logica, afferrabile, molteplice quanto più dal sostanziale si distende nelle derivazioni. Ci si può costringere a radunare e a catalogare (fatica smisurata) soltanto codeste derivazioni, e ciò che ha raggiunto una molteplicità e una chiarezza compiutamente razionale. Ma in un tale modo di procedere mancherebbe qualsiasi intimo ordinamento e, ch'è più grave, mancherebbe il senso che soltanto l'idea conferisce al conoscere. Facciamo un paragone: potremmo pensare una fisiologia che consideri l’organismo come una pura e semplice macchina; essa metterebbe in rilievo una stragrande quantità di materia, e le singole connessioni meccaniche e chimiche. Potremmo anche pensare, però, una fisiologia che veda tutta questa materia subordinata all'idea della viva unità della funzione, e in ultima analisi dell'unità dell'organismo vivente. Solo una tale fisiologia può portare una totalità e un ordine in questa disciplina, anche se prescinde dalle nozioni di singoli particolari (salvando però quegli elementi che contengono la forza delle idee, necessarie alla scoperta del nuovo). Due sono pertanto le specie di osservazione psicologica nella psicologia comprensiva: da un lato l'accozzamento puro e semplice di singoli fenomeni intelligibili, e dall'altro la comprensione del molteplice sotto il segno delle idee di una totalità. Solo del particolare è possibile parlare, e solo nel particolare (o anche nel salto all'idea di una totalità affatto nuova) è possibile il progresso. Il tutto esiste concretamente per noi soltanto nella pienezza del particolare. Solo il particolare è suscettibile di conoscenza in senso rigorosamente scientifico. L'idea del tutto costituisce nondimeno la forza della ricerca scientifica, e sviluppa le possibilità di un intimo ordinamento. Le formule che parafrasano il tutto sono in fondo sempre espressione di uno stupirsi, o di un domandare, e non mai di una conoscenza definitiva. Il tutto non lo si conosce mai, ma, appunto, lo si parafrasa. Da quanto abbiamo detto appare possibile insistere nella direzione verso il tutto, senza perciò voler conoscere direttamente il tutto stesso nella sua essenza metafisica; occorre dunque che l'espressione «sostanziale» rimanga affatto relativa e sciolta da ogni considerazione metafisica, anche se essa sarà sempre la più immediata tentazione per una fantasticheria metafisica.
Un'altra ragione di ambiguità stava nella possibile coincidenza del concetto di sostanza con un puro giudizio di valore. Si può obiettare che introducendo un ordinamento basantesi su centri sostanziali e forme derivate, la valutazione si insinua sotto altro nome, e che l'intera esposizione, la quale si presentava in veste così obiettiva, bandisce valutazioni affatto semplicistiche. L'esistenza di questo pericolo non va negata. è facile scambiare una perspicuità con una valutazione evidente, per quanto l'evidenza di questa sia tutt'altra cosa che un'evidente perspicuità. Ma sostanzialità e valutazione sono intanto interdipendenti, in quanto chi valuta, involontariamente valuta di più di ciò ch'è più sostanziale. Fra l'atto del comprendere, che ci propone un fatto perspicuo, e l'atto del valutare il legame è indissolubile, poiché nel momento stesso che intendiamo reagiamo anche, immancabilmente, con valutazioni. Queste possono essere a volte affatto antitetiche, e ciò ch'è evidente e intelligibile per l'uno e per l'altro può essere valutato positivamente dall'uno, negativamente dall'altro. Ma della sostanzialità si perviene sempre a dare un giudizio di valore positivo, in tanto in quanto si riconosca che di essa si tratta. è inevitabile che la chiara visione generantesi nella psicologia comprensiva agisca sull'animo di chi comprende influendo sulle sue valutazioni. è facile reagire con accenti di valore che la esposizione psicologica in quanto tale non profferisce; ciò di cui si scorge l'esistenza psicologica e che si esperimenta in se stessi riceve uno sviluppo più o meno grande secondo che lo si affermi consapevolmente o consapevolmente lo si neghi; in una esposizione, la comprensione ch'è anche un partecipare alla vita incita sì per un verso a giudizi di valore positivi, ma, per un altro, seduce ad esperienze di vita affatto illusorie. L'esposizione psicologica può allora avere, senza volerlo, effetti analoghi a quelli di un insegnamento profetico. La psicologia influisce indirettamente sul partito che un uomo prende, sulla sua autoeducazione: come mezzo, non come forza; come specchio, e non come modello o guida. Anche a tener conto di tutto ciò, e a non scambiare la reazione e il suo valore con la esposizione e il suo giudizio di valore, nel concetto di forme sostanziali contrapposte a forme derivate resta però se non altro il pericolo che lo psicologo si serva della psicologia per fermare e bandire giudizi di valore personali. Anche se nel suo lavoro psicologico lo psicologo fa tutti gli sforzi possibili per considerare ogni caso in senso universale e per eliminare gli istinti personali carichi di una visione del mondo embrionale e le valutazioni scaturenti in lui dalle condizioni esistenziali e dalla costituzione spirituale, sì da vedere l'uomo in generale da quell'ideale punto archimedeo, i suoi non sono altro che sforzi. E quand'anche abbia riconosciuto e obiettivato gli innumerevoli istinti che, veicoli di una visione del mondo, sorgevano in lui, l'esperienza psicologica gli insegna per altro che istinti ulteriori, che egli ancora non ha conosciuto, esercitano in qualche luogo, impercepiti, il loro influsso. La psicologia è un infinito processo d'oggettivazione, che non può pretendere d'essere compiuto.
C'è tuttavia un rimedio e un indice che questo processo, pur con l'uso del concetto di sostanza, conduce a una visione pura e libera da valutazioni.
Innanzi tutto non si presenta qui una sostanza. Le molte forme sostanziali potrebbero anzi essere erroneamente scambiate per scompartimenti, per possibilità fra le quali l'uomo può «scegliere» e alle quali «appartiene». Valutazioni disparatissime dovrebbero concorrere e fondersi, per denominare «sostanziale» schiera così numerosa. L'intera nostra esposizione aspira, in genere, essenzialmente a una visione della molteplicità delle forme sostanziali - che sono i limiti della nostra visione - e solo talvolta vi aggiunge una rapida descrizione delle forme degenerate. Di queste basterà conoscere i processi che a esse conducono, sì da non perdersi nel loro numero indefinito.
In secondo luogo, è impossibile assegnare un termine (nel nostro caso la sostanza) ai processi: è vero che (per via di esempio) l'autenticità, l'assoluta pienezza, la perfetta differenziazione restano pure idee. I processi sono per noi vie, di cui non è possibile raggiungere la fine né in un senso né nell'altro.
In un esame del materiale che presentiamo potremmo trovare un correttivo nel fatto che l'istituzione di una forma sostanziale e insieme delle degenerate rende a sua volta relativa un'altra sostanzialità, e a volte permette finanche di scorgere, come sullo sfondo, l'oscura espressione di una valutazione sotterranea. Ma ogni esposizione psicologica troverà anzitutto il suo migliore e inevitabile correttivo nell'oggettivare la posizione e la valutazione che, veicoli di una visione del mondo, si celano inavvertiti in lei: fino a fare delle stesse un oggetto di osservazione psicologica. Ad onta di tutti i correttivi, le considerazioni logiche avranno una parte molto più modesta delle rappresentazioni perspicue, che costituiscono l'inevitabile presupposto di ogni formulazione logica, se questa non vuole essere vuota e campata in aria.
Le forme degenerate, che si aggruppano intorno al centro sostanziale del momento, prendono rispettivamente essere da quattro processi, che occorre caratterizzare:
1) Il centro è autentico, e intorno a lui è una teoria di forme inautentiche.
2) Il centro è concreto, in quanto unità di contenuto e forma, ed è vivo. A lui si affiancano le forme vuote di contenuto, le forme morte: è questo il processo di formalizzazione.
3) Il centro è un elemento sostanziale, che si conserva sempre un poco uguale a se stesso dall'embrione fino alle forme più differenziate. La nostra esposizione si occupa delle forme più chiare e distinte, più differenziate, ma esistono anche forme più indistinte e indifferenziate, forme miste.
4) Il centro non ha pretese, né bramosia di dominio, e non è subordinato. è ciò che è, con molti rapporti e riferimenti potenziali, con un punto potenziale in totalità sempre più vaste e comprensive. Ogni centro acquista una particolare forma, se, sovrapotenziandosi, si assolutizza in un tutto e al tempo stesso si isola. Questi quattro processi vogliono essere ora definiti con più precisione.
1 - Autenticità e inautenticità
L'autenticità è un concetto basilare della psicologia comprensiva. è legata ai concetti di realtà e verità, ma non coincide con essi. Anche l'inautentico è reale nell'anima, solo che, forse, per via della sua stessa inautenticità manca di effetti duraturi e si dissolve rapidamente. Vale a dire possiede una realtà più meschina, quella che appare nel momento. L'inautentico non è una menzogna, né un inganno consapevole, anzi inganna esso stesso chi lo vive e lo sperimenta di persona, così come inganna il prossimo. Non è privo di realtà, ma di efficacia reale, non è una menzogna, ma una mendacità. L'autentico è ciò ch'è più profondo in contrapposizione a ciò ch'è più superficiale; per esempio ciò che tocca il fondo di ogni esistenza psichica di contro a ciò che ne sfiora l'epidermide, ciò che dura di contro a ciò ch'è momentaneo, ciò ch'è cresciuto e si è sviluppato con la persona stessa di contro a ciò che la persona ha accattato o imitato.
L'autenticità esiste sia per l'uomo che prende posizione di fronte a se stesso sia per l'osservatore. Nel prendere posizione di fronte a se stessi agisce una volontà di autenticità. Esperimentando la possibilità di un'universale commedia l'istinto si aguzza. Proprio l'apprendere che l'inautentico acquista tanta realtà da apparire a chi lo vive come la sua propria e verace essenza, aguzza la vista per i brevi istanti di transizione, per quei primi momenti in cui l'uomo mente a se stesso anche un poco coscientemente, i momenti in cui, prima che l'inautentico abbia preso corpo, egli può osservare il cammino che la sua volontà, più o meno consapevolmente, fa in quella direzione. Di contro a un pensiero che si spaccia sempre come autentico e puro, anche quando è sollecitato da scopi eterogenei, sta una volontà di onestà, che nell'autoformazione e nell'autodisciplina batte una strada lontana dall'inautentico. Ma non bisogna dimenticare che la volontà d'autenticità non esclude né una volontà di finzione consapevole, come avviene ad esempio nella forma dell'arte, né una volontà di mascherarsi nei confronti del mondo esterno, se i limiti entro i quali l'individuo si muove restano consci.
Ma proprio la più seria e profonda disposizione all'autentico in opposizione all'inautentico può svelare il fatto, veramente mostruoso e sconcertante, che l'autentico non è mai concepibile, e l'inautentico sembra cooperare dovunque in senso relativizzante. Poiché l'autentico non esiste concretamente, ma è un'idea, una direzione. E viceversa l'inautentico non è così assolutamente e semplicemente inautentico, né può negarsi completamente. Così la problematica, se la si oggettiva nella riflessione invece di risolverla di volta in volta nei vivi atti, diventa infinita.
Infinita è del pari in ogni caso concreto la problematica dell'osservatore. Il nostro compito sarà perciò limitato alla descrizione e alla costruzione dei tipi. In un secondo tempo ci prefiggeremo di descrivere ciò che ha una relativa autenticità (vale a dire tutto ciò che non può essere inteso come derivazione inautentica da qualche cos'altro) come la forma di volta in volta centrale; e ciò senza che debba diventare decisivo lo stesso problema dell'autenticità; che solo nella casistica è infinito. Denominiamo all'ingrosso forme autentiche le forme che abbiamo descritto, tenendo bene a mente di avere data una definizione relativa e non un giudizio assolutizzante.
Torna opportuna qui ancora qualche considerazione generale intorno all'autenticità dei contenuti delle visioni del mondo. Noi intendiamo per visione del mondo tanto l'esistenza effettiva dell'anima considerata nella sua totalità, quanto anche le dottrine modellate razionalmente, gli imperativi e le immagini obiettive che il soggetto esprime, applica, usa a sua giustificazione. è un fatto di cui raramente nella vita si considera la portata, che i pensieri possano svincolarsi dalla viva esperienza, che si possa pensare, dire, scrivere qualche cosa senza possedere nella propria esistenza le esperienze, i sentimenti, le visioni corrispondenti, anzi avendo per forze motivatrici esperienze affatto diverse. I contenuti dei puri pensieri e i vocaboli sono un materiale che non ha un diretto e letterale significato psicologico. Le medesime forze spirituali possono esprimersi e operare in contenuti di gran lunga diversi, e i contenuti che considerati razionalmente appaiono simili, possono stare in connessioni psicologiche affatto diverse. L'antitesi suprema è questa: il singolo è immerso nei contenuti di una visione del mondo (siano questi immagini del mondo, imperativi, o dottrine di vita) senz'altro scopo che quei contenuti, i quali trovano una risonanza adeguata nella sua esistenza, a tal punto che egli li considera l’essenziale, il genuino, e comunque l'incondizionato; oppure questi contenuti sono per lui - senza che egli ne sia cosciente - nient'altro che dei puntelli, delle ideologie che egli si è appropriato per altri scopi: mediante la sua visione del mondo egli si inganna su se stesso. Nella realtà gli uomini oscillano fra questi due poli estremi. Essi possono bene essere devoti a una dottrina, possono essere sognatori ed entusiasti, ma anche in ciò trovano un limite, per esempio in certe condizioni materiali e sociali di esistenza. In quanto quelle dottrine sono giovevoli a queste condizioni, può aver luogo l’entusiasmo per esse, ma non appena le condizioni di esistenza si trasformano le dottrine vengono ben presto «superate» e rimpiazzate con altre. Si può dire che nella realtà quasi tutte le dottrine sostanziali, quando diventano patrimonio comune, hanno tali limiti, e che non per questo gli uomini sono degli ipocriti. Nelle loro visioni del mondo essi sono inautentici, in tanto in quanto non le vivono e non le sperimentano sufficientemente nell'intimo e non le affermano con dedizione totale, a paragone di quei rari uomini che esistono quasi nello spirito stesso. Ma non è possibile definire inautentiche tutte le dottrine atteggiate a visioni del mondo e affibbiar loro in questo senso il nome di ideologie. Il nostro compito psicologico, attualmente, è appunto di prescindere il più possibile dal fenomeno di massa dell'inautentico; per portare le forme relativamente autentiche delle visioni del mondo a quel punto in cui possano essere vedute e formulate psicologicamente. Forme autentiche sono quelle dalle quali tutte le forme inautentiche hanno tolto in prestito il contenuto spirituale. A chi veda le forme autentiche, basterà conoscere i meccanismi generali del processo che porta all’inautentico per dominare con lo sguardo la molteplicità dell'esistenza umana reale. Fra i processi che dovrebbero essere esposti in una categorologia della psicologia comprensiva e in una caratterologia è ad esempio quello in cui la dottrina è adoperata al fine di giustificarsi davanti a se stessi e dinanzi agli altri. I principi servono all'apologia postuma di cosa che ha tratto origine da altre fonti. Codesta apologia si esplica, negli oppressi, nelle dottrine del rancore, le quali, rovesciando la valutazione, trasformano il debole e il cattivo nel più forte e più buono; e in coloro che dominano prende corpo nelle dottrine legittimistiche della razza, della storia; del valore, che hanno lo scopo di far riconoscere dagli altri e di far sentire a loro stessi la giustezza della loro potenza e del loro dominio. Cause ultime di tali connessioni è un certo istinto di potenza che può anche impossessarsi di tutti i contenuti di una visione del mondo in modo molto diverso per conquistare ora con l'ésprit ora con la profondità una superiorità dialettica al soggetto, per il quale tutti i contenuti spirituali sono per così dire un arsenale di armi per darsi importanza. O infine l'abitudine, l'imitazione, la sottomissione all'autorità sono altrettanti modi di assumere il contenuto di una visione del mondo senza che questo abbia le sue fonti nell'esistenza del singolo e trovi quivi forze specifiche, pertinenti. Nell'osservazione psicologica, che sta sotto il segno dell'idea di autenticità, persona e cosa sono dunque indivisibili. Il parlare della «cosa», asserendo che essa sola conta, il rifiuto d'occuparsi d'altro che del prodotto materiale, l'esigenza di non occuparsi per niente della persona, hanno naturalmente le loro buone ragioni: ma non fanno al nostro caso. Più la cosa è un fatto particolare, senza legami con lo spirito e una totalità (come un trovato tecnico o una scoperta chimica) e più parlerà da sola. Più, viceversa, è lo spirito che decide in quanto tutto, e più è importante per la comprensione stessa dello spirituale l'esistenza personale del creatore. Perciò l'osservazione psicologica farà bene a diffidare continuamente, e a vedere dietro la cosa la persona che vi si può nascondere: essa si chiederà che cosa voglia la persona con quella cosa, e quale parte abbia quella cosa nell'esistenza della persona. Specie in un filosofo si troverà ch'è stata involontariamente decisiva - contrariamente a quanto avviene in un chimico - l'esistenza della personalità. Questa personalità, che raramente le opere mettono in luce, metterà spesso essa stessa in luce le opere; e a tal segno, che queste saranno sconfessate come reazioni valutative. Il concepimento dello spirituale è sempre più o meno «personale». Questo «processo di personalizzazione» sarà definito astratto se fra il fattore personale e la cosa non esiste nessun rapporto, ma non se vi è una correlazione comprensibile. Poiché lo spirituale, in quanto espressione di una visione del mondo, non è mai puramente oggettivo nemmeno come contenuto, ma è anche, inevitabilmente, soggettivo e soggetto al problema dell'autenticità. Ogni visione del mondo autentica, scaturita dall'essenza stessa dell'uomo, e che all'uomo che la professa fu spesso portata, come sua congiunta spirituale, dalla tradizione esterna, ha un tratto caratteristico: che dura ostinatamente attraverso tutta la vita. Essa è ineliminabile (tutt'altrimenti dalla visione del mondo «utile», che a seconda delle circostanze sviluppa una straordinaria energia momentanea, ma non dura, né persiste). Inoltre le visioni del mondo autentiche affondano le loro radici nella vita complessiva di un individuo invece di aderire a lui superficialmente dall'esterno.
Queste osservazioni valgono anche per tutti coloro che nella storia o nel momento attuale si presentano come filosofi. «I veri metafisici hanno vissuto ciò che scrivevano». Ogni grande filosofia è, come dice Nietzsche, l'autoconoscenza del suo fondatore. Anche Fichte pensava lo stesso: la filosofia che uno si sceglie mostra che uomo egli è. A una filosofia come questa si contrappone il pensiero ch'è nato attraverso dei puri meccanismi intellettuali, pensiero condizionato da riguardi di ogni sorta e da influenze casuali, il quale porta sì a un sapere vasto e ben formato, ma è privo dì un contenuto caratteristico, ed è perciò relativamente inautentico come forza spirituale.
2 - La formalizzazione
In ogni esistenza psichica e spirituale, e sia nell'oggetto che nel soggetto, sono da distinguere forma e materia. L'unità che si costituisce al di sopra di loro, e che le abbraccia e le muove entrambe con la sua forza è l'idea. Nel soggetto funzione e movimento potrebbero assolutizzarsi in quanto tali e non fare alcun caso dell'elemento contenutistico, materiale dell'esperienza vissuta; a ciò corrisponde l'atteggiamento che nell'oggetto non vede nulla d'importante fuorché l'elemento formale. L'opposizione di forma e materia, e la loro reciproca guerra, provocano la perdita dell'idea, che le avrebbe elevate entrambe a un'unità sostanziale. Ne sono esempi l'artefatto nell'arte, e, su un piano parallelo, la razionalità formale nel conoscere. In luogo di una espansione di vita che assimila e organizza, può sottentrare una volontà di potenza formale, in luogo dell'amore per la cosa e l'individuo concreto, il vuoto e generico amore per l'umanità, e in luogo del pensiero vivo e vissuto il puro pensiero razionale logico-formale col suo meccanicismo. All'esterno tutto sembra essere rimasto lo stesso, ma internamente l'anima è venuta meno. La formalizzazione può anche nascere se colui che ha fatto proprio il concetto che al di sopra della forma e della materia c'è l'idea che le supera, trascura sia la forma che la materia per rivolgersi direttamente all'idea, al tutto, dimenticando che questo è coglibile soltanto in un processo di movimento, e non direttamente né totalmente. Nasce allora l'eloquenza grossolana, l'animo patetico cui si dà il nome di sentimentalismo e che si diffonde nell'arte, nell'amore, nella politica a tendenza moralizzante. L'idea è colta soltanto in un affetto esteriore, che accompagna e armonizza, ed è spogliata delle sue fondamentali proprietà, quali l'antinomismo, il problematismo, la viva vita, la responsabilità, la fecondità. Ma basta con gli esempi. Alla indefinitezza della funzione (della forma) si contrappone dovunque la concreta infinità dell'idea (del contenuto sostanziale) e alla irrequietezza vuota e senza mete precise nell'una si contrappone la plenitudine e la consapevolezza della direzione e del senso nell'altra.
3 - La differenziazione
Una psicologia delle visioni del mondo è possibile soltanto nelle epoche in cui è sviluppato il senso dell'individuo. In epoche di costrizione, allorché un'unica visione del mondo si impone a tutti come naturale ed ovvia, può darsi soltanto una psicologia sociologica delle visioni del mondo. In quella sfera espressiva che è la visione del mondo di un intero gruppo sociale il carattere e l'esperienza di vita del singolo ci restano invisibili. Tutt'al più potremo indagare le influenze caratterologiche e psicologiche della visione del mondo autoritaria. Solo col nascere della libertà individuale la visione del mondo diventa anche espressione caratterologica del singolo. Allora soltanto nasce l'antitesi di «servo» e «libero», di «eteronomo» e «autonomo», di «autoritario» e «individuale», poiché allora soltanto si schiudono l'una e l'altra possibilità. Nascono allora il tipo di disperazione che cerca un punto d'appoggio in una schiavitù assunta volontariamente, o l'assenza di pensiero, che vive ostentatamente di pura forza vitale. Retrospettivamente, una psicologia delle visioni del mondo sarà possibile per tutte le epoche di cultura intimamente umana. Ma le epoche più adatte saranno le epoche cosiddette illuministiche, le epoche che hanno da poco conquistato il senso dell'individuo. Il mondo greco dopo Pericle, Roma, la fine del medioevo, il mondo moderno dal 1700 all'incirca.
Il concetto di differenziazione è un altro problema generale della psicologia comprensiva. Esso ha significati molteplici: lo sviluppo della riflessione puramente razionale; la scissione in antitesi di ciò che prima costituiva unità; l'aumentata conoscenza di se stessi e delle proprie esperienze: la formulazione in termini coscienti di ciò che si sapeva incoscientemente; l'ampliarsi del materiale sperimentale.
Spieghiamo un unico punto di vista. è un pensiero corrente che la natura sostanziale di una visione del mondo possa essere la stessa, ma che l'estensione del suo circolo espressivo e delle sue formulazioni possa essere più o meno vasta. Di modo che sarebbe possibile immaginare una scala che vada da una visione del mondo che semplicemente è fino a una visione del mondo attuata pienamente all'esterno in concetti e formule, azioni e costume di vita. Codesta scala differenziatrice apparirà però problematica, e non più che un primissimo schema da usarsi provvisoriamente, per chi si avveda che ogni riflettere su se stessi, ogni coscienza riflessa trasformano, per se stessi, la visione del mondo. Il mio modo d'essere non può restare lo stesso, se io sono così anche per me, se io so di essere così. Vivere, fare, essere qualcosa, possedere poi tutto ciò come contenuto e oggetto della mia coscienza, questi non sono puri gradi quantitativi. Attraverso di essi l'essere non soltanto si sviluppa, ma si muta qualitativamente; e poi le due cose sono ben lungi dal coincidere sempre nel fatto, e non coincidono quasi mai nell'apparenza. Nel momento stesso che io penso qualcosa in me e per me, io sono già mutato, sia che formuli una visione del mondo o un'opinione.
La coincidenza di essere e pensare è un'idea al cui lume tutta la vita psichica reale ha nell'espressione riflessa della visione del mondo alcunché di doppio e di ambiguo. Da essa scaturisce immediatamente la connessione già da noi caratterizzata di autenticità e inautenticità. Sul primo momento, quando si scorge tale connessione, e ci si fa un'idea assoluta e isolata dell'autenticità e dell'onestà, si prova, come già accadde a Nietzsche, un disgusto della frode insita nel mondo della vita psichica, poiché l'esperienza rivela in apparenza, necessariamente, una continua contraddizione fra ciò che io sono e faccio, e ciò che io penso. Così sarà possibile che gli uni, sfruttando la situazione, finiscano in una fraseologia spudorata, in una truffa vera e propria, e gli altri tendano invece all'autenticità per un impulso che non dà loro mai tregua, né li lascia quieti un momento, fino a che l'inquietudine dei rifacimenti continui, delle continue nuove formulazioni non paia cristallizzarsi a una certa età della vita o in certe condizioni sociali in una definita ma morta autenticità. In un saggio di psicologia delle visioni del mondo bisogna sempre tenersi alle forme più differenziate. Ciò che storicamente è ultimo sarà, per noi, primo. Le divisioni più limpide varranno a illuminare le formazioni miste, embrionali, che precedono nello sviluppo temporale. Ma poiché anche la differenziazione non è niente di definitivo e di assoluto, bensì soltanto direzione e movimento, anche in questo caso il nostro saggio non pretenderà di avere ricercato se non ciò che è relativamente differenziato.
4 - L'assolutizzazione che isola
Concependo com’è un tutto la visione del mondo dell'uomo, questo tutto esisterà, in quanto infinito, sempre e soltanto come vita e forza, come una gerarchia di idee attive, e non mai come qualcosa di perfettamente oggettivato, e di rinchiuso in una dottrina razionale. Ogni oggettivazione che si spacci per la vera, unica e integrale visione del mondo, dimostrerà per il fatto stesso d'essere diventata mente oggettiva che essa è soltanto una parte - e sarà quanto si voglia vasta e comprensiva - per il tutto. Spesso tale parte ha bisogno d'un particolare rilievo. "Quasi tutte quelle sfere particolari che sono gli atteggiamenti e le immagini del mondo conobbero una tale assolutizzazione, quando furono poste per l'assoluto e l'essenziale, da cui tutto il resto dipendeva. In noi c'è sempre una tendenza a prendere la parte per il tutto, e a scambiare ciò che vediamo per il tutto stesso. Ma l'assolutizzazione che isola, nell’attimo stesso in cui svincola il particolare dalla totalità, dà un particolare risalto alla autonomia e alle proprietà specifiche di detto particolare.
§ 4. LA DISPOSIZIONE
Il fenomeno originario della scissione di soggetto e oggetto fa sì che sia naturale ed ovvio considerare di seguito le visioni del mondo prima dal lato del soggetto, e poi da quello dell'oggetto. Le regioni più determinate, che in tal modo ci si offrono, delle visioni del mondo, noi le chiamiamo atteggiamenti (dal lato del soggetto) e immagini del mondo (dal lato dell'oggetto). Così possiamo parlare di atteggiamenti oggettivi, autoriflessi, attivi, contemplativi, razionali, estetici. E potremmo egualmente distinguere l'immagine del mondo spazio-sensoriale, quella psicologica, quella filosofico-metafisica.
Gli atteggiamenti sono disposizioni generali, suscettibili, almeno in parte, di ricerca aggettiva, come le forme « trascendentali» nel senso kantiano. Esse sono, per tornare al paragone precedente, le direzioni del soggetto, che si servono di un determinato reticolato di forme trascendentali.
Dagli atteggiamenti alle immagini del mondo è lo stesso salto che dal soggetto all'oggetto, dal comportamento soggettivo al coniare dall’esterno, dalle pure e semplici possibilità alla espansione effettiva in uno spazio oggettivo.
Quando, attendendo a caratterizzare le immagini del mondo, ci muoviamo nel campo dell'oggetto, non lo facciamo per amore dell'oggetto in sè, né per sentenziare sul vero, sul valore, sul giusto, bensì soltanto perché ciò ci porga un punto di vista dal quale rivolgerci a osservare il soggetto. è così che il soggetto, inconoscibile in sé, si muove per così dire in tutti i sensi nell'oggettivo, trovandolo, creandolo, plasmandolo. Mentre esso, pensa, facendo ciò, soltanto all'oggetto che in quel momento ha dinanzi, l'oggetto ci dà occasione di scorgere una nuova espressione per la soggettività. è un presupposto costante della psicologia, e specie della psicologia delle visioni del mondo, che la psiche percorra il cammino del mondo oggettivo, e che solo in quanto ciò avvenga noi possiamo fare della psicologia. Parlando delle immagini del mondo, noi non abbiamo altro intento che quello di caratterizzare, di dare rilievo a ciò che per noi ha i contrassegni distintivi dell'essenzialità. Anzi, se codesto punto di vista del significato soggettivo (come espressione del soggetto oppure come sigillo che impronta il soggetto) non guidasse la cernita, il nostro tentativo di descrivere le immagini del mondo finirebbe di per sé in un’accumulazione assurda degli innumerevoli dettagli dei contenuti del pensiero, del credere e del vedere umano. Gli elementi veramente caratteristici sono scelti dal nostro istinto, il quale tende ad abbracciare l’universale, e a trovare i contrasti e le proprietà specifiche. Un reticolato schematico che abbracci tutte le cose non è un pensiero assurdo, per quanto grandi possano essere le lacune a dargli un'attuazione.
Atteggiamenti e immagini del mondo sono elementi relativamente astratti, e soprattutto immobili e vorrei dire statici. Noi ce li chiariremo e ce li raffigureremo a uno a uno, al fine di ottenere una enumerazione in parte catalogica, in parte sistematica, ma relativamente immobile. Alla descrizione di ogni singolo elemento conviene collegare una visione del mondo di tipo specifico, perché un atteggiamento o un’immagine del mondo non saranno definite di per sé una visione del mondo, ma riguardate come elementi di una visione del mondo. Immaginandosi assolutizzati questi elementi nella vita di un individuo, si otterrà in pratica una puntuale caratterizzazione di parecchi tipi. Tuttavia non ci abbandonerà in questo capitolo il sentimento che il nostro discorso non verte ancora propriamente su ciò che denominiamo visione del mondo, per quanto ciò di cui esso tratta possa esserle pertinente.
In quel centro vero e proprio ch'è una visione del mondo noi entriamo allorché ci poniamo il problema della vita, dello spirito o delle forze che racchiudono in sé, abbracciandole, immagini del mondo e atteggiamenti. Bisogna, tali forze, non immaginarsele immediatamente, come tutti quegli elementi, ma piuttosto vederle quali processi di movimento, quali totalità sotto di cui si nasconde una forza motrice. Alcunché di simile abiamo in mente, quando parliamo di nichilismo, scetticismo, autoritarismo, libertà, romanticismo, antinomismo, demoniaco, rigorismo ecc. Ed ecco che siamo riusciti dalla statica degli elementi alla dinamica delle forze, dall'immobile al mobile, dall'isolato al tutto, dal fenomeno al nucleo fondamentale, dal momentaneo al personale e al totale.
Con l’elencazione degli elementi siamo ancora al sillabario, alle definizioni rudimentali. Coi tipi spirituali siamo alle prime letture. Ma in tutti e tre i capitoli ci muoviamo fra partizioni artificiose e facciamo le cose - a guardare dal singolo caso concreto - o troppo semplici o troppo complicate. Ci domanderemo istintivamente come tutto ciò stia insieme, in quale correlazione possa stare, e da che cosa dipenda. La risposta appropriata possono darla soltanto le ricerche casistiche, biografiche e storiche. Potrebbe procurarci una visione nitida di forma relativamente generale l'osservazione caratterologica o sociologica delle varie connessioni. Ma una visione del tutto limpida e una convalida di quelle forme psicologiche generali del pensiero potremmo ottenerle soltanto analizzando dal punto di vista di una visione del mondo le singole sfere concrete dello spirito: la sfera delle opere (scienza, arte, religione); la sfera personale; la sfera sociale.
Una compiuta psicologia delle visioni del mondo potrebbe dividersi in tre parti:
1 - La prima dovrebbe trattare dei fondamenti generali, delle posizioni e delle forze, dei limiti in generale, e sarebbe una psicologia generale delle visioni del mondo, la cui effettuazione nelle manifestazioni concrete spetterebbe alle altre due parti.
2 - La seconda parte dovrebbe perseguire le forme generali, le visioni del mondo, quali si manifestano nelle singole sfere della personalità, delle opere, della società. La sfera delle opere (per esempio la scienza, la metafisica, l'arte, la religione ecc.), quella della personalità (per esempio l’etica, il costume di vita, l'amore sessuale ecc.) e quella della società (per es. la politica), rivelano ciascuna le possibilità supreme delle forze proprie alle visioni del mondo. In ciascuna sfera dovrebbero trovare maggiore o minore applicazione le categorie della parte generale. Si dovrebbe ad esempio investigare quali possibili visioni del mondo si manifestino nella sfera politica (nell'azione e nel giudizio politico), in quali visioni del mondo rientrino le forze che spingono ad esercitare la scienza, e come la scienza si riveli caratteristicamente diversa guardandola dalle diverse visioni del mondo.
3 - L'esposizione si fa più concreta, e più vicina che mai alla realtà, ma anche più che mai indefinita nel suo addentrarsi nella molteplicità del mondo empirico, allorché servendoci delle due prime parti precedenti e, al confronto, generali, noi intraprendiamo lo studio delle visioni del mondo nei loro aspetti caratterologici e sociologici perseguendole nel materiale costituito dalle personalità singole, dai popoli, dalle epoche, dalle circostanze. Qui una esposizione sistematica non avrebbe alcun senso, e per di più sarebbe impossibile, data la quantità troppo grande. In questo campo sono possibili soltanto ricerche monografiche di sociologia e caratterologia. Si potrebbero ad esempio studiare le posizioni in cui si estrinsecavano le visioni del mondo di Strindberg e di Nietzsche o analizzare le visioni del mondo relative alla condizione e alla classe sociale, alla professione e infine ai gruppi storici individuali.
Oggetto della nostra esposizione sarà soltanto la prima parte, quella che studia l’essenza generale. Costituirà l’intelaiatura lo schema degli atteggiamenti, delle immagini del mondo e dei tipi spirituali. L’insieme resta relativamente lontano dalla realtà, a paragone della possibile seconda e terza parte. Costruisce e tipizza. Ma vuole essere preso appunto come insieme. è un tentativo di ordinamento, e non uno svisceramento degli innumerevoli dettagli. La vita psichica può comprenderla immediatamente ogni uomo che abbia il talento e la sensibilità psicologica necessari. Il nostro saggio scientifico non si propone di dire altro se non ciò che quell’uomo dotato, comprensivo, sa istintivamente e immediatamente, pur senza essere capace di saperlo e di proferirlo distintamente per sé. Esso vuole, con la mediazione delle partizioni, che a guardar bene vengono riannullate nella applicazione concreta, procurare una visione consapevole della vita psichica nel suo aspetto di visione del mondo. Così di questo saggio potremmo dire che è un insieme di partizioni che in conclusione non devono mai essere definitive. Un tale ordinamento ha un senso solo in quanto tutto e non in ogni singola sua parte; e appunto perciò è così scomodo per la comunicazione non poter esprimere in una sola volta, contemporaneamente, il tutto intero. è fastidioso, e noi lo eviteremo, gravare i singoli stadii delle nostre caratterizzazioni di un'impacciante zavorra di riserve, di cui tante sono anche troppo ovvie. L'astrazione, che dissolve di volta in volta la cosa perché vuole vedere puramente e unilateralmente, è il cammino obbligato dell’osservazione razionale, la quale è perciò in certo senso fuori del vero in ogni momento, se la si prende isolatamente. Opererà in senso restrittivo, del tutto naturalmente, la successione degli elementi e dei tipi.
Una volta in possesso di un elemento singolo, per esempio l'atteggiamento razionale, sì può subito arrivare ai problemi sparsi nello insieme dell'ordinamento. Alla domanda, quali visioni del mondo siano possibili e quali caratteri abbiano i tipi singoli, la descrizione singola non dà in generale una risposta esauriente. Solo il tutto nelle sue correlazioni può darne una. Ma bisogna pur principiare da qualche parte. E in principio il ricercatore sembrerà più che mai fuori del vero e ingombro di presupposti, e darà più che mai l'impressione del sopruso.
Possiamo dunque stabilire il significato dell'insieme: facciamo partizioni per arrivare con la mediazione e le partizioni a vedere chiaramente e distintamente l'insieme. Ogni partizione, ogni determinazione di concetti, ogni costruzione di tipi non è «la» giusta: è giusta relativamente e in riferimento a codesto insieme. I termini che designano le visioni del mondo e i loro elementi hanno nell’uso linguistico una grande molteplicità di significati, e la nostra fatica consiste nel dar loro un significato univoco, più ristretto e più determinato, conforme ai nostri intendimenti, anche se procedendo diversamente il lavoro di ordinamento quel significato potrebbe affatto naturalmente cambiare. In tanto in quanto nella lingua esistono vocaboli di significato specifico, faremo bene ad attenerci ad essi, e in ogni caso ad evitare assolutamente ogni nuova eccezione.
Tale schema generale è uno strumento utile sia per la comprensione reciproca, quando si voglia venire in chiaro reciprocamente degli uomini e delle loro visioni del mondo, sia per l'«analisi» degli uomini da questo angolo. Ma proprio in tale applicazione il significato non risiede nell'elemento singolo per se stesso, bensì nell'intero schema, che va accettato come insieme. In ogni sfera psicologica sono possibili sezioni diverse. Esse sono innocue per la visione oggettiva, se gli schemi son presi per quelli che sono, e si neutralizzano a vicenda invece di irrigidirsi in una fissità mortuaria. Senza tali schemi non si dà alcun sapere, né alcun ordinamento del mondo intellettuale, ma senza la capacità di buttar via gli schemi e, conoscendoli e adoperandoli, di sovrastarli, non si dà alcuna cultura e alcuna viva visione.
La cosa più soddisfacente per la nostra esigenza sistematica è naturalmente una posizione sistematica fondamentale, che tutto coordina e diriga. Costituisce una unità di questa specie per il suo carattere genetico-dialettico così perfettamente realizzato la Fenomenologia di Hegel (in cui un processo unico abbraccia indistintamente uno sviluppo dialettico, genetico, differenziatore). A dispetto della nostra ammirazione, e per quanto sia impossibile, non dico contrapporre, ma paragonare qualche cosa a quest'opera, noi siamo insoddisfatti di tale unità sistematica. Essa è troppo manifestamente e troppo definitivamente un sopruso, poiché non c'è mai un momento cui il sopruso cessi. è più che psicologia, e d'altra parte è psicologicamente insufficiente. Noi avvertiamo che essa limita inostri orizzonti. Siamo costretti a uscire all'aperto nella vastità del psicologico, dove facciamo sì uso di troppe enumerazioni, di troppi cataloghi, ma possediamo anche, in cambio, degli spunti sistematici che non si assolutizzano. Noi utilizzeremo in parte, con gratitudine, i punti di vista e le descrizioni hegeliane, ma le spoglieremo inevitabilmente del loro slancio, della loro forma filosofica, poiché le assumiamo soltanto in senso psicologico.
L'aspirazione alla compiutezza, che ci guida in quanto osservatori scientifici, appare disperata. Non possiamo nemmeno, che sarebbe assurdo, desiderare la completezza della materia. Ma possiamo aspirare (se non pervenire) alla completezza dei punti di vista e dei principi. La materia sarà sempre senza fine, e ognuno ne conosce soltanto una piccolissima parte.
I quattro punti di vista dell’autenticità, della formalizzazione, della differenziazione e della assolutizzazione permettono di determinare la posizione delle visioni del mondo o, se non altro, di domandarne. Tale posizione non ha, per una psicologia delle visioni del mondo, la forma di un cerchio chiuso, né in generale è definitiva. Oltre ogni forma differenziata sono possibili altre differenziazioni, e oltre ogni autenticità resta da cercare un'autenticità più profonda, dalla cui specola tutte le precedenti hanno come un'aria di inautenticità; ogni cosa essenziale può assumere un aspetto di cosa più formale, e ogni visione del mondo può in un momento qualunque essere concepita come un'assolutizzazione che isola, anche se la sua formulazione fu il più possibile vasta e comprensiva. L'azione relativizzatrice dell'osservazione psicologica non conosce che limiti momentanei. Le serie possono ampliarsi. Una compiutezza e un’assolutezza non possono altro che simulare le disgiunzioni esaurienti dell’intelletto. Non bisogna perciò ampliare direttamente tali serie; ma retrocedendo alla sfera o alla forza nascosta in fondo alla polarità del momento si può fruire di una visione e uno sviluppo ulteriori. è inevitabile per noi cadere nell’illusione passeggera di aver raggiunto con ogni schema, con ogni ordinamento sistematico, una pienezza e una perfezione assoluta. Se l’illusione si solidifica, la nostra ricerca cessa. La vita che alimentava la nostra osservazione si estingue.
I tentativi che noi facciamo qui appresso di dare a tanta molteplicità di forme una caratterizzazione che le tipizzi, procedono con questo metodo: mettiamo al centro la visione intuitiva, la descriviamo, e infine ordiniamo razionalmente - per quanto ci riesce - ciò che abbiamo ottenuto mercé la descrizione. Il nostro libro non procede in genere per deduzioni logiche, bensì sviluppa la visione intuitiva cogli elementi conquistati mediante l'analisi; non offre al lettore un pensiero razionale puro, bensì una rappresentazione intuitiva.
[1] Vedi il mio discorso commemorativo su Max Weber, Tubinga, J. C. B. Mohr, 1921.
[2] «Si scrivono spesso cose che è possibile dimostrare solo con l'indurre il lettore a riflettere su se stesso » (Pascal).
[3] Umgreifen (n. d. t.).