PER UNA POLITICA DI SINISTRA
Le innovazioni, mancate, della politica
Si è detto da più parti che la pandemia, oltre alle conseguenze drammatiche che comporta, avrebbe portato ad innovare profondamente la politica in senso positivo, e cioè come rivalutazione del pubblico sul privato, come definizione di priorità diverse nella destinazione delle risorse, come maggiore attenzione alle tematiche ambientali.
Ebbene, non vi sono segnali concreti e significativi di svolte in tal senso. Tanto che il Governo attuale, nonostante che abbia grandi limiti, vivendo alla giornata e senza progetti per il futuro che colgano le esigenze di innovazione e di trasformazione (ma piuttosto quelle dei poteri forti per l'utilizzo dei finanziamenti che arriveranno dall'Europa al fine di contrastare le conseguenze del corona virus), non ha alternative, se non peggiorative.
Una proposta di buon senso come quella di una imposta straordinaria sui grandi patrimoni - per trovare le risorse necessarie in questo momento di emergenza - suscita reazioni scomposte e grida di allarme per il minacciato attentato ai ceti medi (ceti medi che si sarebbero arricchiti tutto ad un tratto, venendo, evidentemente e improvvisamente, in possesso di grandi patrimoni). Fa scandalo, infatti, il proposito di intervenire, con una tassazione progressiva che andrebbe dallo 0,2 al 2 %, su patrimoni superiori a 500.000 euro, con tasse cioè che riguarderebbero il 6% della popolazione italiana, quel 6% che detiene il 45% della ricchezza complessiva.
Un ragionamento serio andrebbe fatto sul perché si sia determinato un aumento della distanza fra chi ha molto e chi ha poco o niente, come attesta il rapporto del CENSIS, sulla crescita dei Paperoni miliardari da un lato e di quanti vivono in condizioni di povertà assoluta e relativa dall'altro, su come, quindi, ci si sia allontanati sempre di più da quelle misure volte ad eliminare gli ostacoli di ordine economico e sociale che di fatto limitano la libertà e l'eguaglianza dei cittadini/delle cittadine, misure prospettate dalla Costituzione. Ci si concentra, invece, sullo sbarrare il passo ad un accenno di patrimoniale.
L'ambiente, una priorità solo a parole
Sull'ambiente, una priorità assoluta secondo le dichiarazioni degli scienziati (per evitare che la vita sulla terra diventi impossibile entro i prossimi decenni), si continuano a fare enunciazioni, a livello centrale e periferico, senza cominciare ad operare concretamente, mettendo termine, finalmente, agli investimenti per grandi, e piccole, opere inutili e dannose (si pensi, tanto per esemplificare, al TAV in Val di Susa e, restando nell'area fiorentina, al sottoattraversamento TAV di Firenze ed all'ampliamento dell'aereoporto di Peretola, un aereoporto che, fra l'altro, non ha nemmeno le carte in regola per funzionare così com'è, progetti entrambi riproposti con forza dal Presidente regionale Giani). E si continua ad ignorare l'unica grande opera urgentemente necessaria, quella della messa in sicurezza del territorio, che significa interventi di manutenzione, cessazione delle cementificazioni e della distruzione degli ambienti naturali, sostegno all'agricoltura diffusa e non monotematica, rivitalizzazione delle numerose zone in via di abbandono (il che, fra l'altro, comporterebbe numerose possibilità occupazionali – sia di tecnici ed esperti che di operai ed agricoltori, italiani e migranti -). E' questa una tematica che le continue alluvioni, frane, smottamenti ci ripropongono costantemente, con costi alissimi per la collettività, senza però che si intervenga (se non a distruzioni avvenute).
Anche per quanto riguarda le priorità sanità ed istruzione non vi sono segnali significativi di cambiamenti di rotta, che dovrebbero comportare l'assunzione del personale necessario al fine di restituire piena centralità al sistema pubblico ed un forte aumento degli investimenti per strutture ed attrezzature adeguate.
Dove trovare le risorse
Le risorse ci sarebbero, provenienti dalla già citata tassa patrimoniale (che, assunta in questa fase straordinaria, dovrebbe poi divenire permanente) e dalla conversione ad usi civili di buona parte delle spese militari, come da sempre sostengono le associazioni ed i movimenti pacifisti, una conversione resa ancor più urgente dalla crisi pandemica. Invece si prospetta un aumento di tali spese, si conferma l'acquisto degli F/35 (un vero e proprio insulto per le centinaia di migliaia di famiglie che si trovano in situazioni di grande difficoltà), si continua con le missioni militari all'estero, spacciate per iniziative di pace.
La lobby militare e degli armamenti continua ad imporre il suo diktat: oltre alle ingenti spese militari, abbiamo infatti una produzione ed un commercio di armi - anche verso paesi in guerra (e questo sarebbe vietato dalla legislazione vigente) - che costituiscono un aspetto importante dell'assetto produttivo e commerciale del nostro Paese.
I sindacati di categoria non pongono il problema della riconversione e, per quanto riguarda l'ambiente, sostengono anche le opere inutili e dannose perché garantiscono occupazione.
Siamo ben lontani dai tempi in cui le organizzazioni sindacali, anche quelle settoriali, si facevano carico di questioni generali che intessavano l'insieme della popolazione.
La politica - ed in questa assunzione di responsabilità sulle questioni generali anche i sindacati facevano, e dovrebbero fare, politica – non guardava solo al presente, come avviene oggi – nei casi migliori con dei programmi -, ma aveva dei progetti di futuro, di una possibile società futura, con elementi anche utopici, comunque con una carica di idealità che dava più vigore e sostanza alle lotte per obiettivi immediati.
L'importanza dell'utopia e la necessità di progetti per il futuro
L'utopia, occorre riaffermarlo, non è un diversivo per sognatori, bensì, come sostiene lo scrittore uruguayano Eduardo Galeano, un orizzonte che stimola, quando si interviene sulla situazione contingente, a camminare con determinazione nella direzione giusta: man mano che si va avanti l'orizzonte rimane lontano, ma la sua percezione – il vederlo in lontananza - ci spinge a continuare il cammino con grande energia.
E' indubbio che le diverse iniziative che, nonostante tutto, si sviluppano su obiettivi parziali avrebbero bisogno di ricomporsi in progetti generali (per dare, fra l'altro, è utile ripeterlo, maggior forza alla stessa azione settoriale).
Un tempo erano i partiti che svolgevano un ruolo del genere (ed anche, in certi casi, i sindacati).
Oggi, nel silenzio assordante della politica partitica riguardo a prospettive progettuali di carattere generale e nella grande difficoltà sindacale ad uscire dall'ambito vertenziale di categoria, tale ricomposizione sembra quasi impossibile.
Per cui vengono ad esistere più Italie, non comunicanti fra loro, una, quella della politica istituzionale, volta a recepire un senso comune fatto di egoismo e di individualismo, un'altra composta dalle associazioni, dai comitati, dai movimenti che portano avanti, anche in modo conflittuale con le istituzioni – e, quasi sempre,con modalità autoreferenziali, e cioè senza collegamenti fra i vari interventi -, iniziative, attività, esperienze incentrate sulla solidarietà, sulla cooperazione, sul mutuo soccorso, per l'accoglienza, l'inclusione, la difesa dei diritti e dell'ambiente.
Manca, però, appunto, un progetto comune, per il presente e per il futuro.
La Società della Cura
Sono, quindi, da apprezzare e sostenere i tentativi di ricomporre i frammenti vitali di una situazione di grande disgregazione, non attenuata certo dal parziale mettersi insieme per rivendicazioni corporative.
Vanno mantenuti in piedi quelli esistenti nelle varie realtà locali, come “Firenze città aperta”, ed a livello regionale – vedi “Toscana a sinistra” -.
In ambito nazionale è di grande interesse il progetto della Società della Cura: non vuole essere un nuovo soggetto politico (l'ennesimo), ma si propone proprio, invece, di ricollegare fra loro gli interventi territoriali per la salute, per l'istruzione, per l'ambiente, per il lavoro.
Si basa sul proposito semplice – di quella semplicità facile a dirsi, ma difficile ad attuarsi - di sostituire all'idea del profitto da perseguire ad ogni costo, secondo la vulgata più diffusa, quella della cura - per le altre persone, per ciò che ci circonda, per il futuro di tutte/i noi, per una convivenza civile e pacifica, senza razzismo, sessismo, forme varie di intolleranza e discriminazione -, da assumere come linea-guida per i nostri comportamenti, per lo sviluppo di iniziative, vertenze, movimenti, per unificare quanto si muove nei territori (naturalmente in senso progressivo, partendo dal presupposto “restiamo umani” e avendo sempre ben presenti la giustizia sociale, le esigenze collettive, i beni comuni).
Il cammino, difficoltoso ed irto di ostacoli, per ricostruire una sinistra visibile ed efficace passa anche attraverso questi tentativi di ricomposizione unitaria di esperienze di vario tipo.
Un difficile processo di ricostruzione
Occorre poi che si appoggi, il processo di ricostruzione della sinistra, sulla realizzazione di spazi di incontro che mettano insieme mutuo soccorso (un ritorno alle origini), capacità di confronto e di elaborazione, convivialità, con il contemporaneo sviluppo di una tensione culturale volta a contrastare l'egemonia della destra sul piano della cultura e del senso comune – una egemonia in atto da tempo, alimentata dal “craxismo”, dal “berlusconismo”, dal “renzismo” -.
Si tratta di un lavoro di grande respiro e non certo riducibile alle faticose e provvisorie alleanze per le scadenze elettorali, un lavoro che tenga conto del sapere sociale maturato nei movimenti e che cerchi di diventare punto di riferimento per ciò che si muove nella società in senso progressivo (con l'obiettivo di creare una massa critica in grado di rivolgersi, essendo considerata attendibile, all'insieme della popolazione).
E' necessario tenere unite:
- le urgenze dell'oggi (la riaffermazione come prioritario del senso del collettivo, del pubblico, dei beni comuni, rispetto al prevalere, a partire dagli anni '80, dell'individualismo e del privato quali elementi portanti della società),
- le prospettive per un futuro vicino (per esempio, l'utilizzo dei finanziamenti che arriveranno per far fronte alle conseguenze della pandemia, su cui stanno già cercando di mettere le mani i poteri economici forti, mentre invece andrebbero destinati ad utilizzi sociali),
- le tematiche di fondo che caratterizzano la sinistra (l'eguaglianza e la giustizia sociale) e quelle che sono emerse in questi anni portate avanti dai movimenti ambientalista, pacifista, femminista,
- le ricerche, le riflessioni, le elaborazioni che oggi appaiono notevolmente utopiche, ma che è necessario cominciare ad affrontare perché poi possano svilupparsi appieno e tradursi in proposte concrete (vedi il percorso avviato da quanti – costituzionalisti, giuristi etc. - hanno cominciato a studiare una “Costituzione della Terra”).
I drammatici eventi attuali dimostrano ancora di più l'urgenza di cambiamenti profondi, quelli che da sempre sono centrali per la sinistra.
Ma si rischia che in effetti tutto prosegua come prima perchè mancano i soggetti in grado di sostenere, anche con il conflitto, tali cambiamenti.
La sinistra è venuta meno - risulta “desaparecida” - nel momento in cui maggiormente si dimostra necessaria la sua presenza.
Per questo vanno impegnate energie e risorse per la sua ricostruzione, che significa anche recupero per la politica di quel ruolo che le sarebbe proprio, di azione per la trasformazione dell'esistente. E tutto ciò costituisce un fatto di grande importanza per la stessa vita democratica (che si nutre della partecipazione attiva di cittadine/i oppure si riduce a sola apparenza).
Progetto, partecipazione, conflitto: sono ancora gli elementi essenziali su cui basare ogni tentativo di restituire senso e validità alla sinistra (e, più in generale, alla democrazia).
DALLA FRAMMENTAZIONE INDIVIDUALISTICA
ALLA SOCIETA' DELLA CURA
C'era una volta la politica
C'era una volta la politica, quella dimensione della vita sociale che permetteva di affrontare i problemi per uscirne tutti/e insieme (in contrapposizione all'egoismo individualistico della ricerca di soluzioni personali – vedi “Lettera a una professoressa” -), attraverso la dialettica, il confronto, il conflitto, se necessario, ed anche progetti di trasformazione della società in cui collocare le proposte e le rivendicazioni più immediate. E c'erano i partiti, che erano gli strumenti in grado di dare a ciascuno/a la possibilità di partecipare ad una elaborazione collettiva.
Non solo, anche altri corpi intermedi – associativi, sindacali, di movimento -, oltre a portare avanti attività e obiettivi specifici, intervenivano su questioni di rilievo, di carattere non settoriale, contribuendo ad allargare la cerchia delle persone coinvolte nella dimensione politica generale.
Certo, questo schema, che traduceva nella pratica quotidiana le indicazioni della Costituzione per una cittadinanza attiva,, aveva qualche falla: i coinvolgimenti in varie occasioni si trasformavano in clientele, la partecipazione all'attività dei partiti poteva diventare nominale e fittizia, si rischiava comunque che i poteri economicamete forti prendessero il sopravvento e condizionassero pesantemente le rappresentanze istituzionali.
Nonostante tutto, però, il sistema politico italiano costituiva un modello alto di democrazia, che non si riduceva all'elettorato attivo e passivo ogni 4 o 5 anni.
Cambia la rotta
Poi, progressivamente, a partire dagli anni '80 del secolo scorso, la rotta è cambiata:
- si è puntato sempre di più sulla rapidità delle decisioni piuttosto che sulla partecipazione (il “governismo” ha prevalso sulla democrazia partecipativa, il Parlamento ha finito per essere in secondo piano rispetto all'esecutivo, sono stati messi in un canto, o comunque depotenziati, gli organismi di partecipazione a cui si era dato avvio);
- è venuto meno il ruolo dei partiti, ridotti a macchine elettorali, ad aggregazioni di amministratori locali, e di loro supporter, a forme di adesione intorno ad una persona;
- i corpi intermedi – associativi, sindacali, di movimento – sono diventati più settoriali, autoreferenziali, in gran parte scarsamente interessati a questioni generali che andassero al di là di competenze ed obiettivi specifici.
Sintetizzando, l'individualismo ha prevalso sulla dimensione collettiva.
Sconfitte epocali del movimento operaio e popolare
Sono gli anni che seguono ad alcune sconfitte che segnano la fine di un periodo di parziali vittorie del movimento operaio e popolare: le sconfitte alla FIAT (con la cosiddetta marcia dei “quarantamila”, anche se i partecipanti erano meno della metà - che poneva fine allo sciopero dei lavoratori contro i licenziamenti -), dei controllori di volo negli Stati Uniti, dei minatori in Gran Bretagna.
Sono gli anni in cui l'affermazione dell'economia di mercato e l'arretramento delle prospettive di cambiamento sono totali.
Le lotte del '68 studentesco e del '69 operaio
Le lotte del '68 studentesco e del '69 operaio avevano portato negli anni '70 ad importanti risultati (sul piano dei diritti sociali – lo statuto dei lavoratori, la riforma sanitaria, basata sul concetto di diritto alla salute come diritto universalistico – e di quelli civili – il divorzio, la legge 194 sulla IVG [Interruzione Volontaria di Gravidanza], il diritto di famiglia -), nonché alla democratizzazione di apparati impegnati sul terreno dell'ordine pubblico– la nascita di Magistratura Democratica, la sindacalizzazione della polizia di Stato – e di categorie professionali ino allora chiuse in una dimensione corporativa quali i medici – pensiamo a Medicina Democratica e Psichiatria Democratica -.
Nonostante uno slogan molto diffuso nelle manifestazioni fosse “lo stato borghese si abbatte, non si cambia”, si erano prodotti, a livello statale e di società civile, cambiamenti straordinari
Ma i “trent'anni gloriosi”, come sono stati definiti quelli succedutisi alla seconda guerra mondiale, si stavano concludendo ed il periodo successivo avrebbe visto all'opera le forze della restaurazione (Reagan negli USA, la Thatcter in Gran Bretagna, un po' dopo Berlusconi in Italia, seguito a ruota da Renzi), comprese quelle di sinistra che si erano “modernizzate” ponendo al centro delle proprie politiche il mercato e l'impresa (Tony Blair ne è il prototipo).
Movimenti che continuano ad essere efficaci negli anni '80 e '90 – Eppure anche negli anni '80 e '90, fino all'inizio del nuovo secolo, i movimenti continuano ad essere efficaci, ad avere in certi momenti un seguito di massa, ad influire, in certi casi, sulle istituzioni.
Mi riferisco in particolare:
- a quello pacifista, che mobilita milioni di persone contro le guerre che, sotto nomi diversi che cercano di renderle accettabili – umanitarie, per i diritti, contro il terrorismo –, vengono periodicamente fatte scoppiare dagli Stati Uniti e dai loro alleati, fra cui l'Italia (mobilitazioni che però non riescono a fermare gli eventi bellici);
- a quello antirazzista, che reagisce con forza alle prime esplosioni di intolleranza di fronte all'arrivo di migranti sul territorio italiano
- a quello dei Social Forum, che ha uno dei suoi momenti più importanti nel Social Forum Europeo di Firenze del 2002 (conclusosi con la partecipazione di un milione di persone ad un'iniziativa contro la guerra).
Politiche di accoglienza e d'inclusione
Va sottolineato che per tutti gli anni '90, a partire dalla fine degli anni '80, gli enti locali, in varie zone del paese, si sono mostrati validi interlocutori del movimento antirazzista per impostare insieme politiche di accoglienza e d'inclusione, al di là anche delle posizioni dei partiti (tanto è vero che aveva assunto un ruolo in questo senso la Rete del Nuovo Municipio, che metteva insieme amministratori, associazionismo, energie intellettuali, e che in Toscana l'ANCI - Associazione Nazionale Comuni Italiani – aveva dato vita ad una Consulta Regionale per l'Immigrazione composta da sindaci ed esponenti delle realtà associative antirazziste e dei migranti).
Si tratta quindi di un arretramento, quello degli anni '80 e dell'individualismo diffuso, che incontra delle resistenze e durante il quale continuano ad esistere esperienze positive, si continua ad agire in nome della solidarietà, con qualche riflesso anche a livello istituzionale, è ancora influente una cultura che potremmo definire sinteticamente di sinistra.
Alla fine, però, come dicono gli economisti a proposito delle politiche monetarie, la “moneta cattiva” ha cacciato quella “buona”.
E l'arretramento si è trasformato in una ritirata disastrosa.
Risposte disarticolate e settoriali
Tutto questo percorso sta alle radici di quanto accade oggi, durante la pandemia. Le risposte che, comunque, vengono date ad una situazione, del tutto nuova e inaspettata, di grave crisi, che riguarda in primo luogo la salute, ma ha riflessi notevoli sulla società e sull'economia, risultano disarticolate e settoriali, essendo il frutto del processo di individualizzazione, di atomizzazione sociale, di azzeramento della politica come elemento centrale e condiviso della vita democratica, processo di cui ho cercato di dare un sintetico quadro in precedenza. Ed all'interno del quale si colloca la quasi scomparsa di una sinistra visibile ed efficace, a cui spetterrebe il compito di ricomporre in un progetto complessivo le diverse spinte, in direzione di un cambiamento nel segno del progresso, che provengono dal Paese.
Invece, stiamo assistendo in questi giorni a proteste e rivendicazioni di categorie e di settori, che spesso non tengono conto della crisi in atto e dei rischi che corriamo tutti/e o che, comunque non avvertono le esigenze di chi non fa parte di quel settore, di quella categoria.
I tentativi di ricomposizione, che pur ci sono, non sono riusciti finora ad acquistare la forza necessaria per essere realmente incisivi.
Si ha l'impressione che chi vorrebbe riproporre prospettive di trasformazione rimanga chiuso nelle piccole cerchie delle persone che gli sono vicine nell'impegno, senza entrare in contatto con l'insieme della popolazione, e che i propositi di far sì che dopo la pandemia non si ritorni alla situazione di prima, più volte enunciati, siano destinati a rimanere, appunto, delle pure enunciazioni.
Come se il processo di “sfarinamento” della società fosse giunto ad un punto di non ritorno.
La notte più lunga eterna non è – Di fronte ad una situazione che il pessimismo della ragione ci disegna come gravissima, non resta, ancora una volta, che affidarci all'ottimismo della volontà, con la convinzione che “la notte più lunga eterna non è” (Brecht lo affermava rispetto ad eventi tragici che sembravano negare ogni possibilità di recupero di una convivenza civile, pacifica, umana).
Per questo acquistano grande importanza proposte di ricomposizione delle energie positive in campo - per costruire insieme un progetto radicale di cambiamento - come risulta essere quella della Società della Cura, che si prefigge di mettere insieme, sul territorio, soggetti e persone che stanno operando con il fine di dare risposte concrete alla crisi attuale nell'ottica però di un futuro diverso.
Il Manifesto della Società della Cura
Il manifesto che costituisce la base da cui tale Società parte è frutto di un lavoro in progress e può quindi essere arricchito man mano che il processo di aggregazione dal basso va avanti.
La rivalutazione del pubblico rispetto alle privatizzazioni che hanno imperversato fino ad oggi, l'importanza di sistemi pubblici funzionanti, adeguatamente finanziati, per quanto riguarda sanità, istruzione, servizi, trasporti, la riproposizione con forza di forme di lavoro non precario e non schiavizzato, la centralità della questione ambientale, l'impulso ad assumere come punti di riferimento l'accoglienza, l'inclusione, la solidarietà, l'antirazzismo, l'antisessismo, l'antifascismo sono elementi essenziali per la Società della Cura, che intende contrapporsi a quella del profitto e vuole essere un punto di riferimento per le esperienze in atto,
in modo che siano più incisive, e per costruire, tutti insieme, vertenze di carattere generale (avendo come punto di partenza la convinzione che occorre, prima di tutto, “restare umani”).
Si tratta di dare risposte nell'immediato e nel medio periodo, ma anche di avere una visione, anche utopica, per il futuro un po' più lontano, avendo piena coscienza che l'utopia, l'orizzonte che non si riesce a raggiungere
per quanto si proceda, è quella che ci spinge a camminare, ad andare avanti.
Facciamo nostra quindi, e coltiviamo, l'utopia di una Società che sostituisca pienamente l'idea della cura (di sé, del prossimo, degli altri e delle altre, vicini/e e lontani/e, dell'ambiente) a quella del profitto, del mercato, dell'individualismo aggressivo e concorrenziale.
Ci sarà di sostegno e di spinta ad affrontare con maggior vigore anche l'emergenza Covid.
Intanto partecipiamo alla giornata di mobilitazione che la Società della Cura ha lanciato, con moltissime adesioni, per il prossimo 21/11, su tutto il territorio nazionale.
Per rilanciare la politica, quella che ci può permettere davvero di uscire dalla situazione attuale.
VAI AL MANIFESTO PER LA SOCIETÀ DELLA CURA