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UNITÀ TEMATICA N. 12
VERSO UNA CIVILTà SOSTENIBILE

Autore

Gianni Tamino

AGRICOLTURA E CAMBIAMENTI CLIMATICI

dalla Rivista “Pollicino” (www.pollicinognus.it), 2018.

 

Inviato il 6/01/2021




L’insostenibilità dell’attuale modello agricolo industriale

 

L’attuale agricoltura industriale, a partire dalla cosiddetta “Rivoluzione Verde”, ha favorito un sistema produttivo lineare (a differenza del sistema produttivo naturale che è circolare), ad alto imput di energia fossile (si pensi ai fertilizzanti di sintesi, ai pesticidi, ai grandi trattori, all’irrigazione e ai lunghi trasporti di sementi e di prodotti agricoli), con drastica riduzione della biodiversità agricola (poche sementi ibride o addirittura OGM): in breve l’agricoltura è diventata insostenibile e responsabili di gravi impatti ambientali.

Questa agricoltura ha aumentato le produzioni totali di cereali e in genere di cibo, ma con forti consumi di prodotti petroliferi (da 2 a 10 calorie fossili per ogni caloria di cibo) e di acqua (da 200 litri d’acqua per ogni kg di cibo vegetale, fino a molte migliaia di litri per ogni Kg di carne). Inoltre, a causa della globalizzazione, questo incremento di cibo non è andato a sfamare i poveri del Pianeta, ma a incrementare i consumi, soprattutto di prodotti di origine animale, dei paesi più ricchi.

Dal 1960, quando ha incominciato a diffondersi la rivoluzione verde, la produzione di cereali nel mondo è aumentata di 3 volte, mentre la popolazione mondiale è cresciuta poco più di 2 volte, e la disponibilità di alimenti per persona è cresciuta del 24%. Ma se alla fine degli anni ‘60 si stimava che - in tutto il mondo - ci fossero 800 milioni di persone che soffrivano la fame, nel 2016 sono rimasti ancora 815 milioni, secondo i dati della FAO, con oscillazioni in rapporto alle varie crisi economiche. Il cibo prodotto oggi sarebbe più che sufficiente per tutta la popolazione, ma il problema è la sua iniqua distribuzione.

Per questi consumi di energia fossile e per la grande quantità di animali allevati l’agricoltura industriale è anche causa rilevante dei cambiamenti climatici, ma ne subisce pesanti conseguenze. Un cambiamento del clima con incrementi di temperatura superiori ai 2°C entro i prossimi 20 anni porterebbe ad effetti estremi e contraddittori, come siccità ed alluvioni, sempre più frequenti, rendendo sempre meno produttiva l’agricoltura, che, a sua volta, utilizzando sempre più energia fossile per contrastare le avversità (pesticidi, fertilizzanti, irrigazione, ecc.) e favorendo allevamenti intensivi ad alta emissione di CO2 e di metano, contribuirebbe in maniera sempre maggiore, in una spirale perversa, a favorire l’effetto serra.

Di fronte a questi limiti dell’agricoltura, le multinazionali agro-chimico-sementiere, che avevano imposto la rivoluzione verde, hanno proposto l’agricoltura transgenica, che impiega gli OGM, ma tale metodo di trasformazione delle piante non è esente da rischi per l’ambiente e la salute. Anche l’agricoltura transgenica dipende dal petrolio e impiega massicciamente pesticidi: oltre l’80% delle piante transgeniche sono rese resistenti ad un diserbante (il più comune è il Roundup della Monsanto, che contiene glifosato, sospetto cancerogeno). Inoltre le multinazionali si stanno appropriando, grazie alle loro tecnologie e alle norme sui brevetti transgenici, del patrimonio genetico di molte piante. La conseguenza è un’ulteriore consumo di energia, un impoverimento dei suoli e quindi ulteriori incrementi di gas ad effetto serra.

 

Ruolo dell’agricoltura sui cambiamenti climatici ed effetti del clima sull’agricoltura e sull’alimentazione

 

A seguito della ratifica della Convenzione sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC) e del relativo Protocollo di Kyoto, ogni paese membro è tenuto alla preparazione dell’inventario nazionale delle emissioni, adottando la metodologia IPCC (International Panel on Climate Change), per garantire la comparabilità delle stime tra i diversi paesi. L’inventario nazionale delle emissioni è suddiviso in 6 settori: Energia, Processi industriali, Solventi, Agricoltura, LULUCF (Land use, Land use change and Forestry), e Rifiuti.

Il settore Agricoltura prevede la stima delle emissioni di metano (CH4) e protossido di azoto (N2O) per le seguenti categorie: fermentazione enterica, gestione delle deiezioni animali, suoli agricoli, coltivazione delle risaie e combustione dei residui agricoli. Le emissioni di questi due gas-serra di origine agricola, vengono calcolati a partire da indicatori statistici di attività (statistiche ufficiali) e fattori di emissione, che includono le peculiarità presenti in ogni paese. Le emissioni di anidride carbonica (CO2) correlate al comparto agricolo vengono invece stimate e riportate nel settore LULUCF.

La maggior parte degli studi considera che la quota delle emissioni agricole, ossia le emissioni prodotte sul campo, si aggiri intorno al 15% delle emissioni totali, ma non viene detto, tuttavia, che la maggior parte di queste emissioni proviene da pratiche di agricoltura industriale, basate sull'uso di fertilizzanti chimici e attrezzature pesanti che consumano petrolio, e da grandi allevamenti industriali, che rilasciano enormi quantità di metano.

Inoltre, le cifre sul contributo dell'agricoltura spesso non tengono conto del suo ruolo nel cambiamento dell'uso del suolo e della deforestazione, che rappresentano quasi un quinto di tutte le emissioni di gas serra.

Negli ultimi anni si è posta molta attenzione all’impatto sui cambiamenti climatici degli allevamenti intensivi, soprattutto di bovini, per le emissioni di metano prodotto a livello intestinale.

Nel 2009 é stato pubblicato dal Worldwatch Institute l’articoloLivestock and Climate Change[1] in cui viene analizzato l’impatto degli allevamenti animali, considerando l’intero ciclo di vita, sulle emissioni globali di gas-serra. Tale analisi attribuisce al comparto zootecnico il 51% delle emissioni globali di gas-serra. Si tratta di un valore molto elevato ed in contrasto con altri dati, compreso quello dell’IPCC o quello della FAO del 2006[2], che riporta un’incidenza del 18%. E’ difficile dire quale delle due valutazioni sia la più esatta, ma in ogni caso il peso degli allevamenti intensivi (circa 1,5 miliardi di bovini allevati, 2 miliardi tra ovini e caprini e circa un miliardo di maiali, oltre a molti milioni di volatili) è sicuramente rilevante, come conferma un articolo pubblicato su Lancet nel 2007[3] che afferma che gli allevamenti sono responsabili per un quinto delle emissioni di gas serra.

Non dobbiamo poi dimenticare che le emissioni dall'agricoltura sono solo una parte del contributo dell'intero sistema alimentare ai cambiamenti climatici: cosa succede tra il momento in cui il cibo lascia la fattoria e quando arriva sulla nostra tavola è altrettanto importante. Ad esempio, studi limitati solo all'Unione europea, hanno concluso che il trasporto di cibo industriale rappresenta circa un quarto di tutti i trasporti[4].

Ma se l’agricoltura e la zootecnia sono corresponsabili dei cambiamenti climatici, questi si ripercuotono pesantemente sulla produzione agricola.

Una delle conseguenze negative del riscaldamento globale sarà, infatti, un calo della produzione di cibo nel mondo a fronte di un aumento della popolazione. Le regioni più colpite saranno quelle dove già oggi esiste un problema legato alla sicurezza alimentare, mettendo in difficoltà il lavoro di agricoltori, pescatori e di tutte quelle persone che dipendono dalle risorse forestali per nutrirsi.

Le 2.600 pagine del rapporto IPCC pubblicato a marzo 2014 contengono la parola “rischio” per 230 volte, molte delle quali legate proprio alla scarsità di cibo e alla possibilità che si verifichino conflitti, dovuti a un aumento delle persone che soffrono la fame.

Mentre è previsto che la popolazione mondiale potrebbe raggiungere quota 9 miliardi nel 2050, la produzione di cibo si ridurrà a causa di un calo della resa dei campi agricoli, già in atto, come grano e mais.

Un riscaldamento di 2°C o più sarà in grado di penalizzare la produzione di cereali nelle zone tropicali e temperate, tuttavia con sensibili differenze in base alle regioni e alle varietà agronomiche impiegate. Oltre i 4 °C, specie se in concomitanza con un aumento della domanda di cibo, sono da attendersi importanti rischi per la sicurezza alimentare, soprattutto alle basse latitudini (fasce tropicale ed equatoriale). 

Anche la disponibilità d'acqua di superficie e di falda, seppure prevista in aumento alle elevate latitudini, potrà ridursi in modo significativo in molte regioni subtropicali già attualmente aride (e anche intorno al Mediterraneo), aumentando così la competizione per l'accesso alle risorse idriche. Inoltre, l'aumento delle temperature, della presenza di sedimenti e inquinanti minaccerà la potabilità dell'acqua, anche in presenza dei metodi convenzionali di trattamento.

 

Alcune proposte

 

Di fronte a questa prospettiva occorre immaginare un’agricoltura totalmente nuova a minor imput di energia e di materia (soprattutto acqua), che ripristini la logica circolare inserendosi armoniosamente nei cicli biogeochimici naturali. Ma se vi saranno significativi cambiamenti climatici, occorre anche immaginare nuove sementi adatte alle nuove condizioni ambientali, sementi ottenute grazie al recupero delle varietà storiche, ancora presenti nelle banche del germoplasma o da agricoltori sensibili, come punto di partenza per nuovi incroci, fatti non dalle multinazionali delle sementi, ma dagli stessi agricoltori (selezione partecipata). Infine occorre pensare a come gestire meglio l’acqua, trattenendola il più possibile nel suolo e favorendo il rimpinguamento delle falde.

Una nuova economia agricola,  ecologica, può assicurare un reddito dignitoso, un lavoro soddisfacente, la sperimentazione di nuove forme di convivenza sociale e un rapporto consapevole con l’ambiente di vita. Si tratta di una trasformazione legata sia ai prodotti che ai produttori del territorio e dimensionata ad essi, a servizio degli agricoltori e dei cittadini, volta a limitare gli sprechi di materia e di energia ma anche a riacquisire da parte del mondo agricolo la “sovranità alimentare”, cioè il diritto dei popoli a definire le proprie politiche agricole e alimentari; il diritto di ogni nazione a mantenere e sviluppare le sue capacità di produrre alimenti di base, rispettando le diversità culturali e produttive; il diritto a produrre il proprio cibo sul proprio territorio.  

A questo proposito, ritengo molto valide le considerazioni e le richieste di Via Campesina[5]:

“Bisogna ricordare che l'agricoltura contadina e i sistemi alimentari locali si sono dimostrati in grado di sfamare la popolazione da secoli. Secondo il Programma Ambiente delle Nazioni Unite, il Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo, la FAO e il relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo, i piccoli agricoltori ancora oggi producono fino al 80% del cibo nei paesi non industrializzati (dove vive la maggior parte della popolazione mondiale).

Noi di Via Campesina dichiariamo ancora una volta che la Sovranità Alimentare – basata sull' agroecologia contadina, le conoscenze tradizionali, la selezione, il salvataggio e la condivisione di semi adottivi locali, e il controllo sulle nostre terre, la biodiversità, le acque, e territori - è la vera, valida , e giusta soluzione a una crisi climatica globale causato in gran parte dalle  multinazionali.

Per implementare la Sovranità Alimentare, però, abbiamo bisogno di un cambiamento di vasta portata. Tra le altre cose, abbiamo bisogno di riforme agrarie globali, di appalti pubblici per la produzione contadina, e della fine dei distruttivi Trattati di libero Commercio promossi dalle multinazionali. In breve, abbiamo bisogno di giustizia - sociale, economica, politica, e di giustizia climatica.

Da COP21 promettono che si uscirà finalmente con un "accordo universale e giuridicamente vincolante". Noi di Via Campesina, che rappresentiamo circa 200 milioni di agricoltori in più di 150 organizzazioni contadine, chiediamo ai governi a dare priorità ai bisogni delle persone sugli interessi corporativi e di accettare soluzioni climatiche reali - inclusi i sistemi contadini di produzione  alimentari, che raffreddano il pianeta .

Le soluzioni delle multinazionali sono false soluzioni, e non risolveranno la crisi climatica. Le nostre sono soluzioni reali, e dovrebbero avere la priorità da parte delle Nazioni Unite.”

Per realizzare queste proposte, in Italia dobbiamo favorire un’agricoltura sostenibile come quella biologica e la diffusione delle produzioni locali e tradizionali, preferibilmente piccole, radicate nel territorio circostante (filiera corta): in questo modo, con l’eliminazione di diversi passaggi di distribuzione e relativi costi si effettua un risparmio sia economico che energetico, a vantaggio dei produttori, dei consumatori e del clima.

Sulla possibilità, poi, dell’agricoltura biologica di sfamare il mondo, va ricordata una relazione della FAO[6] del 2002 che ha sottolineato come "i sistemi biologici possono raddoppiare o triplicare la produttività dei sistemi tradizionali" nei paesi in via di sviluppo, ed ha sostenuto anche che il solo confronto fra le rese offre un "quadro ristretto, limitato e spesso fuorviante", dal momento che "i numerosi benefici ambientali dell'agricoltura biologica, difficili da monetizzare, restano ingredienti essenziali di qualsiasi confronto".

Dunque per mantenere gli equilibri ambientali e per evitare il rischio dei cambiamenti climatici, l’agricoltura biologica rappresenta una soluzione praticabile, in grado di soddisfare le esigenze alimentari e la sostenibilità del pianeta, rispettando la salute dei consumatori.

 

 

 

[1] World Watch | Livestock and Climate Change November/December 2009 - www.worldwatch.org/files/pdf/Livestock%20and%20Climate%20Change.pdf

[2] FAO “Livestock’s role in climate change and air pollution”, 2006 ftp://ftp.fao.org/docrep/fao/010/A0701E/A0701E03.pdf

[3] Anthony J McMichael, John W Powles, Colin D Butler, Ricardo Uauy, Food, livestock production, energy, climate change, and health, The Lancet, September 13, 2007

[4] Eurostat. From farm to fork - a statistical journey along the EU's food chain - Issue number 27/2011

[5] “La Vía Campesina: un llamado a la acción para las negociaciones de la ONU en París sobre el clima”, 10 Nov, 2015.

http://wrm.org.uy/es/articulos-del-boletin-wrm/seccion2/la-via-campesina-un-llamado-a-la-accion-para-las-negociaciones-de-la-onu-en-paris-sobre-el-clima/

[6] Relazione della FAO del 2002: "i sistemi biologici possono raddoppiare o triplicare la produttività dei sistemi tradizionali" nei paesi in via di sviluppo. Il solo confronto fra le rese è limitato e fuorviante: "i numerosi benefici ambientali dell'agricoltura biologica restano ingredienti essenziali di qualsiasi confronto". (dato riportato in ''STATE OF THE WORLD'' SUL BIOLOGICO, 2004, Edizioni ambiente)