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UNITÀ TEMATICA N. 12
VERSO UNA CIVILTà SOSTENIBILE

Autore

Gianni Tamino

COME SOPRAVVIVERE ALLO SVILUPPO?

da Pensare il presente: la filosofia e le sfide del nostro tempo, a cura di Massimo Carbone e Damiano Cavallin – Editrice Diogene Multimedia, Bologna, 2017

 

Inviato il 4/01/2021




Agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”.

Hans Jonas, Il principio responsabilità

 

Meccanicismo, prevedibilità e complessità

Il concetto di sviluppo è ormai centrale e nevralgico in ogni dibattito economico. Esso viene ripetutamente indicato come il fine assoluto e imprescindibile, soprattutto nelle fasi di stagnazione o crisi. Interroghiamoci, tuttavia, su come si possa continuare a vivere in una società trainata dall’idea di sviluppo senza fine, nella consapevolezza che oggi abbiamo dei limiti nelle risorse biodisponibili.

Il progresso tecnologico è il prodotto di un paradigma teorico che ha caratterizzato negli ultimi secoli la civiltà occidentale: il riduzionismo. Quest’ultimo, sebbene si sia rivelato utile per risolvere problemi rilevanti nel campo della fisica – riduzionismo metodologico – risulta approssimativo e inadeguato quando viene applicato al campo della biologia.

Per chiarire le motivazioni che stanno alla base della critica rivolta alla concezione deterministica della vita, proponiamo di esaminare il meccanismo di un orologio classico. Possiamo, con grande facilità, smontare e ricostruire gli ingranaggi, per analizzarne ogni singola parte, individuando le proprietà specifiche di ciascuna di esse. Potremmo compiere la stessa operazione anche su noi stessi? Appare improponibile applicare quest’ottica meccanicistica alla comprensione di un organismo vivente; potremmo certamente dividerlo nelle sue componenti (come le cellule), ma sarebbe poi impossibile rimontarlo e ricostruirlo. Un essere vivente è una struttura complessa, con caratteristiche proprie ed uniche che emergono dalla relazione tra le diverse parti. La relazione è ciò che caratterizza, oltre ad ogni essere vivente, sia la specie umana sia la società: non è analizzando ogni singolo essere umano che possiamo capire la società, bensì osservando le relazioni tra gli esseri umani.

Se ciò che riduciamo e scomponiamo in modo meccanico è, in qualche modo, prevedibile nel suo comportamento, ciò che non può essere scisso e ricomposto risulta necessariamente imprevedibile. Dallo spazio dilatato dell’imprevedibilità sorge la libertà dell’agire umano: la nostra libertà di azione deriva dal fatto che non siamo delle macchine, cioè non siamo predeterminati. La società ha una struttura complessa ed è articolata in sistemi il cui funzionamento a rete non è prevedibile. Per questo è doveroso valutare, con grande prudenza, le nostre azioni sui sistemi biologici e sociali.

 

Processi circolari che rendono possibile la vita

La biologia è la scienza che studia i viventi, che sono strutture complesse, dotate di particolari proprietà emergenti. In questi sistemi tutte le parti sono collegate tra loro, si pensi ad esempio alle reti neuronali, che si comportano come la rete di scambi di informazioni rappresentata da internet. Assunto che dal punto di vista scientifico non è possibile definire la vita, ma solo descrivere le sue proprietà, richiamando i principi della termodinamica, possiamo intendere un vivente come un sistema aperto e dinamico, capace di controllare i suoi scambi con il mondo esterno, in vista del fine della sua sopravvivenza.

Un sistema si mantiene in vita fintanto che si dimostra in grado di regolare le sue proprietà interne e di scambiare con l'esterno materia, energia e informazioni, come quelle genetiche e quelle acquisite attraverso le “finestre” verso l’esterno, cioè gli organi di senso. Ciò vale anche per gli ecosistemi, sistemi complessi costituiti da organismi viventi e componenti non viventi dell’ambiente, la cui stabilità dipende dalle relazioni tra tutte le componenti. Per questo è necessario salvaguardare la biodiversità, senza la quale non ci sarebbe stata la capacità da parte dei viventi di adattarsi ai cambiamenti che la Terra ha subito nel corso di 3,8 miliardi di anni, epoca in cui probabilmente la vita è iniziata sul pianeta.

Un esempio molto chiaro è la fotosintesi clorofilliana, il processo naturale alla base dell’equilibrio delle forme di vita, che permette la trasformazione di CO2 e acqua, in zuccheri, essenziali al nutrimento. La fotosintesi avrebbe potuto essere distruttiva: consuma infatti materie prime (acqua e CO2), per produrre un elemento utile (lo zucchero), ma anche un inquinante, che è l’ossigeno. L’aumento di ossigeno poteva implicare la fine della vita sul pianeta terra, poiché stimola l’ossidazione e la degenerazione cellulare. Questo non si è accaduto perché si sono create delle nuove relazioni: gli organismi, invece di essere avvelenati dall’ossigeno, hanno cominciato ad utilizzarlo con una trasformazione simile, ma complementare e simmetrica alla fotosintesi, la “respirazione”, che permette di ricavare più energia possibile dagli zuccheri prodotti dalla fotosintesi. I viventi sfruttano quindi uno scarto della fotosintesi, l’ossigeno, riequilibrando nell’ambiente CO2 e acqua. In questo modo non si verificano né esaurimento delle risorse né inquinamento. Una singola reazione sarebbe altamente inquinante e incompatibile con la vita; ma due reazioni, cioè due complessi sistemi in relazione tra loro, risolvono il problema dell’inquinamento, mantenendo attivo il riciclo delle risorse.

La relazione fondamentale che lega gli organismi e li pone in rapporto costante è la catena alimentare. Al primo anello abbiamo i produttori primari, gli autotrofi, le piante che si alimentano di energia solare; seguono gli erbivori, che usano il cibo prodotto dalle piante; infine i carnivori, che si nutrono con il cibo prodotto dagli erbivori. È un ciclo continuo e senza produzione di rifiuti, che potrà attivarsi solo fintanto che ci sarà energia solare. Questo ciclo funziona perché in natura abbiamo migliaia di specie di piante e animali; soltanto gli insetti rappresentano quasi un milione di specie diverse. La biodiversità delle specie è condizione indispensabile per la sopravvivenza dei cicli naturali, ma anche la diversità interna a ogni specie è fondamentale. Se fossimo tutti identici, noi come esseri umani, e così le piante, gli insetti o qualunque tipo di animale, a ogni cambiamento ambientale, climatico o ci adatteremmo tutti oppure tutti ci estingueremmo.

Le complesse relazioni che rendono possibile la vita sulla terra non dovrebbero quindi esaurirsi fintanto che non si esaurirà il Sole, il quale durerà per almeno altri 3 miliardi di anni, al contrario delle fonti fossili, decisamente più limitate. Ma in un sistema aperto ciò che conta sono appunto le relazioni tra le parti. Non è tutto già predeterminato o scritto nel DNA degli organismi: le informazioni possono essere attivate o disattivate dalle relazioni.

 

L'uomo: dominatore o parte della natura?

Il movimento della Decrescita sostiene l’importanza di adottare uno stile di vita armonico con le altre specie naturali. Dato che l’uomo appartiene alla natura, non può esistere al di fuori dei sistemi naturali, benché sia un animale molto particolare, dotato di pensiero e dunque capace di sviluppare tecnologie. L’idea di un’umanità dominatrice della natura è fondamentalmente un’illusione, essendo essa stessa parte integrante dell’ecosistema vivente.

Possiamo definire come artificiale un prodotto ottenuto grazie ad un intervento non casuale di un essere pensante; l’azione tecnologica modifica così i materiali preesistenti, per trasformarli in funzione di esigenze particolari. L’essere umano, come lo conosciamo oggi, è manipolatore e produttore di manufatti tecnologici, ma le alterazioni da lui indotte nell’ecosistema possono risultare incompatibili con i processi naturali, con effetti negativi su tutti gli organismi viventi, uomini compresi. Hans Jonas in un testo del 1979, “Il principio di responsabilità”, richiamava gli umani ad utilizzare le proprie capacità riflessive per assumersi pienamente la responsabilità delle proprie azioni e ri-orientare quindi il proprio stile di vita.

 

Sviluppo, decrescita e sostenibilità

Torniamo allora al concetto di sviluppo: esso presuppone cambiamenti sostanziali nell’assetto socio-istituzionale e culturale, distinguendosi quindi dalla semplice idea di crescita. La Rivoluzione industriale ha modificato drasticamente le relazioni tra uomo e natura: l’essere umano ha iniziato a separarsi da essa, alterando le dinamiche cicliche attraverso processi industriali lineari.

Applicando una mentalità riduzionista, abbiamo realizzato non più una produzione per il bene della collettività, ma una produzione finalizzata esclusivamente al profitto. Oggi l’obiettivo non è più produrre ciò che realmente serve, ma produrre sempre di più, per incrementare il prodotto interno lordo, stimolando i consumi e favorendo il profitto di pochi.

Risale al Dopoguerra lo strumento che ha perfezionato il sistema moderno della contabilità nazionale, l’indice che la scienza economica utilizza per misurare la crescita: il Prodotto Nazionale Lordo (PNL). Kenneth Boulding scriveva: “Chi crede che una crescita esponenziale possa continuare all’infinito in un mondo finito è un pazzo. Oppure un economista”. Un pensiero arguto, che in pieno boom produttivistico postbellico aveva sollevato qualche dubbio sulle certezze che animavano quell’antropocentrico fervore.

Un ritmo di crescita continua procede a una sola condizione: distruggere e ricostruire. Oggi, in piena crisi globale, è fondamentale ripensare l’economia del mondo, rispettando i limiti insiti nella biosfera, i cui prodromi affondano nell’elevata popolazione nel mondo, nell’eccessivo consumo di risorse naturali, nella distruzione dell’ambiente, nell’aumento dei rifiuti e dell’inquinamento, nella perdita di biodiversità. Il movimento della Decrescita si oppone, per motivi legati alla sua radicale insostenibilità, allo stile di vita consumistico, tipico del mondo occidentale. Con “sostenibilità” (o, in ecologia, “carrying capacity”) s’intende la capacità di un territorio di sostenere una certa popolazione, nel nostro caso la specie umana.  L’insostenibilità non dipende tanto dal numero degli abitanti, quanto dalla loro impronta ecologica, ossia dagli ettari di territorio necessari per produrre ciò che un abitante o una popolazione consumano.

Analizzando i dati dell’Hearth Overshoot Day, possiamo osservare come dal 1986 ad oggi si sia accorciato il tempo di esaurimento delle risorse annuali rinnovabili. Anche la presente crisi economica dipende dallo sfruttamento eccessivo e irrazionale delle risorse naturali.

 

Economia artificiale vs economia naturale: limiti invalicabili?

Il termine “ecologia” venne per la prima volta introdotto in campo biologico da Ernst Haeckel per indicare la “scienza dei rapporti dell’organismo con l’ambiente”. Già ipotizzata nella Storia della creazione naturale del 1868, l'economia della natura, secondo la dicitura utilizzata da Linneo, è la capacità che troviamo in natura di produrre e rigenerare la biomassa, cioè l'insieme di tutti gli organismi viventi, all'interno di processi ciclici.

Arriviamo quindi al fulcro del conflitto tra economia artificiale umana – basata sulla crescita illimitata – e natura – che da sempre si confronta con i propri limiti. Se il sistema naturale è ciclico, di contro i processi produttivi industriali sono lineari e perciò producono continuamente inquinamento e rifiuti, consumando energia fossile; trasformano troppo velocemente le materie prime in rifiuti non riciclati. A ciò si lega la stessa crisi globale che sin dalla Rivoluzione industriale ha imposto una civiltà lineare su un pianeta che funziona in modo circolare. Il rischio che i cicli biochimici si blocchino è costantemente in agguato: si pensi, ad esempio, all’agricoltura industriale, che ha bisogno di fertilizzanti di sintesi per mantenere gli standard di produzione.

Gli organismi viventi hanno bisogno di aria, acqua e cibo: lo sviluppo si può allora prospettare solo mantenendo integri questi fattori. Pertanto è fondamentale, per garantire un equilibrio vitale, ridurre i consumi eccessivi e non più sostenibili dell'attuale stile di vita di una parte dell'umanità.

Solo immaginando un’umanità improntata alla convivialità potremmo sperare di migliorare le condizioni di vita dell’intero pianeta. La biologia e la fisica ci invitano ad uscire dalla crisi, imponendoci un cambiamento di mentalità. Le capacità di autogoverno e autogestione consapevole diventano essenziali per garantire alla nostra specie e all’intero pianeta un futuro, tutelando i beni comuni fondamentali. A fronte delle sfide della politica e dell’economia mondiale è necessario costruire una nuova cultura, imperniata sull’etica della responsabilità nei confronti della vita presente e delle generazioni future, a difesa della Natura a cui noi stessi apparteniamo.

 

 

Consigli per la lettura

AAVV., Una vita più semplice. Biografia e parole di Alexander Langer, Terre di mezzo editore/Altreconomia, Milano 2005

AAVV., Decrescita: idee per una civiltà post-sviluppista, Sismondi, Treviso 2009

Jonas H., Il principio responsabilità: un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 2002

Latouche S., La scommessa della decrescita, Feltrinelli, Milano 2007

Wackernagel M. e W. E. Rees