“Nonno, esiste Dio?”. C’è sempre una prima volta che un nipotino lo chiede. La mia risposta è standard: “Nella mente umana esiste moltissimo, fuori della mente umana si comporta da grande gentiluomo, è di una discrezione assoluta”.
Questo incipit ha l’aria baldanzosa, in realtà (“in realtà” è una delle espressioni favorite di un bambino a cui voglio moltissimo bene) l’argomento Dio (D) (ma non bisognerebbe nominare il Nome invano) mi rende tuttora coinvolto e problematico. In anni lontani (quando ne avevo venti) era il mio pensiero dominante, era un’Entità-Persona che mi aveva chiesto la vita e io con struggimento gliel’avevo data: non si può senza rimorsi inaccantonabili dire no alla vocazione. Vivere significava vivere per D. Lasciare tutto per vivere per D.
Ma il giovane eroe aspirante santo di allora era anche un tipo che, come suo padre Edoardo ingegnere e umanista, voleva sapere se le cose nobilissime, grandiose, ultraterrene, beatifiche, terrifiche, della religione erano reali: quel Luigi aveva una fidesquaerensintellectum, il suo dono di sé non poteva prescindere dalla ragione, dal voler capire se la Cosa supremamente avvincente era anche la Cosa supremamente convincente. Ed ecco allora tracciarsi un lunghissimo percorso, apologetico e filosofico, alla ricerca (à la recherche) dell’intellezione di D. L’ho documentato in tutta una serie di lavori diciamo pure scientifici; qui, supersinteticamente, solo alcuni approdi che riguardano il D fondamento dell’universo, lasciando ad altra occasione il D fondamento dell’etica e dei valori.
L’argomento più forte a favore di un Assoluto transcosmico, transfisico, nasce proprio dalle difficoltà della spiegazione materialista-fisicalista dell’universo: quella secondo cui la materia accessibile alla fisica (d’ora in poi: il mondo, M) “ce l’ha fatta” da sola.
Provo a formalizzare. Supponiamo che M esista, come asserisce la cosmologia più accreditata, da un tempo finito, per esempio da una quattordicina di miliardi di anni, cioè dal big bang (dalla superesplosione) della inframicroscopica “Singolarità iniziale” (S.I.). Beh, almeno due problemi:
(1) Che roba è un protoncino poco più che puntiforme capace di estrudere miliardi di ammassi di galassie a distanza di miliardi di anni luce?
(2) Dire che l’origine, l’inizio, di M è S.I., significa dire che prima non c’era niente: altrimenti che inizio è? Significa dire che S.I. è schizzata fuori da niente per virtù propria. Ma ci sono argomenti invincibili a favore della tesi che ex nihilo nihilfit, che da niente non può venire niente; nessuna scienza spiega le cose con niente. E quindi se da bravi atei materialisti asseriamo che M esiste da un tempo finito, per esempio quello tra il big bang e noi, ci troviamo immersi in un “maledettissimo mare di fottutissimi guai”.
Si potrebbe obbiettare che S.I. è nata non da niente ma dal vuoto: un iperattivo , iperenergetico vuoto. Beh, il problema semplicemente si sposta da S.I. a lui: anche mister Vuoto, se ha avuto inizio, è nato ex nihilo, da niente.
Si affaccia allora l’ipotesi che M esista, invece, da sempre, a semper; che non ci sia mai stato un blackout ontologico totale. Spinoza l’ha detto indimenticabilmente: se esiste qualcosa, esiste qualcosa da sempre. Bisogna, per esempio, che il vuoto causa di S.I. sia esistito, “prima”, per un tempo infinito. Oppure si può ricorrere all’ipotesi che S.I. sia stata preceduta da un big crunch, dalla superimplosione, dal supercollasso, di un M precedente, a sua volta nato dal big bang di una S.I. ancora anteriore, e così via (tipo “clessidra”) all’infinito. Oppure ancora si può postulare che “sotto” la materia attualmente osservabile si annidi qualcosa di eterno, di esistente da sempre e per sempre, come i mitici atomi lucreziani.
Non ci sono che due possibilità: M esiste per virtù propria o da un tempo finito o da un tempo infinito. Nel primo caso giganteggiano i problemi che abbiamo visto; nel secondo ci sono (dovete credermi, non ho spazio per mostrarlo) difficoltà almeno altrettanto gravi, direi enormi: come i paradossi dell’infinito in atto, come la contingenza (il non esistere per virtù propria) di una serie sia pure infinita di contingenti: non puoi far stare verticale una carta da gioco attaccandola a una serie verticale infinita di carte da gioco. Cade, se mai, ancora più della carta singola.
Conclusione: se la materia fisica non può esistere per virtù propria né da un tempo finito né da un tempo infinito, né ex nihilo né a semper, la materia non può esistere per virtù propria. Requiem per l’ateismo materialista.
Quest’ultima frase, lo riconosco, è un po’ ad effetto. Ma fa capire qual’ è, in tutte o quasi le culture, la radice razionale, cosmologica/ontologica, del ricorso all’ipotesi in senso lato “teista”: visto che M, il contingente in divenire temporale, non si autospiega, ci vuole, per spiegarlo, un formidabile Noncontingente, un Essere che si spiega non in base a una serie di cause ma per come è fatto, in virtù della propria essenza: l’Essere Necessario, l’ASSOLUTO. QuodomnesvocantDeum (san Tommaso). D supera la micidiale alternativa tempo finito / tempo infinito in quanto è eterno, sovratemporale, totumsimul, tutto-in-una-volta, Istante totale, Perfezione già completamente realizzata da sempre e per sempre. Lui è senza origine e le cose storiche di M hanno origine “ultimamente” in Lui.
Beh anche qui devo chiedervi di credermi: l’argomento a favore di D è forte, sembra irresistibile; ma quando poi vi dedicate (io ci ho dedicato anni) a pensare, a intelligere, il Grande Invisibile, il teismo fa naufragio, vi trovate ancora una volta immersi in “un maledettissimo mare di fottutissimi guai”: guai che possiamo, copiando alla buona il buddismo, chiamare avyākṛta o kōan. D (lo chiamo ora “Delta”) è un coacervo di kōan.
Si può quasi dire che come i più forti argomenti pro-teismo sono le difficoltà del materialismo, così i più forti argomenti pro-materialismo sono le difficoltà del teismo. Ognuno corrobora, più che se stesso, il proprio opposto.
Risultato finale: quando riflettiamo razionalmente, realisticamente, sull’origine di M abbiamo di fronte (o dentro) il mega-kōan: M-da-niente-o-da-sempre-o-da-D, cioè M da un triplice inconcepibile/irrappresentabile. Non c’è un quarto modo in cui possano essere andate le cose. E il problema di come sono andate le cose non è uno pseudoproblema: la storia di M è una storia accaduta: e nessuna storia accade in un modo diverso dal modo preciso in cui accade. Dunque atei e teisti inchiniamoci, pur senza vederlo, all’indubitabile Modo-in-Cui! Ammettiamo di essere approdati, gli uni e gli altri, per quanto possibile intrepidi, “esposti”, a uno strano baratro razionale, a una “notte oscura dei sensi e dello spirito” (san Giovanni della Croce, Śaṅkara), all’ammutolimento apofatico.
La notte oscura avvicina atei e teisti consapevoli: le notti più sono oscure più sono simili. Un ateo apofatico e un teista apofatico sono più vicini tra loro di quanto entrambi siano simili ai propri rispettivi confratelli parrocchiali. Consapevoli di tutto il mondo, unitevi. Uniamoci. Gli apofatismi non sono pericolosi: non scatenano guerre, non accendono roghi, non scomunicano, non giustiziano. Pericolosi sono i fondamentalismi identitari e le loro mistiche.
Io credo che il corpo-mente umano abbia bisogno di mistica quasi come del pane. Quindi è essenziale proporre mistica ben fondata, in grado di avvincere e convincere gli esseri umani in quanto umani e non in quanto portatori identitari di credenze religiose o politiche o ideologiche contrapposte spesso mortalmente. La mistica ben fondata si sviluppa laica, cioè sperimentale, in ambiente razionale apofatico. Le ho dedicato il meglio dei miei anni postcristiani. Rinvio ai miei scritti in argomento e, per i lettori di Pègaso, al numero 194 del 2016. Quanto ho sostenuto qui è la base, è la prosa. Su questa base può prendere il suo slancio la poeticizzazione, illuminazione, intensificazione dell’esistenza. Che può anche includere (lo dico con remore) un “credere-in-Dio” consapevolmente vissuto come atteggiamento soggettivo psico-esistenzialmente propizio diverso dall’affermazione intellettuale di stati di cose.
Principali riferimenti bibliografici: Nera Luce. Saggio su cattolicesimo e apofatismo, Le Lettere, Firenze 2001; Meditare in Occidente. Corso di mistica laica, Le Lettere, Firenze 2015.