“Informaticizzabilizzazione” è più utile
di “precipitevolissimevolmente”.
(Luigi Lombardi Vallauri, 1975)
Amici attenti mi chiedono di evocare il Luigi Lombardi pioniere dell'informatica giuridica, un personaggio che debutta intorno al 1970 e che poi compie pensose ma sporadiche sortite fino ai primi anni del ventunesimo secolo. La richiesta mi coglie un po' di sorpresa: io oggi sono un non-digitale, un privo di computer (sic!) e di altri aggeggi dai nomi angloidi che i figli dei suoi figli conoscono e usano con disinvoltura, insomma un arcaico, un neo-analfabeta. Scrivo le mie cose, anche questa, o a mano o con una Olivetti Studio 44 che mi è stata regalata quando ero adolescente e che figura al centro della copertina del mio ultimo libro (cartaceo: poveri alberi ...). Frequento intensivamente l'antica e sempre nuova Natura, dall'universo quasi tutto di plasma distribuito in ammassi di galassie al filo d'erba alpina nutritore di marmotte, e ignore o quasi i tre frigidi vitreometallici audio-video TV/computer/telefonino-factotum che si avviano a diventare la sostitutiva Natura, tutta antropica e antropocentrica, di una prossima umanità dimentica delle origini. Se proprio dovessi ancora evolvere graficamente sarebbe più in direzione del pennello a inchiostro di china che dei tasti e delle superfici. E da decenni mi muovo verso un "oltre la scienza" che non la nega ma ne fa uso, anziché come premessa di utilità pratica, come risveglio contemplative-intuitivo all'essere, come via di esperienza psicospirituale.
Ciò premesso, tento comunque una rimpatriata nel clima per così dire eroico dei remoti anni Settanta, quando la futura informatica si chiamava ancora cibernetica e l'informazione giuridica automatica/algoritmica muoveva i primi passi.
1. Il mio primo contributo è stato di gran lunga il più filosofico. Nel 1970, con l’ex compagno di servizio militare, cruciale amico, fisico teorico e future guru della riflessione sul rapporto material-coscienza Giuseppe Trautteur, scrivo un impegnato commento al libro apripista Cibernetica, diritto e società (Milano 1968) di Vittorio Frosini1. Trautteur forniva la competenza sul lato cibernetica, io fornivo quella sul lato teoria giuridica: avevo pubblicato tre anni prima il quasi monumentale Saggio sul diritto giurisprudenziale, per quel tempo forse la più completa analisi storie e logica del ruolo e delle operazioni del giurista nella formazione della norma. Entrambi frequentavamo anche la filosofia generale. Oggi mi sembra particolarmente notevole, di quel lontano contributo, l'inserimento del problema giuscibernetico nelle due dimensioni ultime cui per essenza appartiene la teoria del diritto e della scienza giuridica, la teoria dell'uomo e del pensiero umano. Nel primo ambito il teorema conclusivo accolto dagli autori era quello della non rigorosità formale, della necessaria anche-valutatività, anche-politicità della scienza giuridica. Ne seguiva un'affermazione ancora oggi condivisibile: "L'automatizzazione integrale della giurisprudenza (come quella della legislazione) ... non è pensabile prima della conquista all'algoritmo... della filosofia e della sociologia, che è quanto dire prima della riproduzione logico-meccanica dell'esperienza umana nella sua integralità" (p. 4-28). Questa affermazione trovava puntuale riscontro, sempre nel 1970, nella conclusione del paragrafo III.4 ("Automatizzazione della giurisprudenza?") del mio Corso di filosofia del diritto: "Il giurista sarà automatizzabile solo quando lo sarà anche il legislatore. Il giurista in quanto giurista non è né più, né meno automa dell'uomo"2. L'intrapresa giuscibernetica poneva allora, nel secondo ambito, la domanda ultima tra le ultime, quella ontologica, nata intorno al 1950 col riduzionismo, cioè "con l'ipotesi di lavoro della riducibilità dei livelli mentale e biologico a termini fisici e meccanici" (p. 424): la domanda se l'uomo che pensa sia "in realtà" una macchina, e se quindi possa costruirsi una macchina che pensi come pensa l'uomo, cioè comprendendo coscientemente significati e non solo riconoscendo automaticamente significanti. Come si vede, nel 1970, quando la futura informatica si chiamava cibernetica e non c'erano che rudimentali applicazioni delle macchine elettroniche in campo giuridico, la fantasia intellettuale andava ancora, spontaneamente, fino in fondo. Osservo che usavamo correntemente, già allora, il termine "algoritmo", adombrando quello che mi sembra a tutt'oggi "il" tema di una filosofia dell'uomo in contatto con la scienza: l'ipotesi algoritmica della mente3. La conseguenza ineludibile di tutto ciò - "l'interiorità dei problemi umani ultimi ai problemi professionali della giurisprudenza" (p. 430) - è stata quasi del tutto trascurata, forse anche per comprensibili difficoltà programmative, dall'informatica giuridica 1970-2013.
Il quadriennio 1973-1977 fa di me, professore ordinario di filosofia del diritto a Firenze, il direttore dell'IDG - Istituto per la Documentazione Giuridica del CNR, rendendomi meno filosofico e più progettuale. L'Istituto era allora equamente suddiviso in un reparto di lessicografia giuridica e uno di informatica giuridica (è in quegli anni che la "cibernetica" diventa "informatica"). Entrambi i reparti potevano avvalersi con profitto di procedure informatiche e, con le loro esigenze, suggerirne; ma era ovviamente il secondo quello che doveva dedicare a svilupparle tutto il proprio impegno teorico e operativo.
Chiamato oggi a ripercorrere, col senno del poi e del diverso, i miei quattro scritti informatico-giuridici principali nati da quella collaborazione, li trovo sorprendentemente coesi e progressivi, momenti necessari di un pensiero in sé unitario e che procede, musicalmente parlando, in crescendo. La coerenza è data, oltre che dalla fondativa teoria generale giusliberista della scienza giuridica maturata già nei tardi anni Sessanta, da due Leitmotive dominanti: la democraticità, intesa come orientamento dei sistemi informativi al cittadino, e il primato di interesse conoscitivo, tecnico-informatico, dell'informatica metadocumentaria, decisionale-consulente, sull'informatica documentaria. La coerenza è accresciuta dal fatto che i due Leitmotive sono tra loro sinergici: nel fronteggiare i suoi problemi giuridici concreti il cittadino ha più bisogno di consulenza (o di un'eventuale decisione giudiziaria controllabile) che di documentazione bibliografica; e reciprocamente, progettare sistemi decisionali-consulenti è un compito informatico-giuridico di più alto livello. Democraticità e bravura si potenziano a vicenda.
2. Il più antico dei quattro scritti, Democraticità dell'informazione giuridica e informatica, è veramente un Ur-testo, una specie di DNA: inaugura come primo contributo il primo fascicolo della neonata rivista dell'IDG, a sua volta prima rivista informatico-giuridica italiana. Chiarisce anzitutto i fini dell'informazione giuridica democratica: garantire il diritto all'informazione sul diritto, rendere il diritto "vicino"; smontare il potere tecnico, legittimato con una asserzione di competenza che esima dalla verifica il più possibile paritaria e dalla responsabilità verso l'utente. Questa richiesta di democrazia non formale nasceva non casualmente in un professore che aveva cominciato a insegnare nel 1967, alla vigilia del turbine sessantottino, del maggio francese, del kérygma francofortese; che aveva dedicato i suoi studi e seminari al problema, ancora quasi inedito, dell'esclusione sociale; che proprio nel 1975 faceva partire in Firenze il Centro di aiuto alla vita, destinato a sostenere il desiderio della donna di non abortire; che poco prima aveva fondato il Movimento per l'integrazione universitaria europea, per promuovere la mobilità delle persone e la circolazione dei saperi al di là dei confini nazionali; che considerava l'articolo 3, 2° comma, della Costituzione il vertice dell'ordinamento giuridico italiano.
Nel contributo del 1975 la richiesta di democrazia si articola tecnicamente fino a prefigurare un Sistema d'Informazione Giuridica Nazionale (SIGN) orientato al cittadino (primariamente al cittadino debole) sotto tutti gli aspetti organizzativi e tecnico-informatici. Tra i primi, il più saliente è la formazione di una rete, accessibile a tutti e coestensiva al territorio italiano, di "giuristi condotti", di "giuristi in camice bianco" che stanno accanto ai terminali del SIGN e forniscono consulenza giuridica quasi gratuita, consentendo al cittadino di media cultura, se non di prescindere dai mediatori e decisori tradizionali, almeno di controllarli, di fronteggiarli da pari a pari forte del parere del SIGN. Tra gli aspetti informatici vanno segnalati, a livello documentario: il superamento dell'esoterismo superfluo, del "giuridichese", delle barriere linguistiche; la riduzione selettiva dell'eccesso di informazione, del "rumore", pur considerando attentamente non solo la letteratura specialistica alta ma anche la letteratura minore e la stampa di opinione4; la fornitura di abstract dotati dei requisiti di chiarezza, autenticità, rilevanza; e soprattutto il reperimento, "conversazionale", dell'informazione non solo e non tanto in base a ordinamenti semantici o dogmatici, quanto a partire dal problema giuridico concreto, dalla situazione di vita (ricordo l'esempio del "comprare la casa"). Quest'ultimo aspetto si collegava al già menzionato, decisivo Leitmotiv del primato dell'informatica decisionale-consulente sull'informatica documentaria. A evitare però lo scivolamento in una consulenza informatica "oracolare", con neoformazione di coaguli di potere tecnico, doveva provvedere il sistema integrato consulente-documentario, che permetteva all'utente di formarsi, volendo, un'opinione autonoma sul parere erogato dal SIGN; rimaneva comunque in piedi la salutare concorrenza tra SIGN pubblico e consulenti privati tradizionali, anch'essi ovviamente destinatari del servizio.
3. A questa prima prospettazione di un'informatica giuridica democratica non poteva logicamente non seguire un'esplicita Esortazione all'informatica giuridica metadocumentaria, apparsa infatti nel 1978 (l'anno dell'entrata in vigore della legge 194 sull'aborto e del mio passaggio dall'IDG all'Università Cattolica di Milano) come contributo al convegno sul tema L'informatica giuridica al servizio del paese promosso dal Centro elettronico di documentazione della Cassazione.
Segnalavo come scandalosa la sproporzione tra i miliardari investimenti pubblici in informatica documentaria e quelli, praticamente nulli, in consulenza-decisione giuridica automatica. Illustravo il progetto "Automa giuridico infortunistico" da me lanciato nel 1974, già operativo, pienamente conforme ai requisiti di democraticità formulati nell'articolo del 1975 e disponibile sia come programma "callido" (emulatore dell'uno e dell'altro avvocato) che come programma "candido" (emulatore o simulatore del giurista kantiano e del giudice probo). L'avevo immaginato come prototipo o capostipite di una serie indefinita di programmi casistici a servizio del cittadino; in realtà era rimasto solo. A spiegazione della scandalosa trascuratezza nei confronti dell'informatica giuridica metadocumentaria ipotizzavo interessi di ceto, l'ostruzionismo di categorie che potevano temere nell'automa (o nel collega chiamato a gestirlo, nel "giurista condotto" in camice bianco) "la minaccia a qualche privilegio economico o simbolico connesso al monopolio dell'informazione e all'esoterismo dei processi decisionali. O, in quasi opposta prospettiva, timore per la possibile formazione di un monopolio informativo nuovo, pubblico, per la "mutua giuridica" appunto, per il suo togliere alla comunità i vantaggi della libera professione giuridica, del rapporto fiduciario privato, del pluralismo di opinioni paritariamente confliggenti". Risolvevo nel senso della democraticità della concorrenza tra sistemi integrati già adombrata nel 1975. Infine, prendendo le parti del soggetto informatico debole esortavo neofoscolianamente gli italiani all'informatica giuridica decisionale-consulente e (per rifarmi sempre a quello stesso fatidico torno di anni) parlavo, neosavignianamente, di una vocazione del nostro tempo per l'informatica giuridica metadocumentaria.
4. Una volta stabilito il primato dell'informatica decisionale-consulente, il passo logico successivo era l'analisi informatica della scienza giuridica orientata alla decisione, scienza della quale, come ho detto, sostenevo già dal Saggio del 1967 e dall'edizione 1971 del Corso la natura non puramente logicoformale ma anche politico-valutativa, sviluppando i conseguimenti teorici di Gény, della Freirechtsbewegung e della Interessenjurisprudenz. E infatti usciva in "Jus" 1982 l'articolo Informatica e criteri ''politici'' o valutativi della decisione giuridica, pubblicato anche in versione inglese5, che dopo avere distribuito le operazioni della scienza giuridica positiva nelle tre fasi, tutte problematiche sul piano formale, del riconoscimento, dell'interpretazione e dell'espansione logica del diritto vigente, si concentrava sulla fase ulteriore della scelta (resa obbligatoria dal divieto del "non liquet") tra le soluzioni risultate logico-giuridicamente equipossibili entro il diritto positivo vigente. Scelta delicatissima in un clima di egemonia del non cognitivismo assiologico: come fondare oggettivamente giudizi di valore? Come avventurarsi non a caso, non arbitrariamente, nello spazio del valutativo, del "politico", del "diritto libero"? I dubbi filosofici della giurisprudenza non potevano non trasmettersi all'informatica, sfidata - in quel clima - a farsi informatica dell'impalpabile, a programmare impossibili automi del valore, robot del vero bene.
Non sto ora a ridescrivere i diversi algoritmi riduttivi proposti per eludere l'incontro col problema supremo della scelta della soluzione "universalisticamente migliore", mi limito a nominarli: l'algoritmo casualista "di Bridoie", gli algoritmi particolaristici "dell'avvocato", "della sentenza pro amico", "del giudice venale", "del giudice di parte", "del giudice rivoluzionario". In quasi tutte queste estreme semplificazioni sembrava comunque restare "un piccolo ma decisivo segmento sottratto alla formalizzazione". Ma ben più arduo era pensare un'informatica universalistica, ossia, per l'informatico giuridico fattosi previamente filosofo generale, algoritmicizzare i processi attraverso cui viene scelta la soluzione più "buona" o "giusta", kantianamente adottabile come massima di una legislazione universale. Nella fase finale della scelta il giurista non legalista-logicista, il giurista critico è chiamato, secondo la felicissima formula dell'articolo 1 del codice civile svizzero redatto dal giusliberista Huber, a decidere "secondo la regola che egli adotterebbe come legislatore". Possiamo dire che l'informatica decisionale-consulente si trova qui di fronte all'algoritmo di Huber.
Il seguito dell'articolo è troppo complesso per poter essere qui ripercorso in dettaglio; mi limito a metterne in luce alcuni punti salienti.
Uno è che il noncognitivismo assoluto può - sia pure con cautela - superarsi. Almeno alcuni giudizi etici sembrano godere di un solido fondamento razionale. Ma complementarmente l'articolo metteva in luce che forse è impossibile, nella ricerca obbligata della soluzione assolutamente ideale, escludere del tutto la necessità di "esperienze evidenziali", e che "l'evidenza non si analizza e non si simula".
Un altro punto saliente è che la fase del reperimento della soluzione ideale può essere suddivisa in almeno due sotto-fasi. La prima è quella della consultazione dei sistemi valutativi più autorevoli presenti - e a volte drasticamente confliggenti - nella moderna società pluralistica. La seconda è quella della scelta tra i risultati della consultazione, che possono essere diversi anche all'interno di uno stesso sistema, perfino in un sistema autoritario altamente formalizzato come per esempio il sistema "morale cattolica".
Un terzo punto saliente è che, contro l'apparenza prima facie, un giurista molto "politicizzato" non è meno, è anzi più informaticizzabile del giurista dubbioso/ neutrale: perché deriva la sua scelta universalistica di diritto libero da uno solo - quello ritenuto "il vero" - dei sistemi valutativi concorrenti e magari, in quel sistema, da un sotto-sistema quasi completamente formalizzato (mi viene in mente, riprendendo l'esempio appena fatto, un giudice cattolico appartenente all'Opus Dei). L'automa giuridico dubbioso/neutrale, "aperto", dovrà consultare imparzialmente tutti i sistemi come sistemi per lui non decisionali ma documentari e finalmente scegliere la soluzione universalisticamente "vera", "migliore", in base a una sua esperienza assiologica evidenziale che non si vede, per ora almeno, come inoculargli. Concludevo il mio survey con una sintesi che trovo ancora efficace: "il programma è un sonnambulo che cammina perfettamente; al momento di "vedere", di "svegliarsi", si ferma".
Tutto questo, nel 1982, si riferiva al giurista e non al legislatore, sembrandomi troppo fantapolitica l'ipotesi della legittimazione costituzionale di un programma che sostituisse Parlamento e governi. Ma se, come abbiamo visto, l'automa giurista/giudice è chiamato dall'algoritmo di Huber a decidere "secondo la regola che egli adotterebbe come legislatore", ebbene l'automa giurista/giudice non può non contenere come quarta fase il programma "legislatore". Ma allora, astraendo dai problemi di legittimazione, non è tecnicamente impensabile costruire, accanto o a monte del giurista/giudice, il legislatore automatico.
5. Proprio quest'ultimo passo veniva infatti esplicitamente compiuto con il mio quarto studio, Verso un sistema esperto giuridico integrale, che inaugurava il convegno internazionale dallo stesso titolo organizzato a Firenze nel dicembre 1993 per celebrare il venticinquennio dell'IDG6. Esso intendeva "fornire il quadro teorico-giuridico di riferimento per l'informatica giuridica più ambiziosa pensabile: quella che si propone la simulazione dell'intero processo giuridico". Processo di cui delineava un diagramma di flusso articolato in qualcosa come una ventina di programmi tutti altamente impegnativi, con in testa appunto la sequenza dei programmi ("giurista", "filosofo", "sociologo", "politico", "ufficio legislativo") necessari a formare il programma "legislatore".
Iconoclastia? Beh, un po' sì. L'idea di mandare informaticamente a casa, nel pieno rispetto della democraticità dell'informazione giuridica, non solo - come previsto già col SIGN del 1975 - migliaia di avvocati, giudici, notai, funzionari, studenti di Legge, professori di materie giuridiche, ma - ora - anche migliaia di democraticamente eletti rappresentanti del popolo sia a livello nazionale che regionale e locale e in particolare centinaia di deputati e senatori, questa idea era tentante (e tentante anche perché tecnicamente non implausibile) ma toccava, per così dire, un nervo sacrale.
Tuttavia non innovava radicalmente rispetto a quanto conseguito nei saggi precedenti. Veniva chiarito infatti che tra l'attività del giurista e quella del legislatore non c'è eterogeneità essenziale: il giurista, lo abbiamo visto, compie anche attività di legislatore, e reciprocamente il legislatore serio non opera in condizioni di tabula giuridica rasa: modifica o integra sempre un corpus normativo estremamente complesso che preesiste e non può essere ignorato. Tanto che nel diagramma di flusso del SEGG (Sistema Esperto Giuridico Globale) l'attività del legislatore automatico iniziava con i ben noti programmi di riconoscimento, interpretazione, elaborazione-espansione logica del diritto vigente costitutivi dell'automa "giurista". In sintesi, o meglio "in buona sostanza": il legislatore debutta come giurista e il giurista conclude come legislatore. Chiaramente i rispettivi prodotti finali appartengono a generi letterari diversi: per esempio, al giurista accademico e al giudice o al consulente non occorre se non analogicamente un programma "ufficio legislativo". Ma di questo il SEGG teneva conto, come pure distingueva tra la norma generale prodotta dal legislatore o dalla dottrina e la norma individuale prodotta dal giudice o dal consulente, tra la norma giurisdizionale individuale (la sentenza) e la norma giurisdizionale generale (il precedente).
La relazione del 1993 confermava e integrava la sequenza ordinata dei miei tre contributi precedenti. L'integrava, oltre che con la strutturazione dell'intero impianto, del SEGG appunto, con alcuni programmi ancora non menzionati e alcune nuove tesi qualificanti. I programmi inediti erano il già menzionato "ufficio legislativo" (parente della legimatica), rifinitore tecnico-giuridico e redazionale del progetto politico-giuridico, il "massimario", trasformatore della sentenza in precedente attraverso l'enucleazione della ratio decidendi, e il "diagnosta" o "diagnostico" (parente dell'informatica medica), sussuntore di un insieme fattuale f ancora informe sotto una fattispecie tipica F contemplata da una norma giuridica. Le tesi qualificanti nuove erano:
1) l'opzione esplicita per il realismo giuridico, che portava alla decisività, in tema di riconoscimento del diritto vigente, di un programma "sociologo del diritto", accertatore dell'effettività statica e dinamica; 2) l'opzione metalogica per il rigore, che interdiceva all'informatica giuridica di blandire la pseudologica della giurisprudenza logicista formalizzando il fuzzy, condannava cioè il possibilismo in metalogica, l'intrapresa mistificante di rivestire con panni informatici le pudende logiche dei metodi interpretativi comunemente praticati e di motori inferenziali di uso continuo come l'analogia; dicevo che se ci sono valori che l'analisi logica e computazionale può introdurre nel processo giuridico, sono proprio quelli della correttezza e - in caso di scorrettezza - della trasparenza della scorrettezza; 3) confermavo esplicitamente la necessità della computazione filosofica (sic!), ma anche l'asserto che "politicità" non significa necessariamente non-calcolabilità; 4) infine sostenevo con forza che il SEGG, per emulare/simulare il processo giuridico dall'A alla Z, doveva in ogni sua fase e programma occuparsi dello stesso argomento. Dicevo che "il SEGG o è monotematico o non è", e dimostravo che lavorando per temi diversi si hanno sprechi assurdi, basti pensare al non coordinamento tematico tra programmi per la redazione formalizzata della norma generale e programmi per la sua interpretazione, o a quello tra informatica documentaria e informatica metadocumentaria.
Disegnato l'informonstrum, m'incombeva ancora descrivere il suo prevedibile impatto sulla nomodinamica e darne un giudizio di valore. Sul piano descrittivo era ovvio che il SEGG avrebbe mandato a casa tanta gente. Sul piano dei valori mostravo che il SEGG, sfoltendo gli operatori giuridici umani a tutti i livelli, non avrebbe leso senz'altro la certezza del diritto, la giustizia, la democrazia. In merito a quest'ultima osservavo che ci sono almeno due democraticità, quella della rappresentanza e quella della competenza. Il SEGG avrebbe rispettato la democraticità della competenza; e nell'ipotesi - realistica - della sua non esclusività, della sua concorrenza pubblica con il Parlamento e con i sistemi giudiziario e amministrativo umani, avrebbe magari contribuito a ridurre croniche inefficienze e lentezze, a dissolvere grumi di vaniloquio mediatico e corruzione in sede politica, di potere tecnico in sede forense e amministrativa. Concludevo: "Se non è auspicabile un monopolio giuridico del SEGG, è auspicabile un monopolio giuridico degli umani-troppo-umani insidiato dal SEGG".
Fermiamoci un momento a contemplare il panorama dischiuso dall'esperimento intellettuale SEGG: un automa-Parlamento che "legifera" a getto tempestivo facendo pubblicamente concorrenza ai suoi chiassosi rivali umani, alla produzione normativa degli storici Palazzi; e connessi con lui tanti mega-automi (un automa-dottrina, un automa-magistratura, un automa-avvocatura, un automa-notariato, un automa-P.A.) suddivisi ognuno in migliaia di miniautomi/programmi documentario-decisionali/consulenti coestensivi all'intero territorio occupato dai problemi giuridici concreti, innumerevoli nipotini dell'Automa infortunistico IDG del 1975...
Oggi 2014 devo dire che, pur trovando (o proprio perché trovo) tuttora convincenti se non inoppugnabili le idee 1967-1993 del mio predecessore Luigi Lombardi teorico dell'informatica giuridica, non so bene se il SEGG, loro coerente, logicamente necessario compendio e passaggio al limite, è "il" Programma dell'Informatica Giuridica per tutti i tempi a venire o la sua (dell'informatica giuridica) reductio ad absurdum. Forse con l'età si diventa epistemologicamente titubanti.
6. Dal 1993 il configuratore di sistemi informatico-giuridici praticamente tace. Un po' prima, nel 1990, aveva rifatto capolino il filosofo puro dei primordi cibernetici interrogandosi, nell'introduzione a un'ampia ricerca interdisciplinare, sul tema della produzione di soggettività artificiali dotate o di semplice coscienza-sentience come gli animali o addirittura di coscienza spirituale come (si dice) gli umani7. La risposta sulla fattibilità era dubitosa; quella sulla meritevolezza di tutela delle soggettività artificiali, sui loro diritti civili o naturali, era invece positiva e articolata. Particolarmente approfondita era la discussione sulla liceità etica del produrre entità dotate di spiritualità ma non di immortalità, soggetti morali assoluti in grado di sottrarsi mediante suicidio alla giustizia divina; appariva conveniente che Dio le dotasse di un'anima simile a quella creata ex nihilo e infusa nell'embrione umano con destino escatologico di salvezza o perdizione; rimando gli eventuali incuriositi al testo originale.
7. Nel 2007 uno dei due-tre decani assoluti dell'insegnamento universitario dell'informatica giuridica, Giancarlo Taddei Elmi, pubblica la seconda edizione del suo Corso di informatica giuridica e mi chiede di presentarlo. Inizialmente la materia, intesa come propaggine feconda della teoria generale del diritto, era stata da lui insegnata in corsi specialistici afferenti alle cattedre da me ricoperte presso l'Università di Firenze e l'Università Cattolica di Milano; più tardi si è resa disciplina autonoma anzi ministeriale. Nel 2007 Taddei la insegnava ininterrottamente dal lontano anno accademico 1973-74, quello della mia chiamata alla direzione dell'IDG, cioè da ben 34 anni; il lungo tempo trascorso gli consentiva di tracciare un panorama anche diacronico dei metodi, dei sistemi, degli impatti sociali dell'informatica giuridica. Io, come osservatore ormai esterno, segnalavo nella presentazione due vicende parallele quasi paradossalmente opposte nella vita del diritto, l'una e l'altra da me seguite e (nel mio piccolo) promosse: quei decenni hanno visto innovativamente e fortemente affermarsi da un lato l'informatica giuridica, dall'altro la risoluzione alternativa delle controversie, diciamo - con un termine semplificante - la mediazione. Il paradosso consiste nel fatto che siano cresciute di pari passo la de-umanizzazione e l'umanizzazione: l'informatica giuridica tendendo, come al proprio limite, alla completa formalizzazione-meccanicizzazione del diritto, con eliminazione del giurista umano in quanto umano; la mediazione invece tendendo, come al proprio limite, alla completa informalizzazione del trattamento del conflitto, con eliminazione del giurista umano in quanto giurista; l'una e l'altra comportando, al limite, la scomparsa del giurista umano, reso un relitto duplicemente obsoleto. Nella presentazione provavo a sviluppare lo scenario estremo: le due tendenze innovative giungono a coprire interamente il campo, competendo tra loro ma convergendo nel mandare legislatori, giuristi e giudici in pensione: di nuovo qualcosa che mi sembra oscillare tra indicazione di conseguenze difficilmente eluttabili e reductio ad absurdum.
8. Nel 2011 catalizzo una riunione all'ITTIG per sostenere la necessità di far partire, accanto alla bioetica ormai affermata anzi dilagante, una roboetica, intesa come l'etica dei rapporti con i programmi e i robot. Non entro, per brevità, nei dettagli della proposta; mi limito a constatare che finora le iniziative di sviluppo sembrano scarse confrontate alla complessità e rilevanza dei problemi. Alcuni li abbiamo già incontrati. Tutti sono resi urgenti dal fatto che il mondo umano diventa sempre più, per mutuare un termine usato da Amedeo Santosuosso nel suo Diritto, scienza, nuove tecnologie (Cedam 2011), un ambiente tecnologico, un Ambient Intelligence. Come non improvvisato filosofo morale mi dichiaro disponibile e propenso a proseguire il difficile discorso.
9. Cosa pensare io oggi, col senno del poi e del diverso di un pioniere non molto seguito e con l'esitante senno del futuro di un pioniere non molto aggiornato, sugli sviluppi teorici e operativi reali dell'antica e ancora giovanissima giuscibernetica? Credo che la risposta migliore sia: leggere attentamente il fondamentale volume in cui questo riepilogo-prospetto ha l'onore di essere accolto.
1 L. LOMBARDI VALLAURI, G. TRAUTTEUR, Giurisprudenza e cibernetica, in "Rivista internazionale di filosofia del diritto", IV Serie, 1969, pp. 423-439. Le citazioni in questo paragrafo fatte con la sola pagina si riferiscono a quel contributo.
2 Il passo si trova ora nel Corso, II ed. (2012), p. 201; la prima edizione completa, del 1981, che assorbiva quella parziale del 1971, contiene una nota del 1980 che attribuisce la stesura del paragrafo al 1970, quindi allo stesso anno dell'articolo citato sopra, n. 1, che sebbene apparso in un numero della rivista datato 1969 deve risalire al 1970.
3 Si veda il paragrafo III.3.4 in L. LOMBARDI VALLAURI, Riduzionismo e oltre. Dispense di filosofia per il diritto, Padova, Cedam, 2002 (che è anche il libro con in copertina la foto della mia ultrasessantenne macchina da scrivere).
4 Avevo avviato nel 1975 un archivio elettronico gius-giornalistico divenuto poi lo STOP. Cfr. la mia prefazione (Un archivio da non archiviare), dolorosamente lucida sull'indecenza del dibattito politico italiano quanto fermamente ispirata al valore della democraticità di un sistema informativo elettronico non solo tecnico-giuridico, a T. BIGAZZI, M. RAGONA, L. SERROTTI, P.L. SPINOSA, S. STOPPOLONI, STOP. Il dibattito politico-giuridico sulla Stampa d'Opinione italiana. Abstracts 1975-1993, Milano, ARS Edizioni informatiche, 1996, e in www.ittig.cnr.it/Ricerca/Testi/stoppref.htm.
5 Informatics and ''Political" or Value Criteria of the legal Decision, in C. Ciampi (ed.), "Artificial Intelligence and Legal Information Systems', Amsterdam, North Holland, 1982, pp. 61 ss.
6 Sta in C. Ciampi, F. Socci Natali, G. Taddei Elmi (a cura di), Verso un sistema esperto giuridico integrale. Esempi scelti dal diritto dell'ambiente e della salute, Atti del Convegno celebrativo del venticinquennale dell'Istituto (Firenze, 1-3 dicembre 1993), Tomo I, Padova, Cedam, 1995, pp. 3 ss., e in "Jus", anno XLII, 1995, maggio-agosto, pp. 207 ss.
7 L. LOMBARDI VALLAURI, Abitare pleromaticamente la Terra, in AA.VV., "Il meritevole di tutela'', Studi per una ricerca coordinata da Luigi Lombardi Vallauri, Milano, Giuffrè, 1990, pp. LXXXIII-LXXXVI.