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UNITÀ TEMATICA N. 13
FILOSOFIA DELLA RELIGIONE
E DINTORNI

La religione e la filosofia affrontano i problemi ultimi di senso del mondo e della vita. La filosofia della religione studia razionalmente i metodi e le pratiche della religione in generale e delle religioni storiche, a partire dalle tre abramitiche

Autore

Luigi Lombardi Vallauri

LAICITA' E STATO DI DIRITTO

Atti del IV Convegno di Facoltà, Università Milano Bicocca, Febbraio 2006

 

Inviato il 15/10/2020




0. Meditare laicamente l'evento che si svolge in questa aulamagna (esistono aulamagne nell'universo).

 

1.   Radici, retaggi, valori: il principio di laicità come "valore universale".

                                                                            L'idea laica in sé è del tutto falsa

                                                                                    (Simone Weil, Attesa di Dio)

Pochi compiti intellettuali mi rendono sterile come quello di scrivere sulla laicità. E' il rivendicare, che umilia. Mi dico: possibile che in questi anni 2000, nel cuore di questa mirabile unione europea conquistata su le macerie, le fiamme, i reticolati rugginosi delle carneficine di religione e di nazione, sia ancora necessario rivendicare laicità? Non è ormai inaugurato per sempre il tempo di esercitarla? Ma esercitarla, come poi dirò, è semplicemente, sul piano personale, vivere secondo i sensi risvegliati, le emozioni alte, la realistica realizzante ragione; vivere secondo l'umano non impedito. Solo perché ci sono invasivi sommi-sacerdoti e scribi, e fobici identitari atavismi, e politici teo-conniventi, può ancora non bastare (almeno in Italia, il Paese oggi forse più clericalizzato del pianeta)[1] il libero, ovvio esercitarla, può rendersi necessario anche l'avvilente rivendicarla.
Il Preambolo della (in itinere) Costituzione europea, scartando opportunamente la terminologia mediatica e passatista "radici"[2], distingue i "retaggi" o "eredità" (fr. "héritages") europei e i "valori" universali che da quei retaggi locali si sono sviluppati. La lista dei valori ne comprende cinque: diritti della persona, libertà, democrazia, uguaglianza, Stato di diritto. La lista ricompare nell'art. I-2 e, con qualche modifica di stesura, nel Preambolo della Carta dei diritti fondamentali che forma la Parte II della Costituzione.
La società voluta nella Costituzione è caratterizzata da pluralismo, non-discriminazione, tolleranza (art. I-2); tra i diritti fondamentali risaltano la libertà di religione o di convinzione (II-70), la non discriminazione fondata sulla religione o le convinzioni (II -81), il rispetto della diversità religiosa e culturale (II -82).
Tutto questo equivale a dire che la Costituzione europea sancisce solennemente come valore universale, e vincola comunque a rispettare incondizionatamente in Europa, il principio di laicità. Principio già ascritto a quelli "supremi" dalla giurisprudenza della Corte costituzionale italiana[3]: con la conseguenza che leggi ordinarie, norme pattizie (concordati, intese) e perfino singole parti della Costituzione potrebbero, se antinomiche a quel principio, rivelarsi anticostituzionali ("verfassungswidrige Verfassungsnormen"). Il principio di laicità appartiene quindi a un "nuovo sacro" giuridico o a qualcosa come una religione civile degli europei che nessuna religione confessionale potrebbe, dentro i confini dell'Unione e già dell'Italia, legittimamente contrastare. Se i testi costituzionali citati hanno ragione, lo Stato laico appartiene ai beni politici o politico-giuridici più preziosi per l'intera umanità.
E' essenziale osservare - precisando quanto ho detto all'inizio - che questo bene è una forma di Stato e non una forma di pensiero, non una "convinzione". I testi non dicono che è un bene, che è un valore universale, pensare da laici. Non prendono partito tra pensiero religioso e pensiero laico. Sanciscono la stessa esatta meritevolezza di tutela per il pensiero religioso (per ogni tipo di pensiero religioso) e per il pensiero laico (per ogni tipo di pensiero laico). Il valore universale è lo Stato, non il pensiero, laico.
Bisogna dunque distinguere una visione laica del mondo e una visione laica dello Stato, tra loro indipendenti. La prima si contrappone alle visioni del mondo rivelate da una specifica religione. La seconda si contrappone alle visioni dello Stato come ordinamento integralista, e ha due versioni: lo Stato laico-laicista, che impone ai cittadini una visione del mondo laica; lo Stato laico-liberale, che non impone ai cittadini una specifica religione e nemmeno una visione laica del mondo. Lo Stato integralista e lo Stato laicista sono (in senso popperiano) "chiusi"; lo Stato laico-liberale si contrappone a entrambi come "aperto". Il valore universale o il principio supremo o la religione civile di cui abbiamo parlato concernono, come è chiaro, lo Stato laico-liberale. Il laico in quanto individuo sta con lo Stato nei seguenti due possibili rapporti: è per lo Stato laicista (lo chiamerei "un laico laicista") o è per lo Stato laico-liberale (lo chiamerei "un laico liberale"). L'uomo di religione - preferisco questo termine a "credente" - sta con lo Stato nei seguenti due possibili rapporti: è per lo Stato integralista (lo chiamerei "un integralista") o è per lo Stato laico-liberale (lo chiamerei "un uomo-di-religione liberale"). Come si vede, il laico può essere sia laicista che liberale, l'uomo di religione può essere sia integralista che liberale. Tra laici e uomini di religione può esserci convivenza armoniosa solo se entrambi sono liberali e solo in uno Stato laico-liberale: non se uno è laicista e l'altro integralista, non in uno Stato laicista o in uno Stato integralista. Tra due uomini di religione appartenenti a religioni diverse può esserci convivenza armoniosa solo se entrambi sono liberali e solo in uno Stato laico-liberale; non se uno dei due vive in uno Stato integralista tributario della religione dell'altro. Quindi sia tra laici e uomini di religione, sia tra uomini di religione appartenenti a religioni diverse, può esserci pieno accordo nel volere la stessa forma di Stato, quella generata dal principio di laicità. Posso citare la mia esperienza: sono cresciuto in una famiglia profondamente, pubblicamente cattolica; ho da una quindicina d'anni una visione del mondo laica; ho da sempre, come forse tutti i cattolici della mia famiglia, una visione dello Stato laica-liberale.
Il fatto che la visione del mondo e la visione dello Stato sono tra loro indipendenti suggerisce l'idea osée che esista forse anche una terza cosa: una visione del mondo propria dello Stato laico-liberale, non necessariamente identica in ogni punto alla visione del mondo laica nel senso consueto di visione del mondo propria dei laici. In omaggio all'indimenticabile parallelismo istituito nei libri ottavo e nono della Repubblica di Platone tra l'uomo piccolo, l'individuo, e l'uomo grande, lo Stato, parallelismo per molti tratti ancora godibilissimo e suscettibile di sempre nuove puntute calzanti applicazioni all'attualità, ivi compresa l'impudica attualità italiana[4], proverò a delineare prima la visione del mondo laico in contrasto con quella religiosa, poi l'ipotetica visione del mondo propria dell'“uomo grande” Stato laico-liberale in contrasto con quella propria dell'“uomo grande” Stato chiuso, sia esso laicista o integralista.
 
 

2.   La visione del mondo dell'uomo laico: realismo e mistica. Quasi tutto l'umano è laico.

                                                                       Il nome è l'ospite della realtà

                                                        (Chuang-tzu, o Il vero libro di Nan-Hua)

 
L'atteggiamento laico di fronte alla realtà - scelgo un esempio particolarmente vicino e visibile: Bobbio[5] - è connotato anzitutto, per me, dal realismo; è il realismo. Con realismo intendo la capacità di riconoscere l'indipendente dalle menti umane, il resistente alle loro preferenze e alle loro modellazioni, distinguendolo dal prodotto di fantasia o di auspicio, dal proiettivo. L'indipendente/resistente è di varia natura: c'è quello logico-matematico, quello empirico-fisico, c'è lo storico, l'etico, a mio parere perfino l'estetico.
E il realismo non è solo scientifico: sono suoi ingredienti anche il senso dell'humour (particolarmente dell'auto-humour), l'esercizio del corpo e dei sensi, la pratica di mondo, la frequentazione di culture altre, la disponibilità al dialogo, la vivacità dell'immaginazione intellettuale, l'esperienza di viaggio e di avventura, la ricchezza degli affetti, il coraggio (segnatamente nello sciogliere gli aggrappamenti identitari), la curiosità instancabile... Ma in ogni caso il realismo è sempre anche, e anzitutto, scientifico, non c'è realismo senza, tanto meno contro, la scienza, lo spirito scientifico, la pratica scientifica.
Nessun costruttivismo può vanificare la distinzione tra realtà indipendenti/resistenti e realtà proiettive. è chiaro che esistono sistemi nei quali si può dimostrare l'esistenza degli angeli e la differenza tra l'equipaggiamento alare di un cherubino e quello di un serafino: l'angelologia tomista è una scienza formale dello stesso genere e rigore di una geometria; ma è altrettanto chiaro che si incontrano i poligoni, o i numeri naturali, diversamente da come si incontrano gli angeli o le anime purganti, anche posta un'interpretazione costruttivista o intuizionista delle matematiche[6].
Se accettiamo che la visione laica non è altro che la visione realistica, ci accorgiamo subito dell'estensione e ricchezza enormemente maggiore del mondo laico rispetto al mondo religioso. Salvo il sottile spicchio costituito da uno tra i mondi soprannaturali creduti, mondo interamente fatto di entità che nessuno ha mai potuto indicare a terzi, nemmeno a terzi anch'essi credenti in quel mondo, i restanti quasi 360 gradi del mondo umano (materiale, intellettuale, esperienziale) sono cosa laica. Il cielo e la terra, le stelle e gli oceani, le foreste e le stirpi animali sono tutti corpi laici, la mente matematica, la mente fisica-sperimentale o fisica-teorica, la mente biologa o fisiologa o medica, la mente cosmologa o paleontologa, la mente architetta o ingegnera o tecnologa, la mente alpinistica, grande-nuotatrice[7], esploratrice, avventurale, meditativa, logica, poetica, pittorica, musicista, erotica, zoofila, floricultrice, puericultrice, gastronomica, enologica, parentale, amicale, patriottica, nostalgica sono tutte menti laiche. Praticamente tutto l'essere è laico: anche Dio, qualora esistesse non solo per i credenti, sarebbe non religioso ma laico[8]. Forse manca un'enciclica laica "Mentis non religiosae splendor".
In altri miei scritti ho mostrato la non rilevanza o la non utilità della religione per quasi tutto l'umano, ivi compresa l'etica[9]. Qui tengo a sottolineare, ancora una volta, che l'atteggiamento laico-realistico non implica in nessun modo una diminuzione di spiritualità, diciamo pure di mistica, se con mistica intendiamo l'incontro diretto, esperienziale, emozionato (ma non solo emozionale!) con l'altamente significativo; l'abbandonarsi ben svegli alle "sorelle maggiori dell'anima", alle possibilità esperienziali supreme consentite e promesse a quella meraviglia cosmica che è il corpo-mente umano[10]. Il territorio della mistica laica è esteso quanto il mondo laicamente/realisticamente esperibile. Limitandomi a quella peculiare, asciutta, cognitiva esperienza mistica che è la realizzazione ontologica[11] e a un celebre quanto stringato aforisma di Wittgenstein, vi sottopongo un rudimentale ma probante sillogismo: se "che il mondo è" è un dato laico, e se "che il mondo è, è il mistico", allora un dato laico (aggiungo: il più laico di tutti) è il mistico. O almeno (correggerei così l'aforisma di Wittgenstein, se interpretato in senso escludente): è un - ma forse il primo e l'ultimo, il fondamentale - mistico.
Dunque nell'atteggiamento laico bisogna concepire realismo e mistica come due componenti necessarie e inscindibili; non solo non antitetiche, ma che anzi si potenziano a vicenda, la crescita in conoscenza nutrendo la spiritualità, la crescita in spiritualità motivando la conoscenza. Sono i due riflessi essenziali dell'unico tessuto cangiante.
Per chi accetta questo modo di vedere diventa difficilmente ammissibile l'implicita arroganza della terminologia credente-ateo, credente-non credente, se intesa come allusiva a un rapporto pienezza-privazione (l'ateo come il privo di Dio, il non credente come il privo della fede) o a un rapporto fondatezza-infondatezza (l'ateo come quello cui incombe l'onere di fondare la propria posizione, e che è gettato in un mondo senza fondamento) o addirittura a un rapporto giustificazione-colpa (il credente come il giusto, il non credente come colpevole di non credere). Fermo restando il pathos struggente e soggiogante che può emanare - nei casi migliori - dall'incontro con entità quali "Dio" o "Cristo", non si può certo escludere che ciò di cui l'ateo è privo sia un'illusione, che l'onere della prova incomba tutto a chi crede in entità superiori le quali si comportano come se esistessero solo nella mente di chi ci crede, che i "Dio" conosciuti abbiano spesso più bisogno di giustificazioni morali degli atei coscienziosi.
La situazione reale non è che esistono due mondi paritari, nel senso che l'uomo di religione possa dire: tu laico hai il tuo mondo, io ho il mio. La situazione è che ci sono mondi che esistono solo per chi ci crede (Bobbio li chiamava i sopramondi), sostentati da un mondo che esiste anche per chi (il pazzo) non ci crede e per chi (l'uomo di religione) crede in mondi che esistono, osservabilmente, solo in chi ci crede. E infatti i non pazzi che credono in mondi che esistono osservabilmente solo nella mente di chi ci crede, tutti credono anche nel mondo che esiste anche se uno non ci crede. I mondi religiosi sono ospiti del mondo laico e non viceversa. Il padrone di casa è il laico. è un po' vero, crocianamente, che i laici occidentali non possono non dirsi cristiani; ma è enormemente più vero che i cristiani non possono (pena la perdita della salute mentale) non dirsi laici.
Possiamo allora riprendere in modo un po' più aggressivo la questione della terminologia "credenti-non credenti", insinuata surrettiziamente dai "credenti" e recepita masochisticamente da molti "non credenti". A questo punto si manifesta non solo come arrogante, ma come impropria. Si presta a essere rovesciata. Mi sembra rispecchiare meglio la situazione reale una terminologia di segno opposto, che propongo artigianalmente.
Si potrebbero chiamare "creduli" quelli che asseriscono l'esistenza indipendente dalla mente umana di entità che si comportano come se esistessero solo nella mente di quelli che ci credono.
L'atto dei creduli potrebbe chiamarsi "credenza".
E si potrebbero chiamare "lucidi" quelli che non asseriscono, ecc., pur non nascondendosi il baratro dei problemi "ultimi" lasciati aperti dalla ragione. L'atto dei lucidi potrebbe chiamarsi "realismo realizzante", "apofatismo laico"[12]. Riserverei il termine "credenti" a una categoria minoritaria di uomini di religione che non so se classificare come un sottoinsieme dei creduli o come un insieme a parte. Assillati dal realismo dei sensi e della ragione, consapevoli dell'azzardo di affermare gli oggetti del loro credo, vivono il pensiero laico non come uno straniero morale da compatire e convertire o da temere e possibilmente distruggere, ma come un concittadino o un coinquilino interiore, anzi come un legittimo insopprimibile altro-io, un inquietatore accettato, consultato. L'atto dei (rari!) credenti autentici è la "fede" vissuta nel realismo realizzante, è la vita che si protende a un Oltre improbabile e dubitato nella notte oscura dei sensi e dello spirito. Il credente è quasi più vicino al laico lucido che al correligionario credulo, come del resto il laico lucido è quasi più vicino al credente apofatico che all'ateo parrocchiale. Apofatici di tutto il mondo unitevi.
Un'altra terminologia abbastanza paritaria per sostituire la terminologia credente-ateo / credente-non credente potrebbe essere teista-non teista. "Teista" è più partigiano e ideologico di "credente", quindi relativizza. Resta il difetto di una definizione via "non", che sa di privativo o di minore; e resta che forse né credenti né laici lucidi gradirebbero essere visti come appartenenti a un ismo.
La ricerca di una terminologia paritaria non deve tuttavia lasciare l'impressione che per me il pensiero laico e il pensiero religioso abbiano identico rango in termini di realismo. Il pensiero laico è, in termini di realismo, più serio. I credenti sono certo più seri dei creduli, ma forse solo come i più seri tra i creduli.
Fin qui la visione laica del mondo, inscindibilmente realismo e spiritualità.
 

 

3.   La visione del mondo dello Stato laico. Minima logica della tolleranza. Stato della coscienza e Stato della verità.

 

                                                            tantum religio potuit suadere malorum

                                                                           (Lucrezio, De rerum natura)

 

Dopo la visione laica dello Stato (§ 1) e la visione laica del mondo (§ 2), è ora nostro oggetto d'indagine la visione del mondo dello Stato laico.
Con Stato laico intendo, come già chiarito, lo Stato laico-liberale, quello che garantisce la pacifica convivenza e la non discriminazione tra i cittadini quali che siano le loro convinzioni in materia religiosa. E quindi garantisce sia la libertà delle religioni che la libertà dalle religioni, tutela sia le visioni religiose che le visioni laiche del mondo. Proviamo a descriverlo come un soggetto pensante, diciamo pure come un filosofo.
Anzitutto, lo Stato laico è un filosofo che ama la pace. Non è amore banale. Chi legga un libro come Q di Luther Blissett sulle guerre di religione tra cristiani nell'Europa del Cinquecento si rende conto di quantum religio potuit suadere malorum, si ritrae inorridito di fronte a "questa rissa cristiana"[13], di fronte alla prospettiva di un mondo insanguinato e sfregiato dagli odii teologici lasciati a se stessi. Senza bisogno di essere un Leviatano, lo Stato laico interpone la sua forza legittima nel sempre nuovamente divampabile bellum omnium religionum contra omnes.
Ma la pace religiosa di Stato si potrebbe ottenere anche con un accordo tra teocrazie, con uno pseudo-pluralismo (in realtà, un plurimonismo) del tipo cuius regio, eius religio, sostituendo alla guerra civile di religione l'imposizione-repressione religiosa totalitaria, come per esempio nel vecchio Stato pontificio o nella Spagna dei Re cattolici e dell'Inquisizione. È un regime forse meno vistosamente cruento, ma non meno violento e forse - come tipo di violenza - più laido. Lo Stato laico lo rifiuta: è un filosofo che ama non qualunque pace, ma quella pace che è pace nella libertà. Per lo stesso motivo rifiuta l'imposizione-repressione antireligiosa totalitaria, come per esempio l'ateismo di Stato della Russia staliniana.
Si potrebbe anche dire che il nostro filosofo, amando la pace nella libertà, ama l'intelligenza. Infatti "non è chi non veda" (parodio, "come ognun vede", il giuridichese) che le guerre di religione sono inani sul piano intellettuale, perché in nessun modo la vittoria delle armi assicura la verità delle idee. Basta pensare all'ipotesi di guerre matematiche o fisico-teoriche condotte schierando, anziché argomenti, aerei e corazzate. E lo stesso vale delle repressioni religiose interne: in nessun modo la distruzione materiale o amministrativa dell'eretico o del dissidente assicura la verità delle idee di chi li distrugge. Quello che ha ragione tra due matematici non è quello che batte l'altro a pugilato, né un rettore invalida le dimostrazioni di un suo insegnante di matematica togliendogli il posto.
Il regime alimentare dell'intelligenza è la discussione impregiudicata. Dunque lo Stato laico, difendendo la pace religiosa nella libertà, ama l'intelligenza.
Tuttavia lo Stato laico non "tollera" una pluralità di matematiche, di fisiche, di ingegnerie. Ci sono campi nei quali, se laicità equivale a pluralismo e tolleranza[14], lo Stato laico non è laico. Per capire meglio la sua filosofia ci occorre una, sia pure minima, logica della sensata tolleranza.
Non bisogna, ovviamente, confondere la tolleranza in senso proprio, cioè l'accettazione intellettuale di una pluralità legittima di convincimenti o di risultati argomentativi, con la tolleranza caratteriale come atteggiamento bonaccione, non iracondo, disposto al compromesso, paziente. Solo la prima ci interessa. Nemmeno è tolleranza il rispetto comunque dovuto al contraddittore in quanto persona umana titolare di diritti non intellettuali, diciamo "comuni" nel senso di lesi dai reati comuni. Non chiamerei tollerante o laico uno Stato che punisca il furto violento, la rissa, le percosse, il duello, l'omicidio, il danneggiamento, la diffamazione motivati dalla credenza religiosa (oppure che punisca meno gravemente questi stessi reati quando motivati dalla credenza religiosa).
Fatte queste precisazioni, si pone il problema di in quale area ha senso praticare la tolleranza intellettuale. è chiaro che non ha ugualmente senso in tutte le attività umane.
In matematica, fisica, biologia, informatica, cosmologia, paleontologia, neurologia, diciamo nelle scienze "esatte" (e nella valutazione dei prodotti tecnici che su questo tipo di scienze si fondano, diciamo delle rispettive ingegnerie) la pluralità di risultati è scandalosa e viene abbastanza presto riassorbita.
In storia, sociologia, economia, giurisprudenza, psicologia, diciamo nelle scienze "umane" o scienze della cultura (alle quali aggregherei, per semplificare, la critica letteraria e artistica e la filosofia) la pluralità di risultati, almeno sotto alcuni profili, è meno scandalosa e viene più lentamente riassorbita; sotto alcuni profili viene addirittura percepita come ricchezza.
Nelle arti la pluralità di risultati, almeno nell'ecumene culturale attuale, può dirsi obbligatoria e viene uniformemente percepita come ricchezza.
Nella sperimentazione psicospirituale in vista del conseguimento di stati coscienziali "alti" la pluralità di metodi e di risultati è accettata più o meno come in filosofia. Le pratiche meditative e ascetiche e i vissuti mistici convergono, comunque, molto più delle teologie.
Ai fini della nostra minilogica della tolleranza può bastare aver constatato che né le scienze né le arti rientrano nell'area di plausibilità da noi cercata. Si potrebbe, volendo, dire che gli scienziati "esatti" e gli ingegneri sono intollerantissimi e gli artisti e i fruitori d'arte tollerantissimi, ma sembra più appropriato dire che gli uni e gli altri, per opposti motivi, non sono né tolleranti né intolleranti, e dunque lo Stato che fa propria 1'“intolleranza” scientifica e la “tolleranza” artistica non è né intollerante né tollerante, né laico né il contrario di laico.
Invece le religioni, o gli uomini di religione, sono tipicamente, paradigmaticamente intolleranti. Vediamo perché. Direi: perché in quanto si asserisce, immancabilmente, "unica suprema rivelazione divina", ogni religione pretende uno status veritativo del tipo di quello delle scienze "esatte" anzi ancora superiore, status che, sottoposta a controllo razionale, mostra di non meritare.
Infatti tutte le volte che una religione dice qualcosa di controllabile da una scienza "esatta" o "umana" e si trova in contrasto con questa scienza perde sempre, e su quel punto si corregge; lo stesso accade nel confronto con la ragione filosofica - dalla logica e dall'ontologia all'etica. Ma non sono solo la scienza, la filosofia e in genere il realismo a smentire la hybris di ogni singola religione: sono anche tutte le altre religioni, tutte le rivali. Che nei suoi confronti usano molto volentieri la scienza e la filosofia. Qui c'è accordo pieno tra le religioni e il realismo laico: loro e lui pensano, di quella religione lì, esattamente lo stesso; ogni religione è laica nei confronti delle altre. Si può dire che dal punto di vista esterno c'è accordo generale laico; accordo al quale non si uniscono i soli adepti interni.
L'intolleranza nasce dalla sproporzione tra il preteso e il realmente saputo, tipica delle religioni.
Se così stanno le cose, il problema vero non è quello della tolleranza delle religioni verso il pensiero laico: devono tollerarlo per forza, almeno nella dose in cui, per sopravvivere esse stesse, devono tollerare la realtà. È vero che in molte culture la religione ha ridotto la conoscenza del reale ai minimi termini; ma quel minimo portava sulle spalle il mondo[15]. E nella nostra cultura la dose di realtà che le religioni sono costrette a tollerare ha raggiunto, per fortuna, i massimi storici. II problema vero è quello della tolleranza del pensiero laico verso le religioni.
Come può un laico, o anche un credente nel senso precisato sopra, "tollerare", per esempio, un fondamentalista cattolico che asserisce che il primo esemplare maschio della nostra specie viene dall'argilla e il primo esemplare femmina viene da una costola, che Noè, in età di oltre seicentomila anni, ha compattato tutti gli animali della terra in un barcone, che la ragazza ebrea mamma di Gesù è rimasta vergine in quanto fecondata da un'entità chiamata Spirito Santo, che tutti i bambini non battezzati e tutti i non cattolici anche se battezzati meritano l'inferno eterno, che l'ostia consacrata si trasforma, realmente/sostanzialmente non solo simbolicamente, in carne del corpo ebreo di Gesù, che il papa dev'essere ritenuto infallibile perché si è proclamato tale, e-tutto-questo-genere-di-cose[16]?
Ecco un altro tassello della nostra piccola logica della tolleranza: dirgli (al cattolico teocon) "occhèi-occhèi" non è vero rispetto, è il trattare a pacche sulle spalle uno con cui non si può ragionare. Solo per commiserazione o per quieto vivere o per un senso di rassegnata impotenza il laico può dire "occhèi-occhèi" al fondamentalista cattolico; riprendendo un'espressione di Alan Watts[17], "io non credo, io so" che discendo da nonno e nonna ominidi (e se mai da nonno Ichtyostega) e non da nonno Argilla e da nonna Costola; "io non credo, io so" che il papa non è infallibile e che sbaglia già solo pensando di corroborare la propria infallibilità proclamandola. Vero rispetto non è trattare il fondamentalista a pacche sulle spalle, è cercare di comunicargli (le strategie non sono semplici) adulto sentimento di realtà. Che si scontra con un dato psicologico quasi inamovibile: l'affanno, umanissimo, da cui nasce "un errore che cerco di ripetere/perché solo il farnetico è certezza"[18].
Passiamo dall'uomo piccolo all’“uomo grande” Stato laico. Avendo il monopolio legale della forza, esercita la tolleranza sia non usando la forza per imporre una religione di Stato, sia usandola contro gli intolleranti privati. Ma qual è la filosofia profonda del suo tollerare? A mio giudizio non può essere, ultimamente, una stima sincera della verità delle religioni. Infatti lo Stato laico fa ufficialmente proprie le pretese debite delle scienze, che promuove anche in prima persona in tutti i campi, e convalida solo le applicazioni tecniche sicuramente fondate sulle scienze; in genere, fa proprio il pensiero laico inteso come realismo, alla cui luce le pretese delle religioni, con i loro sopramondi inesperibili e per di più reciprocamente escludentisi, appaiono manifestamente indebite. Tuttavia non impone il pensiero laico in campo religioso come lo impone in campo scientifico.
Io credo che giungiamo qui al punto più emozionante del nostro percorso. Abbiamo potuto discernere nella tolleranza religiosa dello Stato laico una filosofia che preferisce la pace alla guerra, la pace nella libertà alla pace totalitaria, l'intelligenza all'autorità; ma, anche, una filosofia che non può avere molta stima del realismo e della pensabilità delle narrazioni religiose. Pace, libertà, discussione impregiudicata sono già ottime ragioni; ma non impediscono 1'“intolleranza” e la tensione verso il risultato unico in matematica e generalmente in scienza, dove si può contare su una comune verità. Dunque ultimamente, teoreticamente, il filosofo Stato laico non difende il pluralismo religioso in nome della verità. Lo difende in nome di una fede, forse non pienamente argomentabile, nella coscienza.
Sembra esserci uno strano scambio dei ruoli. I capi religiosi, in quanto cercano di condizionare le menti umane fino dall'infanzia e - quando va bene - fino alla morte, si palesano, filosoficamente, riduzionisti: se l'essenziale è la conformità del credente al credo e al rito, il corpo-mente umano viene pensato come una struttura robotica in cui inserire un programma. E viceversa lo Stato non può, ultimamente, difendere il corpo-mente umano contro i condizionamenti religiosi e contro lo stesso pensiero laico imposto autoritariamente senza pensare che l'essenziale non è la materiale coincidenza con un credo, è il modo del credere, la qualità coscienziale dell'atto di fede. Dunque paradossalmente i rappresentanti ufficiali dello spirito si comportano come se lo spirito non esistesse, e il difensore e promotore della scienza si comporta come se lo spirito esistesse: assunzione, quest'ultima, non facile, da argomentare sul piano del realismo laico.
Vediamo la cosa, oltre che dal lato della coscienza, dal lato della verità. Spesso la tolleranza religiosa viene fondata, dai laici, sul relativismo: riconoscere una verità assoluta, o almeno forte e certa, renderebbe necessariamente intolleranti. In questa prospettiva lo Stato non potrebbe essere laico sul piano della ragione pratica se non fosse relativista sul piano della ragione teoretica. Io non penso così. Lo Stato laico non è un relativista, è sicuro del fatto suo: il realismo intellettuale lo costringe a giudicare inaffidabili le religioni sia come fonti di notizie su stati di cose, sia come fonti di valutazioni etiche; a non riconoscere loro autorità decisiva né in campo logico e ontologico né in campo assiologico. Se lo Stato laico non è laicista, è perché preferisce (in campo religioso, non in campo scientifico) uno Stato della coscienza a uno Stato della verità. Più precisamente, il sacro in cui crede non è solo la (per lui, laica) verità, è l'incontro coscienza-verità. Ho detto incontro e non coincidenza: non gli basta che un cervello umano coincida con la verità, chiede la coscienza in senso pieno, duplice, come consapevolezza e come convinzione, dunque come non socioculturalmente, forse addirittura come non bioalgoritmicamente determinata. Questa è la scoperta emozionante: se il sacro, la cosa sacra, fosse la fattuale coincidenza con il vero, l'uomo verrebbe pensato, riduzionisticamente, come un robot. Ora, lo Stato laico, per la sua solidarietà col pensiero laico, sembrerebbe dover essere riduzionista se non addirittura eliminativista, dover pensare la coscienza e la libertà come software cerebrali. E invece no. Si comporta da meno laico del pensiero laico. Il suo rispetto sacro per l'incontro coscienza-verità, e comunque per la coscienza anche quando (come nel caso della coscienza credula) non incontri la verità, questo principio supremo della ragion pratica laica-liberale presuppone almeno due aspetti della fede nello spirito (ovviamente non inteso come "ghost in the machine"): che vengano realmente conosciuti (visti, colti, compresi con intelligenza cosciente) significati e non solo riconosciuti (con semplice pattern recognition) significanti; che ci sia qualcosa come non-determinismo, libertà-responsabilità[19]. Preferire uno Stato della coscienza a uno Stato della verità è non-materialistico. Lo Stato della verità, caro agli assolutismi religiosi, sembra presupporre una ragione teoretica riduzionista in antropologia: basta ottenere coincidenza/conformità. Allora, lo Stato laico è spiritualista il papa no? Sì. O almeno: se vogliamo, per motivi storici, mantenere al papa la qualifica di spiritualista, dobbiamo dire che come si può essere più realisti del re, così qualcuno - lo Stato laico - è più spiritualista del papa. Magari gli dispiace; ma lo è.
 

Lampade.

Eleganti steli in osso di vertebra

sorreggono bulbi art nouveau in osso di teschio

nei bulbi emanano biofluorescenza

i molli cavolfiori di carne speciale

intrisi di sangue.

 

Lampade.

Nella carne inzuppata di sangue

impingono impulsi bioelettrici

trascrizioni in un codice bioinformatico

di onde di un'astroatmosfera all'azoto.

Impulsi dentro carne.

 

E la carne impulsata si fa verbo

- Caro verbum facta est -

dalla carne e dal sangue schizzano concetti

schizzano i senza carne, i significati intellettuali.

Miraculum continuo e contiguo:

il cosmico

in una carne

accadere coscienza.

 
 
 

 

[1] Mi sono spiegato su questo punto in un intervento tenuto il 7 dicembre 2004 a Bruxelles nel convegno internazionale "Laicità e religioni nell'Unione Europea: le emergenze Francia, Italia, Spagna" promosso presso il Parlamento europeo dai deputati radicali italiani; ora in "In nome di Dio!", fascicolo di Doc Toscana, anno 5, n. 15, aprile-giugno 2005.

[2]  Cfr. F. Di SALVO, "Radici", "retaggi", "valori": il particolare e l'universale nella Costituzione europea, tesi di laurea, Facoltà di Giurisprudenza, Università di Firenze, anno acc. 2005/2006.

[3] "Nel 1988... la Corte statuì: 'La Costituzione Italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali'". "Nel 1989 (sent. n. 203, id., 1989, I, 1333) la Corte formula il principio supremo di laicità dello Stato così definito: 'il principio supremo di laicità dello Stato, che è uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della repubblica [...] quale emerge dagli art. 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost., implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale'". Ho citato F.P. CASAVOLA, Sententia legum tra mondo antico e moderno, vol. III, Jovene, Napoli 2004, pp. 275, 273. Ancora Casavola, in Costituzione italiana e valori religiosi, approva senza riserve la decisione della Corte, nel 1979, di tutelare, in materia di giuramento, anche la libertà negativa del non credente, respingendo motivazioni in senso contrario (come quella del Guardasigilli nel 1929) fondate su rilevazioni identitarie quantitative (“gli atei rappresentando una microscopica minoranza"). "La Corte del 1979 proclama che 'in realtà gli artt. 19 e 21 della Costituzione tutelano innanzitutto l'opinione religiosa propria della persona, essendo indifferente che essa si iscriva o meno in quella di una minoranza'” (F.P. Casavola, ibid., p. 198).

[4] L'attualità cui mi riferisco è il periodo della prima stesura del mio contributo, ossia il tardo 2005 e l'inizio del 2006. Ogni riferimento al periodo in cui redigo queste note (giugno 2006) deve ritenersi puramente casuale.

[5] Vedi la mia commemorazione per la Società italiana di filosofia giuridica e politica: "La filosofia generale e la spiritualità di Norberto Bobbio", in Scienza e normatività: profili etici, giuridici e politico-sociali, XXIV Congresso Nazionale della Società Italiana di Filosofia del Diritto, Catania-Ragusa 23-25 settembre 2004, Scriptaweb, Napoli 2006, pp. 15-39.

[6] Mi limito a citare M. Dummett, Elements of intuitionism, Clarendon Press, Oxford, 1977. La mia artigianale, sommessa filosofia della matematica inclina invece al platonismo; l'ho esposta, con rossore, in AA.VV., Logos dell'essere logos della norma. Studi per una ricerca coordinata da Luigi Lombardi Vallauri, Adriatica editrice, Bari 1999, pp. 30-44.

[7] Cfr. C. Sprawson, L'ombra del Massaggiatore Nero. II nuotatore, questo eroe, Adelphi, Milano 1995, leggendo il quale si hanno sorprese notevoli sui nuotatori Byron e Goethe.

[8] Vedi (se vuoi) il mio vecchio "Laicità o universalità?", in AA.VV., Laicità. Problemi e prospettive, Vita e Pensiero, Milano, 1977, pp. 249-268, articolo che oggi mi irrita, ma di cui condivido il punto che il solo possibile cristianesimo autentico è quello laico ai propri stessi occhi in quanto pretesa di realtà oggettiva, di verità universale non "cristiana".

[9] Cfr., oltre il breve saggio citato alla n. 1, un po' tutto il volume L. Lombardi Vallauri, Nera luce. Saggio su cattolicesimo e apofatismo, Le Lettere, Firenze 2001, segnatamente - sul rapporto tra etica e credenza in Dio - le pagine 224-233. Devastanti, ai miei occhi, i sondaggi sull'etica cattolica (capitoli I-V) e veterotestamentaria-ebraica (cap. VI).

[10] Vedi, ancora in Nera luce, l'incompiuta Parte III e le pagine 288- 296; in Riduzionismo e oltre, Cedam, Padova 2002, le pagine 196-210; e le trasmissioni per Radio Tre, 2004 e 2005, "Meditare in Occidente - Corso di mistica laica", ora reperibili nel sito www.palazzorollo.it/llv/index.htm.

[11] Cfr. L. Lombardi Vallauri, "Fenomenologia della realizzazione", in Terre. Terra del Nulla, Terra degli uomini, Terra dell'Oltre, Vita e Pensiero, Milano 1989, pp. 351-363. Il concetto di realizzazione, o di risveglio all'essere, è fondamentale nel mio pensiero e nella mia esperienza e pratica psicospirituale.

[12] Sul concetto di apofatismo vedi L. Lombardi Vallauri, Nera luce. Saggio su cattolicesimo e apofatismo, cit., pp. 211-223, 249-253, 266-271, 284- 292, 305-310. Nella "Glossa 2000" a pp. 233-235 motivo la mia preferenza intellettuale per l'apofatismo laico/ateo rispetto all'apofatismo teista, pur quasi identici sul piano esperienziale.

[13] "Questa rissa cristiana che non ha / se non parole d'ombra e di lamento": Montale, Notizie dall'Amiata. II rinvio d'obbligo è a K. Deschner, Kriminalgeschichte des Christentums, 7 volumi, Rowohlt, 1986 ss. (trad.it. Storia criminale del cristianesimo, 7 vol., Ariele, Milano 2000-2006).

[14] La (bozza di) Costituzione europea non usa "laicità" ma "pluralismo, non discriminazione, tolleranza" (art. I-2), suoi equivalenti funzionali. Cfr. anche II-70, II -71, II -72, II -73, II -81, II -82.

[15] Gli egiziani credevano in dèi dalla testa di falco o di coccodrillo, ma irrigavano i campi con le ruote ad acqua e li delimitavano con la geometria; i monoteismi hanno, accortamente, reso Dio del tutto inosservabile, inimmaginabile e inveri/falsi/ficabile e proiettato sopra mondi fatti di persone immateriali e di vuoto, ma nemmeno per un attimo hanno potuto tralasciare di nutrire le loro fantasie spirituali con i prodotti delle arti materiali.

[16] Vedi, in Nera luce, cit., la sezione "Aforismi", pp. 167-190.

[17] In Cloud hidden, whereabouts unknown, Jonathan Cape, London 1974.

[18] Montale, "Pasqua senza week-end", in Satura II.

[19] Il ragionamento che precede sembra dare per scontato che il pensiero laico nel senso di scientificamente corretto, di realistico, sia senz'altro un monismo materialista. Il dibattito è, invece, aperto, almeno nel senso che non si può non constatare il dualismo fenomenologico materia-vissuti coscienziali. Almeno in questo senso non è esatto dire che lo Stato laico si comporta da meno laico del pensiero laico. Sul cruciale problema vedi comunque, per una panoramica recente, Neurofisiologia e teorie della mente, a cura di L. Lenzi, Vita e Pensiero, Milano 2005, e Dinamiche della volizione e libertà. Etica e neuroscienze, a cura di L. Eusebi, Vita e Pensiero, in corso di pubblicazione. Un primo colossale stato dell'arte in M.S. GaZZAniga, Editor-in-Chief, The Cognitive Neurosciences, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts 1995.