Durante la storia della Biologia si sono sempre contrastate due visioni della vita, una “meccanica o complicata” e una “complessa”. Un sistema complicato è composto di molte parti indipendenti come avviene nelle macchine in cui se si toglie un qualsiasi singolo componente, questo e la parte restante della macchina non cambiano e l’insieme, qualora sia ricomposto secondo il progetto iniziale torna ad essere identico a prima. Un sistema invece è complesso se composto di elementi collegati fra di loro in modo interattivo e non additivo, per cui A+B non dà AB ma una “proprietà emergente”, non prevedibile sulla base della conoscenza dei componenti I sistemi complessi viventi in particolare sono inoltre organizzati su diversi livelli che ubbidiscono tutti alle stesse regole generali (“invarianti di scala”), e ogni livello è costituito da elementi del livello inferiore ed è un componente di quello superiore.
E’ interessante notare che questi concetti, erano già stati discussi da Lamarck, uno scienziato bistrattato e orrendamente interpretato nella ex-Unione Sovietica da Lysenko, politico ignorante che ne ha usato il nome per fare carriera (vedi M.Buiatti e O.Micheli,1988). Lamarck, lui, ha scritto nella sua Philosophie Biologique : “Le molecole di un corpo inorganico sono tutte indipendenti…Al contrario, le molecole che compongono un corpo vivente sono, per quanto riguarda il loro stato, dipendenti le une dalle altre perché tutte devono obbedire ad una causa che le anima e le fa agire; questa causa le fa concorrere tutte a un fine comune sia di un organo che di un individuo intero”…. “Nessun corpo inorganico ha bisogno per conservarsi che i suoi componenti si muovano; al contrario, fino a quando i suoi componenti restano nel riposo ed inattivi, il corpo si conserva senza alterarsi e in questa condizione potrebbe esistere per sempre”. e invece: “ Ogni corpo vivente, al contrario, è continuamente animato da una forza particolare che eccita senza interruzioni dei movimenti delle sue parti interiori ma che comporta dei rinnovamenti, delle riparazioni, degli sviluppi …..di modo che i movimenti eccitati nelle parti interiori alterano e distruggono ma riparano e rinnovano, il che allunga la vita degli individui.”
In un recente articolo mio e di Giuseppe Longo, (M.Buiatti, G.Longo, 2013) abbiamo aggiornato questi concetti discutendo paralleli e divergenze fra i sistemi viventi ed i sistemi complessi della fisica, introducendo il concetto della organizzazione su più livelli della vita, dalle molecole alla biosfera e alla umana “noosfera” di Vernadsky. Come ho discusso in altra sede (M.Buiatti, 2011) la visione “complessista” è stata del tutto scartata nella epoca moderna in cui, a partire dal “Manifesto dei medici materialisti” del 1848 è stata proclamata la “sostanziale equivalenza” fra vita e non vita, (vedi J.Monod,1970). E’ sulla base di questa concezione che si è pensato che il mondo fosse essenzialmente meccanico e quindi modificabile a volontà su progetto umano. Da qui la “Utopia prometeica” della crescita infinita delle produzioni delle industrie umane che è purtroppo ancora nelle menti di molti economisti contemporanei e sta portando la nostra specie alla distruzione. Lo aveva capito benissimo Hans Jonas, 1979, quando nel suo “il principio di responsabilità” invitava a sentirci responsabili non solo degli effetti immediati di quello che facciamo ma anche di quelli, derivanti dai primi che poi colpiranno le generazioni future proprio per la natura complessa del Mondo vivente.
Come ho scritto in un articolo per la Accademia dei lincei (M.Buiatti, in the press), gli umani, resisi conto della impossibilità della crescita materiale infinita hanno modificato il concetto stesso di economia chiamando con questo nome lo scambio non di beni fruibili per il nostro benessere, ma della moneta online che ormai copre il 92% del totale . Esempio eclatante di questo ulteriore passo verso la virtualizzazione delle vite è quello dei cosiddetti OGM e cioè di piante di interesse agrario in cui sono stati introdotti geni batterici teoricamente utili per l’aumento delle produzioni agricole. Nonostante la enorme propaganda condotta con tutti i mezzi dalle multinazionali produttrici di OGM, in realtà le prime piante geneticamente modificate sono state “costruite” nel lontano 1981 e solo quelle introdotte sul mercato nel 1996 sono ancora sul mercato. Si tratta soltanto di quattro specie di piante di interesse agrario (soia, mais, cotone, colza) modificate con la introduzione di geni batterici che hanno introdotto nelle piante solo due caratteri (resistenza ad insetti e a diserbanti). Un fallimento totale dal punto di vista scientifico e tecnologico anche se, come vedremo, non necessariamente economico se per economia si intende naturalmente non quella basata su scambio di merci e regolata dalla legge della domanda e della offerta, ma la cosiddetta economia finanziaria.
Ci si potrebbe chiedere perché così pochi caratteri innovativi introdotti in piante accettate dai mercati. La ragione, se pensiamo a quello che ho scritto in precedenza, sta proprio nella difficoltà di predire e di controllare il risultato dell’inserimento di geni batterici o comunque di una specie molto lontana dal punto di vista evoluzionista dalla pianta di interesse agrario che li riceve, e quindi delle loro interazioni con la rete genica pre-esistente. La incapacità di controllare gli effetti della “ingegneria genetica” (si chiama così la pratica di formazione degli ogm mentre il termine biotecnologia si riferisce a tutte le pratiche umane che hanno a che fare con gli esseri viventi come ad esempio il vino, l’olio , le farine ecc.) è in fondo, quindi la logica conseguenza del “pensiero meccanicista” secondo il quale ogni gene inserito permetterebbe di produrre la stessa proteina che produceva nel batterio da cui è stato estratti ma non avrebbe alcuna interazione non additiva con il sistema genetico e fisiologico complessivo dell’organismo ricevente. Infatti, quando facciamo una trasformazione, e chi scrive con il suo laboratorio ha fatto molte trasformazioni proprio per ridurre la imprevedibilità del risultato, non sappiamo: a) quante copie (anche miliardi) del frammento di DNA da inserire entreranno nel corredo genetico ospite, b) dove si inseriranno i frammenti, cosa non indifferente perché dove si inserisce un frammento inevitabilmente spacca il DNA ospite e se questo è importante per la pianta ne vengono ovviamente problemi, c) se il gene inserito sarà o no bloccato dalla pianta, d) come interferirà il metabolita sintetizzato dal gene inserito con la rete metabolica pre-esistente, e) come la pianta modificata interagirà con l’ecosistema del suolo e in genere con l’agro-ecosistema ricevente, f) che effetti avranno gli OGM sulla salute degli animali e degli esseri umani che se ne nutriranno, g) che ritorno economico e quindi che effetto sulla azienda ricevente e in genere sulla agricoltura della zona deriveranno dal “nuovo” organismo. Da quello che ho detto risulta evidente quindi che la ragione per cui molte piante geneticamente modificate non sono mai entrate sul mercato è che erano essenzialmente perché poco produttive o con difetti gravi per gli “effetti inattesi” della modificazione genetica e quindi non sono state accettate per ragioni economiche. Così è successo all’inizio della introduzione sui mercati di OGM con il tentativo di immissione sul mercato di un pomodoro che non andava in marcescenza ma era duro e con un sapore cattivo, e molto più recentemente di un mais che avrebbe dovuto produrre una alta quantità di pro-vitamina A mentre ne produceva solo poca per cui è stato tolto dal commercio, mentre molte altre piante modificate per altri, pesanti, “effetti inattesi”, sono addirittura rimaste nei laboratori o in qualche campo sperimentale.
I risultati delle tecniche di ingegneria genetica negli animali sono stati ancora peggiori di quanto è successo con le piante tanto che, se non consideriamo un vero successo un topo altamente suscettibile alla induzione di tumori e per questo utilizzato negli esperimenti di prevenzione, nessun animale geneticamente modificato è mai entrato in commercio.
Il primo tentativo in questo campo infatti è stato quello di inserire un gene dell’ormone per la crescita in un topo ed ha acceso molte speranze perché il neonato è diventato molto più grande della madre. Questo apparente successo ha indotto a pensare che si sarebbero ottenuti animali domestici molto più grandi con i quali aumentare la produzione di carne. Purtroppo gli animali ingegnerizzati prodotti erano , sì, più grandi degli altri ma stavano male, soffrivano per una serie di malattie e avevano una vita nettamente più corta dei loro simili non modificati. Meglio è andata con i batteri, che si possono considerare molto più “meccanici” degli organismi superiori per cui il DNA integrato, derivante generalmente da questi, non interferisce negativamente sul prodotto. E’ così che ad esempio la insulina che utilizziamo contro il diabete viene ormai da batteri in cui è stato inserito un gene per la insulina umana. In questo caso non si usa per la cura il batterio ingegnerizzato ma solo il prodotto proteico purificato estratto. Infine, purtroppo neanche la terapia genica umana che si sta ancora cercando di applicare a persone che abbiano una delle tremila malattie che derivano da una mutazione in un gene importante per la vita finora è riuscita ad avere effetti positivi. Il problema anche in questo caso è lo stesso e deriva dalla difficoltà di predire effetti positivi o anche negativi in persone curate con questo sistema. In questo caso la ragione del fallimento sembra essere il fatto che molecole di DNA iniettate in cellule umane tendono ad andare in circolo inserendosi nel DNA e provocando quindi blocchi in geni importanti come i cosiddetti “soppressori di tumori inattivandoli.
A prima vista, conoscendo le difficoltà derivate dalla imprevedibilità dei risultati della ingegneria genetica in piante ma soprattutto negli animali, umani inclusi, fa meraviglia il fatto che nonostante ii numerosissimi fallimenti le imprese multinazionali produttrici di OGM sono diventate potentissime e nel 2012 ben 170 milioni di ettari nel Mondo erano coltivati con piante OGM, e di questi ,105 milioni di ettari producevano piante resistenti a diserbanti, 25 resistenti ad insetti e 40 sia a diserbanti che a insetti. In parte questo è spiegabile col fatto che, coltivando grandi estensioni di terreno con piante resistenti ai diserbanti non vi è più bisogno di lavoro manuale umano per eliminare le malerbe e basta passare sul territorio con un unico aereo per irrorare tutta la azienda con il diserbante (generalmente il glifosato e i suoi adiuvanti).
Detto questo è ovvio che gli scarsi o inesistenti vantaggi delle PGM nei confronti delle stesse varietà non trasformate e il loro successo fanno dubitare della libertà del mercato. Il dubbio appare confermato dal processo di accumulazione, documentato da Ph.H.Howard (2009), che ha portato le prime quattro imprese del settore al controllo del 59% del mercato dei pesticidi e del 56% dei semi attraverso la aggregazione di produttori complementari che puntano al controllo della intera filiera produttiva agricola fortemente facilitato dalla concentrazione dei brevetti nelle mani di pochi. Lo strumento del brevetto industriale infatti, é stato esteso, con la nascita della Ingegneria genetica, alle piante ed agli animali, sotto forma di brevetto di sbarramento sia di prodotto che di processo che si estende a tutti i “materiali” in cui é contenuto il gene o che sono stati prodotti con un processo. Per questo il coltivatore deve comprare ogni anno il seme dalla impresa produttrice invece di produrlo da solo, e non può nemmeno usarlo per ricerca né incrociare le varietà coperta da brevetto con altre per costruirne di nuove. Oltre a questo l’agricoltore è costretto a pagare royalties anche se una sola pianta geneticamente modificata viene trovata in un campo teoricamente “libero da OGM”.
Tutto questo deriva dal concetto di “sostanziale equivalenza” di un organismo vivente a un prodotto “non vivente” per il quale i brevetti di sbarramento sono utilizzati da molto tempo mentre in campo agrario fino a poco tempo fa (il 1998 in Europa) la remunerazione dei selezionatori di varietà secondo la UPOV (Union Pour la Obtention de Varietés vegétales) non impediva la utilizzazione senza pagamento dei semi di una varietà protetta né il suo uso per processi ulteriori di miglioramento genetico. Questa relativamente nuova struttura del mercato, in assenza di sistemi mondiali di anti-trust, ha portato al dominio delle multinazionali nessuna delle quali è dominante in singoli Paesi e quindi sottoposta agli anti trust nazionali.
Per questo in questo momento tre imprese dominano attualmente il mercato (Monsanto, Dupont e Syngenta, in ordine di grandezza) Si tratta di imprese chimiche in possesso di brevetti agrochimici che a partire dagli anni “90 ne hanno assorbito altre, chimiche, farmaceutiche e soprattutto sementiere. Così Monsanto, produttrice di diserbanti negli anni “60, si é fusa con Pharmacia e Upjohn, ha acquisito le grandi sementiere Cargill, Dekalb Genetics Corporation, Delta e Pine Land, Seminis, Holden Foundation Seeds e controlla oltre duecento sementiere in India, Cina , Brasile. La Dupont, ha acquisito la Pioneer High Bred e combatte una difficile battaglia sui brevetti con la leader mondiale. Più debole é Syngenta che deriva dalla fusione fra Novartis agricoltura e Zeneca e ha acquistato la Wilson Seed allargando a ormoni vegetali e fungicidi la produzione. Data la struttura abnorme del mercato queste imprese e in particolare Monsanto sono in gradi di trattare da pari a pari con gli Stati Nazionali e con la Unione Europea e dispongono di una rete potente di laboratori di ricerca che, pur riducendo progressivamente la intensità di ricerca (Schimmelpfennig et al., 2004) costituiscono il nucleo fondante di una propaganda aggressiva sui vantaggi delle PGM particolarmente pesante nei cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo (PVS), anche attraverso la presenza negli organismi pubblici di controllo e anche negli “editorial boards” di molte riviste internazionali come risulta da una sintesi critica della letteratura sul cotone resistente ad insetti in Cina, India, Sud Africa, condotta da D.Glover nel 2009 per conto dell’E.S.R.C inglese. In molti lavori anche pubblicati su buone riviste Glover nota una evidente parzialità che ad esempio porta in Cina a non conteggiare come lavoro quello famigliare nelle piccole aziende, a notare che il vantaggio delle PGM c’é solo in casi di attacco pesante, che l’uso dei pesticidi non si é abbassato, che nuovi insetti sono diventati pericolosi in seguito alla distruzione del “boll-worm” da parte delle PGM, (Wang e co., 2008).
Analogamente l’autore nota dalla letteratura che in India le aziende che hanno un vantaggio economico lo ricavano da aiuti tecnici e monetari mirati ad esse da parte dello Stato, sono in partenza più ricche delle altre e usufruiscono di sistemi di irrigazione efficienti. Il quadro diventa così ben diverso e supportato anche da lavori no riportati da Glover. In India ad esempio, (Ramasundaram et al. 2007 ed altri) in alcune regioni come l’Andhra Pradesh e il Maharashtra, per la presenza di ben 150 specie di insetti parassiti a cui le varietà PGM non oppongono nessuna resistenza, si sono dovuti usare più pesticidi, fatto che insieme alla riduzione del prezzo del cotone ed agli attacchi virali a cui le varietà locali sono resistenti a differenza dalle PGM, ha portato ad un aumento di suicidi nelle popolazioni locali.
Gioca in questo come in molti altri casi la pesante riduzione della variabilità genetica delle piante coltivate, iniziata in India già al tempo della rivoluzione verde ma di gran lunga più pesante nel caso delle poche varietà GM. Fin qui abbiamo discusso solo del cotone resistente al “boll worm” che ha avuto molto spazio in Cina, India e Sud Africa, tutti Paesi in cui la agricoltura industriale in quanto tale ha incontrato in genere molte resistenze. La situazione é molto diversa in America latina e in particolare in Argentina, Brasile, Paraguay in cui la PGM più importante é di gran lunga la soia resistente a diserbanti. In tutti i casi la diffusione della soia é stata accompagnata dalla distruzione della agricoltura di sussistenza, la riduzione pesante del numero delle imprese agricole e l’aumento della dimensione, lo spostamento della produzione dalle piante che provvedono la base alimentare alla coltivazione di soia da esportazione. In Argentina infatti l’aumento della produzione di soia dell’11.8% dal 1996 al 2004 ha comportato la riduzione del grano del 2.3%, della patata del 3.3%, del miglio del 19.1%. Contemporaneamente il numero delle imprese agricole si é quasi dimezzato dal 1966 al 2002, e sono sparite le imprese famigliari e ingrandite quelle industriali in cui il rapporto capitale/lavoro é praticamente raddoppiato. In sintesi il tessuto di aziende contadine é stato sostituito da imprese di dimensioni maggiori spesso unite in reti con un unico direttore che impiegano braccianti con una riduzione del lavoro che supera il 50% e una drastica riduzione della variabilità genetica di piante ed animali. In Brasile la esplosione delle coltivazioni di soia ha provocato la cacciata spesso violenta dei contadini da parte dei sojeros e dei grileiros (speculatori) che, come quelli argentini si sono spostati nelle favelas abbandonando le loro sementi e perdendo le loro culture, e si é verificato un aumento rapido della deforestazione. Infine, tutti questi fenomeni sono avvenuti in modo più cruento in Paraguay , Paese in cui gran parte della terra é gestita da stranieri tanto che dei 60000 produttori di soia il 40% é brasiliano , il 36% tedesco o giapponese e solo il 24% paraguaiano.
Cosa possiamo sintetizzare allora gli effetti delle interazioni fra i componenti del sistema complesso industriale-agricolo in cui operano le grandi multinazionali studiandone la dinamica a tutti i livelli di organizzazione che lo formano:? Al livello degli organismi geneticamente modificati l’interazione fra i geni batterici, il DNA delle piante, le modificazioni conseguenti del loro metabolismo e la corrispondenza con lo scopo inziale della operazione, si può parlare di un fallimento veramente inaspettato per la sua complessità e per gli effetti finali che hanno impedito di raggiungere l’obiettivo che i ricercatori si erano proposto e cioè piante che producessero di più e materia vivente con caratteristiche migliori per la vita degli esseri umani e degli animali che avrebbero dovuto usufruirne. Questo è successo dopo un numero veramente alto di tentativi compiuti su piante di specie anche molto diverse in cui si sono riscontrati “effetti inattesi” che hanno obbligato i ricercatori a mantenere i loro prodotti nei laboratori. Per documentare questa ipotesi e dare un esempio concreto ed illuminante mi permetto di raccontare quello che è successo nel nostro laboratorio di Firenze quando abbiamo cercato di costruire una pianta geneticamente modificata che, nelle nostre speranze ed intenzioni, avrebbe dovute essere capace di combattere i nematodi del tabacco, piccoli vermi che ne distruggono le radici. La nostra idea iniziale era quella di inserire nel genoma della pianta un gene di ratto attivabile da ormoni animali e di attaccare a questo un altro gene capace di produrre una sostanza vermicida. In questo modo si pensava di evitare che il vermicida fosse prodotto solo in presenza di nematodi, animali provvisti di attivatori metabolici del gene del ratto, evitandone così la sintesi da parte della pianta, effetto potenzialmente pericoloso se fosse stata edule o anche utilizzata nelle sigarette. Il risultato di questo tentativo è stato del tutto inaspettato perché le piante hanno nettamente cambiato morfologia e fisiologia e si sono dimostrate resistenti a una serie di stress.
Abbiamo poi scoperto che anche le piante di tabacco hanno un gene non tanto diverso da quello di ratto e quindi sono “entrate in sintonia“ con questo ma in ambiente fisiologico completamente diverso che è di conseguenza stato modificato. Devo confessare che questo risultato mi ha fatto prendere definitivamente la decisione di non cercare più di migliorare piante coltivate con i metodi della ingegneria genetica e trovare invece magari nuovi metodi di selezione ma non più di modificazione dei corredi genetici da migliorare. Penso che qualcosa di simile sia accaduto moltissime volte a ricercatori anche delle grandi multinazionali che di conseguenza, come dicevo, hanno rinunciato alla ricerca e, su indicazione ovviamente delle multinazionali a cui appartenevano, si sono limitati a inserire nelle quattro specie di piante citate i due soli tipi di geni che non sembrano interferire negativamente con le loro fisiologie. E’ per queste ragioni che, contrariamente a quanto dicono gli entusiasti degli OGM e le stesse grandi industrie multinazionali di cui si è parlato prima, queste hanno cambiato strategia abbandonando quella dei genetisti vegetali che hanno teso fino dalla nascita delle agricolture a trovare metodi per migliorare per selezione piante ed animali domestici, e si sono rivolte ai diversi strumenti della economia finanziaria utilizzando una serie di strumenti di controllo che niente hanno a che fare con la scienza.
Va detto che questa scelta è stata vittoriosa dal punto di vista delle imprese che hanno usato leggi di protezione brevettuale inesistenti precedentemente che permettono, come si è detto prima, di avere ritorno economico da parte delle aziende agricole produttrici ogni anno invece di una volta sola, impedendo loro contemporaneamente di usare gli OGM per eventualmente migliorare le loro varietà con gli incroci e la selezione tradizionale.
Questo tuttavia è solo una parte della nuova economia finanziaria che si basa anche su altri mezzi innovativi e in particolare sul gioco in borsa, come dimostra ad esempio il fatto che i dividendi di Monsanto che erano di 0.045$ nel 2001 sono quasi decuplicati nel 2013 (0,43$). In questo gioca un ruolo molto importante infatti la struttura stessa della economia e non solo di quella agricola in quanto le multinazionali di cui ho parlato sono tali sia perché non sono disturbate dalle leggi anti-.trust, si guardano bene dal diventare troppo forti nei singoli Paesi e utilizzano al contempo la arma potente della pubblicità dei loro prodotti che coprono di fatto tutta la filiera del cibo a partire dai prodotti chimici e meccanici necessari per le agricolture, entrando perfino in organizzazioni cosiddette umanitarie che mirano alla cosiddetta “bio-pirateria” e cioè al furto di varietà vegetali antiche- Inoltre le “Tre sorelle” che governano il cibo (Monsanto, Dupont e Syngenta) sono in molti casi alleate anche alle imprese dette della “Big Pharma”, un altro insieme di multinazionali farmaceutiche che, come le imprese del cibo ha fortemente tagliato le spese per la ricerca ed aumentato invece quelle di marketing ampiamente utilizzate in tutti i campi. Non è un caso che , mentre le ricerche di nuovi farmaci impiegati in oncologia sono ancora molto attive, molte di quelle che producevano medicine usate per altre malattie stanno riducendo la loro attività e non trovano nuovi farmaci in un momento in cui lo stesso cambiamento climatico provoca la diffusione di nuove malattie determinata dalla migrazione dei patogeni. Anche le imprese farmaceutiche quindi si stanno allontanando dalle produzioni pe le vite e puntano di giorno in giorno di più sulla economia virtuale che si basa sempre meno sulla qualità ed utilità per la vita del prodotto e sempre di più sulla pubblicità e all’uso di infiltrati nelle agenzie di controllo.
Mi sono soffermato a lungo sulle multinazionali della agricoltura e su Big Pharma perché sono caratteristiche di due aree di ricerca, lavoro e produzione, del tutto critiche per la vita che dalla vita stessa si stanno allontanando in quanto rifiutano di confrontarsi con la natura complessa e quindi intrinsecamente imprevedibile che , come dicevo anche all’inizio di questo articolo è la base di tutta la organizzazione della vita sul nostro Pianeta.
Purtroppo questo pericolosissimo impulso verso la alienazione sta giorno per giorno diventando sempre più agghiacciante perché, essendo gli esseri umani la specie che più di altre è in grado di influenzare tutta la Terra, diventa estremamente pericoloso il non tenere di conto che, essendo la natura connessa, qualunque cambiamento anche locale, inevitabilmente si allarga a tutti i nodi della rete a cui appartiene e si sparge a macchia d’olio come si è detto da tanto tempo discutendo dell’effetto “a farfalla” in cui un batter d’ali in un luogo del Pianeta può diventare un urgano in un altro o in un diverso momento.
Sarebbe bene a questo punto tenere in conto invece quanto Hans Jonas diceva nel suo Principio di responsabilità in cui proponeva che nella valutazione del rischio si tenessero sempre presenti la incertezza e gli effetti dei cambiamenti provocati da parte della umanità che si estendono in modo imprevedibile nel tempo e nello spazio. Di questo in realtà molti teoricamente sono convinti ma si tappano occhi ed orecchi per non vedere e divulgare che noi umani, come Prometeo, non possiamo pensare ad un “Mondo-macchina” che di fatto porterebbe alla morte, ma dobbiamo lavorare e gioire della vita cercando di conoscerne tutti i lati non solo meravigliosi che ci offre, evitando così di proseguire come i Lemming e cadere nel baratro della de-vitalizzazione del Pianeta attraverso la sua trasformazione in una immensa macchina morta o, forse peggio ancora, in un ambiente del tutto virtuale dominato da simboli telematici non fruibili ma falsa e triste raffigurazione della meravigliosa realtà complessa della materia vivente e dei suoi naturali supporti non viventi.
BIBLIOGRAFIA
M.Buiatti (a), 2011, Evoluzione e complessità. In: Evoluzione, complessità,uomo. F.Facchini Ed.,Jaca book Ed. 115-133
M.Buiatti, 2013, The resistible ascent of Homo oeconomicus, Accademia dei Lincei, in the press
M.Buiatti, G.Longo, 2013, Randomness and multi-level interactions in Biology, Theory in Biosciences, 132, Issue 3 (2013), Page 139-158
Ph.H. Howard, 2009, Visualizing consolidation in the global seed industry, Sustainability, 2009, 1266-1277
D.Glover, 2009, Undying promise: agricultural biotechnology’s pro-poor narrative, ten years on, STEPS Centre, ESRC, UK
H. Jonas, 1979, Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologische Zivilisation
J.B.Lamarck,1809,Philosophie zoologique, ou exposition de considerations relatives à l’histoire naturelle des animaux, Dentu Ed., Paris
J.Monod, 1970, Le hazard et la nécéssité, essai sur la philosophie naturelle de la biologie moderne, Editions du Seuil, Paris, France
P.Ramasundaram, Vennila, S. and Ingle, R. K. ,2007 ‘Bt Cotton Performance and Constraints in Central India Outlook I Outlook on Agriculture 36(3): 175-80
D. E. Schimmelpfennig, Carl E. Pray, Margaret F. Brennan, 2004, The impact of seed industry concentration - on innovation: a study of US biotech market leaders , Agricultural Economics, 30, 157-167
Wang, S., Just, D. R. and Pinstrup-Andersen, P. (2006) ‘Tarnishing Silver Bullets: Bt Technology Adoption
?? - Bounded Rationality and the Outbreak of Secondary Pest Infestations in China’, paper presented at the American Agricultural Economics Association Meeting, Long Beach, California, USA, 22-26 July.
?? - Wang, S. (2008) ‘Bt Cotton and Secondary Pests’, International Journal of Biotechnology 10(2-3): 113-21.