Articolo, 2012.
Che l’introduzione nel corpo delle relazioni sociali del potente motore delle comunicazioni basate sul web 2.0… stia producendo una rottura nelle loro forme e percezioni non è più un mistero, né una novità. Che tale introduzione stia creando una permanente forma di de-costruzione e ri-costruzione di nessi e dialoghi all’interno delle nostre società è meno evidente, ma ampiamente teorizzato.
La possibilità di fornire ad ogni singolo individuo la concreta capacità di realizzare un proprio discorso personale, disponibile alla propria cerchia di amici e al mondo intero ( con due soli gradi di suddivisione del mondo esterno da sé) ha dispiegato la sua prima fase. Per un lungo periodo quello di dare la parola a tutti era un sinonimo di sinistra. Dare la parola a chi non aveva parola. Un messaggio forte, inequivocabile e denso di significato. La sinistra per cosa era nata se non per quello? Il punto e che tale assunto partiva dal fatto che la cultura, i modelli relazionali, i valori delle masse, ancora non investite dalla potenza trasformatrice delle innovazioni intrecciate del capitalismo e della tecno-scienza (due rami strettamente intrecciati ma con le loro autonomie), fossero portatrici della emersione di un modello altro rispetto a quello imperante. Da questo punto di vista il ’900 è passato con tutto il suo portato di devastazione e costruzione. Aveva ragione il Gramsci dei quaderni quando affermava che il fordismo avrebbe creato l’uomo nuovo. Così è stato ma la sinistra è rimasta ancorata o all’idea del “buon selvaggio”, quello della residua persistenza di alterità o ancora della capacità generatrice di alterità all’interno di un unico luogo produttivo: la fabbrica, come se la messa in produzione della stessa vita non avesse modificato alla radice il problema.
Nel frattempo lo sviluppo della tecno-scienza e quello del capitalismo globale ha dato la possibilità di far comunicare tutti. Certo non c’è la comunicazione cosciente e consapevole dell’individuo che sa sviluppare la critica della sua condizione, quello che avevamo immaginato ipotizzando un futuro progressivo e inarrestabile. Ma ha preso la parola. Agisce “solo” le sue capacità di comunicazione, con i bisogni che può esprimere e le forme relazionali che è in grado di costruire. È la sinistra che non sa ripartire da qui, non solo dalla capacità di comprendere i nuovi bisogni (molto più relazionali del passato e molto più immateriali di ieri), ma anche accettare che la nuova struttura di relazioni ci regala il bisogno di un protagonismo positivo, la voglia di esserci, l’emersione di soggettività singole e collettive da praticare e non da subire.
È il superamento delle forme di organizzazione basate sul quella “dittatura degli attivisti” e “la dominanza degli eccentrici” di cui tanto si parla e che separa le persone tra chi deve e può comandare, dirigere e chi deve essere comandato e diretto. Per tutto il ’900, infatti, il ruolo delle avanguardie che si sostituiscono nella comprensione e nella direzione alle masse (a cui poi si doveva, teoricamente, riconsegnare il potere) ha prodotto infiniti drammi, la costruzione di oligarchie e il fallimento della idea stessa di sinistra e quel senso di distacco e separatezza che caratterizza la relazione tra la gente di sinistra e la sua rappresentanza. C’È oggi un bisogno più alto, una richiesta più matura, a patto che si comprenda la qualità nuova della fase umana e sociale.
È la forma della struttura delle relazioni che emerge dalla nove fase della rivoluzione digitale che obbliga a pensare a nuove forme di organizzazione del fare, che necessitano di forme di orizzontalità, non per uccidere le differenze o annullare la necessità della selezione delle scelte, ma per selezionarle in base a nuovi criteri che fanno emergere le competenze e le rappresentatività della nuova fase. Nulla di totalmente anarchico, ma un passaggio più condiviso e orizzontale che segnala la partecipazione come fattore diffuso. Quello dell’esserci, infatti, anche quando non viene esplicitato in maniera attiva (sia per incapacità “sociale” sia per limiti temporali o di altra natura che lasciano a livello latente il desiderio di “esserci nelle cose”) è uno dei tratti distintivi della umanità nuova che i social network hanno solamente amplificato fornendo una cartina al tornasole di ciò che si muoveva nel profondo delle nostre società.
È un passaggio di Era. Attraverso queste nuove forme tutto è più “liquido”, tutto è permanentemente ricontrattato, tutto fa emergere protagonisti nuovi e “irriverenti” rispetto agli establishment dell’era pre-digitale. E tutto diviene paradossalmente più collettivo, dirompente ma controllabile. Sono gli ossimori della società contemporanea che vanno letti e agiti. Tutti i fattori che farebbero parlare del concreto ingresso in un’era nuova, forse quella che era stata definita come Era dell’Acquario.