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UNITÀ TEMATICA N. 4
POLITICHE URBANE
E DIFFERENZA DI GENERE

Autore

Aldo Ceccoli

LA DEMOCRAZIA PERDUTA
NEGLI SPAZI URBANI

Introduzione alle giornate di lavoro sul tema:

LA DEMOCRAZIA PERDUTA NEGLI SPAZI URBANI.

Firenze, 11 e 25 ottobre 2014. Ciclo di incontri organizzati da

Giardino dei Ciliegi & Libera Università Ipazia su:

                                    _ Città reale__

                                    Città possibile

 

 

Inviato il 4/04/2019




L’incontro di Ipazia avviene all’inizio di un quinquennio che sarà segnato dell’ortodossia dominante e da un patto che – come ha scritto Norma Rangeri – ha tre fortini: il Quirinale, Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli. Un chiaro esempio di una società che, per restare simile a se stessa, cerca un governo che riunisca in sé le proprietà richieste per servire al  meglio la società del “dopo-cristo” di Marchionne.  Ci sembrava quindi opportuno affrontare due nodi dell’attuale sociale-storico: il ritorno delle élites economiche e il conseguente ritorno della società dell’esclusione.

Il fossato tra i super-ricchi e il resto del mondo, creatosi nel corso degli ultimi trent’anni, è sotto gli occhi di tutti. Il denaro ha permesso di ricostruire il privilegio che la fine dell'aristocrazia aveva abbattuto, e i ricchi hanno usato le libertà offerte dalla democrazia per costituirsi progressivamente in oligarchia, in aristocrazia del denaro. La prevalenza delle oligarchie – che tengono le redini del mondo - riappare dopo due secoli di lotte democratiche, ponendo problemi molto gravi. Una cosa comunque è certa: è prevalso, come scrive  Luciano Canfora, il motivo della libertà egoistica dei più ricchi e dei più forti, per cui la democrazia è stata sconfitta.

E’ manifesto che le vittime più evidenti della catastrofe, quelle che davvero devono viverla, e che devono reggerla sono quelle che non possono nemmeno contare sul ricordo di una vita passata diversa e quando contemporaneamente esisteva la possibilità di alternative possibili, che oggi non si ricordano.

 

La città è il luogo sociale per eccellenza, pertanto se la società è solcata da drammatiche ingiustizie lo sarà anche la città. Oggi nelle aree urbane, grandi e piccole – in particolare nelle nostre disastrate periferie (vecchie e nuove) -  precipitano e hanno specifica visibilità molte delle variegate patologie della società liberista oligarchica e antiegualitaria.

In estrema sintesi il capitalismo industriale nazionale, dopo due guerre mondiali, è stato costretto ad accettare un compromesso con la democrazia inclusiva e con il mondo del lavoro. Al contrario il capitalismo a dominante finanziaria rigetta quel compromesso operando per la creazione di un regime di apartheid che dalle frontiere esterne all'UE si estende al cuore delle metropoli (Balibar[1]). Il sistema economico, politico, culturale, antropologico del liberismo impatta pesantemente sulla città, che ha nelle periferie, nei ghetti e nel “pianeta degli slums” la morfologia della società dell’esclusione. E’ qui che nasce quella che Bernardo Secchi chiama la “nuova questione urbana”[2]. E noi siamo felici che una parte dell’urbanistica riscopra la questione sociale!

Da Enzo Scandurra a  Carlo Cellamare, si è messo in rilievo come gli uomini e le donne delle periferie possono diventare protagonisti della vita del quartiere con i loro sentimenti e le loro pratiche, attraverso un’azione che ha costruito, in certi casi, la democrazia dal basso. Tuttavia le periferie continuano a crescere, perché si perpetuano i meccanismi che le producono all’infinito, aggiungendo pezzi a pezzi alla metropoli, come una gigantesca macchina che erode suolo, sradica abitanti, frantuma regole della convivenza e apre i territori alle infiltrazioni mafiose e ai comitati d’affari dei soliti costruttori[3].

Le rivolte urbane del '65 e del '92 negli Stati Uniti, la palpabile vena di razzismo e classismo che emerge sia nei giorni in cui l’uragano “Katrina” ha sommerso New Orleans, sia nella fiammata di violenze nella banlieu francesi, le rivolte di Londra, e altre città del Regno Unito dell’agosto 2011, i recenti fatti di Ferguson, dimostrano come  al di là di un proprio specifico, le sommosse hanno il loro nodo nei processi economici che producono disuguaglianze, disoccupazione, precarizzazione, sfruttamento in un quadro reso ancora più aspro dalla crescente discriminazione etnica e socio-spaziale. Il divenire della postdemocrazia è marchiato a fuoco dalla negazione di diritti collettivi e dalla legittimazione delle disuguaglianze sociali, ed è espresso nel “pianeta degli slums” (Mike Davis) che sono i punti di intersezione della diffusione  della produzione su scala planetaria, forma propedeutica al ridisegno sia delle gerarchie tra gli Stati nazionali sia delle gerarchie sociali all'interno dello Stato-nazione.

Pensiamo che per provare a far tornare la democrazia negli spazi urbani, occorre dedicare le nostre energie politiche, economiche, intellettuali e artistiche al riscatto urbanistico e sociale delle periferie (Tomaso Montanari). E questo richiede di promuovere la fruizione di ciò che viene chiamato patrimonio culturale. .

La distruzione della scuola, dell’università e della ricerca produce “l’idiota globale”  ossia determina quella povertà culturale da tempo al governo e che a sua volta, altrettanto inevitabilmente produce quella che Zagrebelsky chiama la politica del “giro” o “cerchia di potere” che si nutre della disuguaglianza e dell’illegalità e trasforma lo Stato in bottino su cui mettere le mani per dare e avere: i “giri” tanto più si diffondono quanto maggiori solo le disuguaglianze sociali. La democrazia, mancando uguaglianza e legalità, diventa dissimulazione di sistemi di potere gerarchici, basati sullo scambio ineguale di favori tra potenti e subalterni.

Di fronte all’istituzionalizzazione delle disuguaglianze, ritengo che tutte le questioni un tempo al centro del socialismo (disuguaglianza, ingiustizia, sfruttamento, libertà, istruzione) sono davanti a noi irrisolte. Ad esse si aggiungono questioni come l’ambiente e la differenza di genere. Tra la contraddizione capitale/lavoro, capitale/natura e la contraddizione di genere non vi è un ordine gerarchico poiché appartengono all’universalmente umano. Ecco perché abbiamo voluto riaffrontare i temi dell’uguaglianza, della libertà, della differenza, l’uso politico del concetto di realtà e il tema della sinistra, la cui assenza rende ancora più drammatico l’attuale sociale-storico poiché quando la sinistra cede e si disgrega, si apre nella società una voragine che viene subito riempita da conservatori e reazionari di ogni tipo: questa è la lezione che viene da almeno un secolo di storia.

La costruzione dello spazio comune implica una tensione continua verso l’uguaglianza, un conflitto che per definizione non può mai considerarsi concluso. Protagoniste del dibattito sullo spazio comune  sono le composite realtà che occupano edifici dismessi e luoghi della cultura abbandonati, fra cui verranno a parlarci Medici per l’ambiente, Fattoria Mondeggi, Officine Zero, Ri-Maflow,  Teatro Valle.  In queste esperienze  è ormai acquisita la consapevolezza che un filo unisce i mondi del lavoro, della speculazione immobiliare e della politica dei grandi eventi. In altre parole l’accumulazione, sia per espropriazione sia per sfruttamento, si fonde (Lucia Tozzi), fenomeno che non riguarda solo gli spazi e i lavori legati alla produzione ma l’intero sviluppo urbano.

 

Tuttavia il cosiddetto nuovo avanza e l’Ottocento ritorna. Del resto le ragioni d’azienda hanno sempre avuto un valore in sé anche quando ci si vestiva con la camicia nera, o si facevano affari tramite la mano d’opera fornita dai Lager.

Come sentirete Salzano sostiene che l’area dello sfruttamento oggi non riguarda solo la classe operaia ma le persone. Uno spostamento di ottica importante per cogliere tutte le dimensioni dell’esclusione, ma questo credo richieda un ulteriore spostamento.

La politica infatti sembra muoversi in un tempo eterno, senza tener conto della finitezza umana. Le persone però non possono aspettare per l’eternità una vita migliore, occorre dare visibilità ai neutrini durante la loro esistenza terrena. Una politica nuova perciò non può che essere incentrata sulla riscoperta del tempo. L’invisibile tempo nella pittura di Cezanne, è il visibile: trent’anni di vita davanti alla stessa montagna Saint-Victoire. Nella sua pittura si rivela tutta la caducità delle cose e insieme la loro salvazione operata dall’arte. Questo movimento si spinge verso la natura dell’esistenza umana contro la storia risolta nel tempo eterno del ciclo produzione-riproduzione.

Al mondo dell'ingiustizia globalizzata occorre contrapporre una giustizia che sia emanazione spontanea di un’ineludibile imperativo: il rispetto per il diritto ad esistere di ogni essere umano.  Tutto quello che non va in questo senso, o è criminale o è ipocrita. La sinistra non va da nessuna parte se non s’impegna a presentare le vite oscurate dalla Storia e dal potere. Il mondo reale è un mondo di precari, dove la vita umana non ha più un valore perciò ha davanti a sé solo due parole: 'comandare' e 'uccidere', una logica questa che va distrutta, chiosa giustamente José Saramago (Questo mondo non va bene che ne venga un altro, 205, p. 54).

 

 

 

 

 

[1] Il manifesto, 22.11.2005.

[2] B. Secchi, La città dei ricchi e dei poveri, Laterza, 2013.

[3] P. Berdini, La città in vendita, Donzelli, 2008.