“Soddisfare ampiamente l’iniziativa privata e accompagnarla
“là dove essa trova conveniente di manifestarsi”
(Corriere della Sera del 1928, in riferimento al PRG di Portaluppi
e Semenza con Cesare Albertini capo dell’Ufficio tecnico comunale
di Milano).
Cambiare il modo di intendere / produrre la città: conquistare nuovi equilibri dinamici tra urbanistica, ecologia, bellezza e …qualità sociale. La riforma della convivenza urbana, che passa anche attraverso la riforma della “produzione di città”, si collega con l’ambiente come risposta ad un tipo d’economia che non solo distrugge la natura ma le proprie condizioni di produzione e riproduzione. E non risolve neppure le esigenze minime di qualità in fatto di convivenza e tolleranza, disattendendo completamente la questione della qualità sociale.
Impegnarsi nella produzione della città della qualità, determina vantaggi territoriali, produttivi ed occupazionali sia nella fase di costruzione della qualità (ambientale, sociale, culturale), sia nelle diverse fasi di realizzazione. La costruzione della qualità come “ambiente globale”, offre la possibilità di costruire una città plurale: un progetto complesso integrato di riqualificazione dell’intera città come sistema per vivere.
Non è più lo Stato o l'Ente locale a pianificare la città, ma il mercato nella forma della speculazione edilizia e della rendita fondiaria. L’assalto cementizio, che procede senza sosta, guida, di fatto, i processi territoriali e urbani, dove l'unico ad essere espropriato è il soggetto, confinato in zona periferica rispetto alla rendita e alle immobiliari causando una profonda ferita alla democrazia in quanto viene ad essere negata l'eguale condivisione dei poteri fra tutte le parti di una comunità.
L'urbanistica guidata dal piano regolatore è stata progressivamente sostituita dall'urbanistica contrattata che fa prevalere l'interesse privato su quello pubblico, con il conseguente assoggettamento del Comune alla rendita nel suo farsi. Quando il Piano diventa una sorta di ufficio del catasto impegnato a registrare le trasformazioni edilizie concordate con il privato (De Lucia), quando in altre parole comanda il mercato, cosa resta della democrazia? Parafrasando Paul Ginsborg la democrazia formale non vale nulla se il meccanismo della rappresentanza viene svuotato dai poteri degli immobiliaristi.
Un obiettivo strategico: contrapporsi alla rendita fondiaria urbana per intrecciare il piano urbanistico con il piano regolatore sociale della qualità della vita
La città e il territorio ci appaiono così come terreno strategico d'intervento, poiché non ospitano solo attività economiche, ma ben più vaste, articolate, differenti costellazioni umane: le città sono "pietre rese vive" da emozioni e desideri e conflitti di uomini e di donne (Elena Ferrante), la cui complessità non può appiattirsi dentro la sola dimensione dell’economia. Per questo il concetto di "Città: bene comune" espresso dalla "Carta" a cura della Libera Università "Ipazia" di Firenze, si contrappone al fatto che a pianificare la città non è più lo Stato o l'Ente locale, ma la rendita fondiaria.
Proprio per tornare a vedere la policromia umana, è preliminare aprire il piano all'arcipelago complesso dei corpi che abitano lo spazio, per intrecciare il Piano urbanistico con il piano regolatore sociale che distribuisca qualità della vita (Silvia Macchi). In tal modo la pianificazione diventa un’interazione sociale permanente. Infatti, il "progetto" - scrive Dematteis - è una sfera spazio-temporale che mette in relazione le soggettività nelle più diverse accezioni: la razionalità, i desideri, i sentimenti, le passioni, le abilità, la memoria, la creatività. Quindi appartiene tanto alla sfera individuale, quanto a quella collettiva: così il piano diventa un momento della pianificazione stessa come interazione sociale di tutti i soggetti che agiscono sul territorio e non solo del tecnico, dell'amministratore e dell'immobiliarista. Se il soggetto è collocato all’incrocio di numerose reti, ogni punto è il vertice di una rete di rapporti, ponti tematici tra discipline, bisogni, linguaggi. Sui ‘ponti’ passano fasci di vite e dunque il riconoscimento reciproco della consistenza della propria ricerca.
Con questa diversa prospettiva il territorio può tornare ad essere il 'luogo' della ricostituzione del tessuto sociale e consentire a donne e uomini di abitare pienamente la città ad ogni età e condizione (Fanny Di Cara). Il fare città, assunto nella sua complessità, diventa così laboratorio creativo di urbanità. La relazione – propria del femminismo - mette in crisi il concetto di gerarchia tra paesi, popoli, culture, generi, classi, poiché è una modalità che indica un diverso rapportarsi, tra culture, tra soggettività, e tende a definire comunità in termini non egemonici.
Riappropriarsi del valore politico delle scelte urbanistiche
per leggere, decidere e programmare -collettivamente- la pianificazione urbana delle funzioni, degli spazi e dei tempi, nella consapevolezza della sua relazione con la pianificazione socioeconomica
Il riconoscimento del contenuto politico delle scelte urbanistiche, resta solo teorico finché vige il concetto dell'urbanistica come campo separato d'interessi, da mediare poi con quelli politici, che è l'eredità persistente del distacco tra i due termini operato fin dalla metà dell’Ottocento. L'urbanistica è una parte della politica, necessaria a concretizzare ogni programma operativo e nello stesso tempo non è riducibile alle formule programmatiche generali. In altri termini, per migliorare la distribuzione delle attività umane sul territorio, certamente bisogna modificare i rapporti economici e sociali da cui dipendono le attività, ma d'altra parte non basta migliorare i rapporti economici e sociali perché quelli spaziali risultino automaticamente corretti. Le esperienze degli ultimi 30 anni rendono urgente la definizione di un nuovo rapporto fra urbanistica e politica, quindi fra pianificazione spaziale e pianificazione socioeconomica (Cfr. Leonardo Benevolo, Le origini dell'urbanistica moderna, 1963).
La mondializzazione capitalistica ha reso le metropoli città-impresa
Le patologie della città, divenuta merce, inquinano la forma fisica e gli aspetti sociali del vivere quotidiano, usandoli in modo funzionale all’accumulazione speculativa
Nel 2005, per la prima volta nella storia del pianeta, gli abitanti delle città hanno superato quelli delle aree rurali (dati ONU), causa ed effetto di quella mondializzazione economica che produce un modello di città del tutto inedito. Oggi la metropoli costituisce un punto strategico per il pensiero e per l'azione, perché nelle aree urbane, grandi e piccole, si concentra la maggior parte delle contraddizioni della società contemporanea. Le patologie, che colpiscono infatti la città, non sono conseguenza di un difetto di modernità, ma espressione della città che diviene merce. Infatti i processi economici e sociali di questo ultimo trentennio hanno specifica visibilità proprio nelle aeree urbane, luoghi in cui le contraddizioni e le lacerazioni del reale si scontrano e si sovrappongono, anche se sono state attivate strategie politiche e argomentative per rendere opachi i fenomeni.
Ricordo alcune conseguenze della mondializzazione sul tessuto urbano:
A La città industriale è travolta dalla delocalizzazione, dal ridimensionamento produttivo, dall'evaporarsi delle politiche pubbliche e dalla corsa alle privatizzazioni. E con il declino della grande fabbrica, e la riduzione degli impianti produttivi, si svuotano siti industriali e commerciali, ma sono consegnati nuovamente agli investimenti immobiliari. Sarà un caso che la crisi economica e produttiva si alimentano con la crescita della speculazione immobiliare?
B Le trasformazioni del capitalismo su scala mondiale hanno pesanti ricadute sulla forma fisica, sugli aspetti sociali del vivere quotidiano. Il nodo della questione risiede nei processi economici generali che hanno prodotto disuguaglianza, disoccupazione e precarizzazione del lavoro, in un quadro generale reso ancora più aspro dalla crescente discriminazione etnica, socio-spaziale, psicologica e culturale per cui nuove frontiere interne si creano nelle città. Le scelte economiche hanno causato il crollo del potere d'acquisto di lavoratori e pensionati, ed il tempo determinato per intere generazioni. Si hanno strategie spaziali e polarizzazione tra mondi di vita, dove il divario tra gli spazi in cui vivono i cittadini "della prima fila" e quelli dell'ultima, è indicatore della più significativa tra le tendenze sociali e politiche associate al passaggio alla società neoliberista.
C La globalizzazione neoliberista fa perdere di senso alla divisione amministrativa, tradizionale. La più evidente trasformazione è data dalle grandi conurbazioni contemporanee, come ad esempio FI-PO-PT. Le città dilagano ovunque. La città "dispersa" o "diffusa", sulla piccola scala, si traduce in un’enorme quantità di opere che dovrebbero essere sentite come indegne; sulla grande scala, se prima il territorio era divorato in modo centralistico e centripeto, adesso è consumato in modo decentralistico e centrifugo.
D Sono emerse in tutti i centri, grandi e piccoli, sia modalità gestionali ricalcate sul modello d'impresa sia la competizione diretta tra sistemi urbani (il city marketing). Queste città-impresa conducono una politica economica senza esclusione di colpi offrendo il possibile e l'impossibile alla transnazionale o all'immobiliare di turno. Corrieri e piazzisti del commercio della città girano nel mondo con il loro catalogo di vie e terreni, paesaggi e territori in offerta speciale (cfr. Mipim). In questa realtà fatta di integrale adesione agli interessi economici finanziari e speculativi, l'Ente locale – consapevole o meno che sia - mentre diventa sempre più liberista sul terreno sociale, è trascinato ad essere un fervente interventista sul piano dell’economia e dei mercati, anche attraverso nuovi Piani regolatori e/o Piani strutturali, vere e proprie offerte al mercato di aree edificabili. E' questa corruzione /deculturazione il limo che alimenta la devastazione del paesaggio, del territorio, delle città che è anche distruzione di storia. Si smantella la storia non solo con negazionismi, neo-revisionismi, ma anche distruggendo il territorio e le città.
L'assalto cementizio non è solo pratica economica, ma un archetipo della società italiana e del suo modello economico: il "Leviatano immobiliare" (Erbani) è incistato nella società italiana, in un sistema che vive di economia nascosta, misteriosamente fiorente, dove nascono e muoiono imperi finanziari lasciando spesso debiti che i cittadini sono chiamati a ripianare[1]. Questo sistema si delinea come un impressionante e segreto intreccio d'interessi finanziari, politici, economici, ricchissimo d'implicazioni socio-familiari.
Diventa sempre più urgente impedire che la città continui a crescere secondo le leggi della speculazione.
Di seguito le motivazioni principali:
a) La rendita ha un marcato carattere di classe poiché la rendita viene pagata dagli strati più deboli della popolazione, prosciuga risorse e convoglia fiumi di denaro verso banche e palazzinari: l'emergenza casa continua ad essere un problema gigantesco per le famiglie italiane, sia per l'affitto sia per l'acquisto di abitazioni.
b) A frenare la crescita delle imprese non è la mancanza di risparmio, il vero problema è che le imprese sviluppano il loro capitale finanziario a detrimento del capitale produttivo. Inoltre se la finanza e il mercato immobiliare offrono tassi di remunerazione più alti di quelli ottenibili con gli investimenti nel commercio, nell'agricoltura, nell'industria e nei servizi, non vi è possibilità alcuna di risanare l'economia. Quindi contenere gli interessi della proprietà immobiliare non è l'espressione di una volontà dirigista o punitiva, ma ha le sue fondamenta nell'esigenza di liberare i beni comuni, come il suolo, da uno sfruttamento intensivo e miope, che non solo va contro l'interesse collettivo, ma anche contro quella parte delle forze economiche che intendono rimanere produttive senza rivolgersi alla rendita e alla speculazione.
c) Ormai l'aria della città non rende liberi, uccide: la rendita è ambientalmente devastante.
d) Con la deregolamentazione urbanistica, l'unico ad essere espropriato è il soggetto, confinato in zona periferica rispetto alla rendita e alle immobiliari. In tal modo – come già detto - si svuota la democrazia in quanto viene ad essere negata l'eguale condivisione dei poteri fra tutte le componenti di una comunità.
e) Favorisce la criminalizzazione dell'economia: mi limito a Ricucci e Coppola, ma l’elenco sarebbe lunghissimo. La corruzione tuttavia è anche corruzione della democrazia poiché i vari Ricucci non sono stati prodotti soltanto dal malaffare, ma sono stati sostenuti da un’incultura urbana del mercato del mattone.
Per questo sosteniamo che il territorio, inteso come simbiosi tra spazio e società, ha bisogno di un governo che affronti una diversa pianificazione urbanistica, sociale e culturale delle aree. Per questo occorre una pratica politica quotidiana che impedisca all’'Ente locale di limitarsi ad accompagnare l'attuale deriva social darwiniana.
[1] Fatte salve le figure di Tronchetti, Buora, Ricucci, ecc., innocenti fino a prova contraria, sarebbe benvenuta qualche parola sul fatto che certe pratiche non sono certo un esempio di come dovrebbe funzionare l'economia di un paese liberale, trasparente, competitivo e via via capitalisticamente moraleggiando.