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UNITÀ TEMATICA N. 1
IL CORPO DANZANTE

come strumento di coscienza di sé nel mondo

Autrice

Eugenia Casini Ropa

I GEROGLIFICI DEL CORPO

 

Inviato il 14/03/2019




da “Globalità dei linguaggi”, III, n.1, marzo 2007

 

La danza è l’arte del corpo, dove il corpo è il soggetto-oggetto globale di ciò che avviene, e la moltitudine dei suoi segni è consapevolmente organizzata in discorso poetico, metaforico e simbolico, al servizio di un’idea artistica creativa. Negli studi si parla oggi abitualmente del corpo come del luogo in cui più intimamente natura e cultura si incontrano e si fondono; la danza è un osservatorio interessante per osservare i modi di questa fusione.

 

Vedremo qui tre esempi che costituiscono nodi emblematici di modificazione della concezione del corpo, e quindi della costruzione del linguaggio dei suoi segni, nel corso del secolo ventesimo.

 

1- Danza classica: il Corpo formale

La codificazione “classica” del corpo e del suo linguaggio teatrale costituisce la tradizione pluricentenaria della danza d’arte occidentale. Ma qual è l’idea di corpo che la sostanzia? Un corpo tradizionalmente scisso da una visione dualistica dell’essere umano: il noto ‘errore di Cartesio’ fatale per la nostra civiltà, e tuttora operante: la divisione tra corpo e anima, tra sensibile e spirituale. Questa concezione della danza ha le sue radici non a caso nel Rinascimento in ambito aristocratico, fondamento della costituzione di un corpo elitario, il corpo ideale elaborato dalla nobiltà cortese, fatto di segni di distinzione rispetto alla massa della società. L’immagine del corpo e il codice di movimento della danza-balletto deriva da quella particolare concezione.

Per dirla con Husserl, qui il corpo è concepito come Körper, un corpo-strumento puramente organico, un corpo-oggetto dominato dalla mente, a cui viene imposta una codificazione, una acculturazione, un lavoro gravoso e continuo di ricostruzione per imprimergli sopra i segni tipici di un valore estetico ideato da una certa società e cultura. Questa è un’estetica della forma, questi sono corpi idealizzati e formalizzati, sui quali viene iscritta una scrittura segnica dove ciò che conta è la bella linea: una scrittura calligrafica. Qui non ha valore ciò che sta dietro il segno; il segno è costruito artificialmente e sovrapposto al corpo, che deve rispettare delle regole estetiche definite da una società che crede fortemente nella necessità di dominio e controllo del corpo, della sua organizzazione e del suo assoggettamento al disegno della ragione.

 

2- Danza moderna: il Corpo espressivo

All’inizio del ‘900, primo grande mutamento, rivoluzionario, della concezione del corpo, che scopre un linguaggio della danza completamente diverso: corpo “liberato” che si “esprime” nel movimento. Come si passa da un corpo formale, che costruisce splendidi disegni nello spazio, a un corpo espressivo? Nel nostro mondo occidentale cambia la concezione del corpo. Prendono il sopravvento le scienze che permettono di conoscerne meglio la costituzione e il funzionamento: fisiologia, biologia, anatomia, medicina, fanno passi da gigante. Ma soprattutto si sviluppano le scienze cosiddette del profondo: psicologia, psichiatria, psicanalisi, che vanno a indagare quella ‘seconda metà di noi’, come era vista nell’ambito dualistico, e a instaurare rapporti ineludibili e strettissimi tra le due parti.

All’inizio del ‘900, infatti, si tenta il superamento della dicotomia corpo/spirito, o perlomeno se ne proclama a gran voce la necessità e se ne indagano le vie. L’essere umano è uno, nell’individuo le due ‘parti’ mentale e corporea non possono più essere divise; il corpo deve essere rivalutato come luogo della rivelazione dello spirito, che porta a manifestazione l’interiorità (chiamata allora prevalentemente anima); se ogni manifestazione fisica, o segno esteriore, è intimamente connessa a un impulso interiore (e viceversa, come insegna la psicologia sperimentale), ogni gesto/segno sarà costituzionalmente espressivo. Abbiamo così da un lato una benefica rivalutazione del corpo e dell’individualità creatrice nell’arte del movimento; dall’altro, per la grave difficoltà a liberarsi della soggezione del doppio binario, si finisce per mettere il corpo liberato dalle precedenti costrizioni al servizio della psiche, poiché viene investito del compito di “agente” esterno dell’interiorità.

Ecco allora che i nuovi danzatori primonovecenteschi, all’insegna del motto “ogni uomo è un danzatore”, rivendicano la libertà individuale di creare i segni del proprio corpo, si liberano della codificazione linguistica classica e rifiutano il peso delle convenzioni comportamentali della società: ciascuno si dedica a esprimere a suo modo la propria interiorità. Ogni corpo/anima (Körperseele, come lo battezzano i tedeschi, ora Leib, corpo vivente, esperienziale) consapevole della propria espressività costruisce nella danza un metalinguaggio cinetico al servizio di emozioni, pensieri, sentimenti. La paura, l’odio, l’amore, la superbia, la vanità, imprimono sul corpo testi gestuali che rielaborano i significati interiori e li restituiscono trasmettendoli all’osservatore; è un’estetica dell’espressione che si traduce in una scrittura ideogrammatica, in cui i segni esterni rinviano a dei contenuti sottesi stilizzandoli.

 

3- La danza post-moderna: il Corpo senziente

Se osserviamo le performances di alcuni danzatori degli anni Sessanta/Settanta del novecento, cogliamo subito un nuovo, evidente cambiamento. Non c’è più né tecnica codificata, linguaggio definito, né volontà di espressione, ricerca di un corpo emozionale. Non ci pare di cogliere nei loro gesti alcun significato ulteriore: c’è una persona che fa movimenti pressoché normali, quasi pedestri a volte, sperimenta le possibilità di movimento del suo corpo secondo modalità che non sono virtuosistiche né volutamente espressive; una persona che compie una sorta di ricerca su se stessa, non si interessa del pubblico eventuale, occupa lo spazio, tutta intenta a sentire cosa succede nel suo corpo mentre si muove camminando, chinandosi, stirandosi, piegando un braccio, ecc.

Che cosa è successo? Ci troviamo di fronte ad un secondo grande cambiamento di concezione del corpo nel Novecento o a una radicalizzazione delle acquisizioni precedenti, che trova il suo sostrato concettuale principalmente negli studi fenomenologici. Dopo un corpo svalutato che aveva bisogno di presentarsi come oggetto di bellezza virtuosistica per avere un valore, e dopo un corpo rivalutato, ricongiunto all’interiorità e messo al suo servizio, ora abbiamo un corpo in sé, ridefinito come unica sede dell’essere. Il corpo ha acquisito una sua vita autonoma, ha una dimensione olistica definita, accettata; si sa che i gesti/segni, i movimenti del corpo portano intrinsecamente con sé e rivelano elementi biologici e culturali, ereditari e acquisiti, tecnici e compulsivi (come i segni di disagio, di malattia). Tutto questo è già inscritto all’interno del corpo, il corpo è tutto questo, non c’è bisogno di esaltarlo attraverso una rielaborazione linguistico-gestuale della sua presenza, né di sottolineare il fatto che dietro i suoi gesti ci sia un mondo interiore.

I nuovi danzatori rifiutano le tecniche sofisticate, come la volontà di espressione o comunicazione di significati aggiunti; il corpo è di per sé il centro del discorso, il corpo in movimento è l’oggetto della danza, contiene in sé tutto ciò che può mostrare; quello che interessa non è più la costruzione tecnica né la volontà espressiva, è semplicemente la coscienza e l’uso del corpo per ciò che è.

Per la danza post-moderna, il corpo è quel che è storicamente: il mio corpo è ciò che è oggi, in questo preciso momento, con tutti i portati della mia esistenza; ma ciò che interessa è sentire, abitare questo corpo, essere questo corpo. Nella danza classica ed espressiva, per dirla con i filosofi, io ho un corpo; per questa nuova danza io sono un corpo, e con questa consapevolezza faccio i conti, questo cerco di capire. In questa danza che potremmo definire centripeta –così come le altre forme erano centrifughe, rivolte all’esterno- i danzatori si concentrano prevalentemente su se stessi, sul sentire il proprio corpo e il suo movimento.

La ricerca di questa sensazione, del sentire il proprio esserci nel corpo, si sviluppa in alcuni fino ad arrivare a una ricerca quasi ossessiva di ogni potenzialità motoria corporea: ogni articolazione viene saggiata e messa in movimento, nessuna parte del corpo è ignorata, a dominare è la segmentazione e il policentrismo, spazio e tempo trovano nuove dimensioni corporee. Pur se la sensazione domina, finisce comunque inevitabilmente per portare con sé anche l’emozione; benché non ci sia la volontà di emozionarsi e di emozionare, l’emozione finisce per ritornare nel momento in cui il corpo diventa veramente la sede unica della persona, ne rivela la completezza cosciente e ne trasmette l’esperienza vitale nel proprio mondo. Il corpo allora è davvero e ancor di più Leib, corpo/essere. Siamo di fronte ad un corpo senziente, sensibile, i cui geroglifici danzanti instaurano una comunicazione apparentemente letterale, diretta ai nostri sensi, ma in realtà ambigua e misteriosa, della stessa ambiguità e complessità dell’essere.

 

 

Ho voluto chiamare questo intervento “i geroglifici del corpo”, perché riflettendo sulla molteplicità dei suoi segni, sulla complessità che questi segni portano con sé, mi è venuta alla mente la scrittura geroglifica: non ci sono le lettere, segni grafici in sé privi di sensoche si uniscono convenzionalmente in parolesignificanti, né gli ideogrammi della cultura orientale, che traducono simbolicamente un concetto di fondo, c’è invece una serie di disegni apparentemente analoghi agli oggetti della realtà (cose, animali), che però vanno interpretati in modo totalmente diverso (come nomi, azioni, congiunzioni) a seconda della loro posizione nel discorso.

 

Oggi nella danza i portati dei cambiamenti delle concezioni e delle pratiche che si sono succedute sono maturati, si sono unificati, e c’è ormai una consapevolezza del corpo come portatore di segni complessi, una considerazione del corpo in sé ma anche una volontà di costruzione, di organizzazione del linguaggio del corpo, che porta a una visione più articolata e permette le numerose forme e le conseguenti letture e interpretazioni della danza contemporanea.

 

La visione d’insieme dei segni della danza come un linguaggio apre la possibilità di leggervi non solo le intenzioni della mente creatrice, ma anche la manifestazione di un corpo/essere vivente che sta nel mondo, ne è plasmato e lo plasma, ne è segnato e lo segna, traducendo la sua esperienza in movimento tanto letterale quanto simbolico. Questo mi porta a un’ultima riflessione finale su quanto -contenendo in sé tutte le potenzialità formali, espressive e sensoriali di cui si è parlato- il linguaggio della danza possa essere uno strumento utile e sensibile per leggere i corpi, i bisogni, i disagi delle persone e nello stesso tempo possa offrire a tutti una possibilità ulteriore di coscientizzazione corporea, di espressione e di comunicazione per vivere più pienamente la propria vita.